Nella War Room

Nella War Room

Per la scenografia Kubrick ingaggiò Ken Adam, originario di Berlino ma che aveva studiato in Inghilterra dove lavorava come architetto. Durante la seconda guerra mondiale Adam era stato un pilota della RAF e dopo la guerra aveva iniziato una fortunata carriera di scenografo. Nel 1956 aveva ricevuto una nomination, agli Oscar per Il giro del mondo in ottanta giorni, insieme al padre dell'arte scenografica William Cameron Menzies. Aveva lavorato con registi come John Ford, Jacques Tourneur e Robert Aldrich e si era occupato della scenografìa di Agente 007, licenza di uccidere, il primo film di James Bond. Kubrick era rimasto estremamente colpito dall'aspetto del film e aveva combinato un incontro con Adam per parlare della sua satira sulla fine del mondo. [...]
Per creare il set della stanza più importante, ovvero la War Room del Pentagono, Adam iniziò a fare degli schizzi. La sua idea originaria era un anfiteatro con un secondo livello, sul quale si trovava la sala di controllo racchiusa da vetrate. [...] Intuitivamente Adam sentì che il tavolo intorno al quale sedevano il presidente e i suoi uomini doveva essere ampio e rotondo; quando Kubrick vide il disegno del tavolo domandò ad Adam se poteva ricoprirlo con uno spesso panno verde, anche se il film era girato in bianco e nero. "Dovrebbe avere l'aspetto di un tavolo da poker: il presidente, l'ambasciatore russo e i generali che giocano una mano di poker nella quale si determinerà il destino del mondo". Quando il dipartimento scenografìa terminò di costruire la War Room negli Shepperton Studios, il set misurava quaranta metri di lunghezza, trenta di larghezza e undici di altezza. Il tavolo rotondo sul quale il presidente e i suoi uomini decisero del destino del mondo occupava una superficie di trentacinque metri quadrati.

(Vincent LoBrutto, Stanley Kubrick. L'uomo dietro la leggenda, Il Castoro 1999)




In prima linea nella battaglia per realizzare Stranamore c'era la scenografia per la Stanza della Guerra, che Adam costruì nel teatro B degli studi di Shepperton. Era destinata a diventare uno degli esempi più eccezionali ed evocativi della scenografia cinematografica contemporanea. La temperatura all'interno divenne incandescente. Al centro di duecento metri quadrati di pavimento nero luccicante, sotto un anello di luci, trenta attori, per lo più vestiti con pesanti uniformi militari di lana, ma tutti con delle incoerenti soprascarpe di feltro per salvaguardare il pavimento, sudavano intorno a un tavolo circolare largo sette metri, coperto da un panno verde, come un tavolo da biliardo. Sopra le loro teste un anello di proiettori velati dirigeva una vampata di calore e luce.
I muri erano caratterizzati da mappe illuminate alte dieci metri, raffiguranti l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti, l'Europa e l'Asia. Senza indicazioni di città o frontiere, i continenti avevano la semplicità essenziale di una scacchiera, effetto accentuato, nel caso dell'Unione Sovietica, da quaranta frecce rilucenti che si avvicinavano a dei puntini disseminati lungo la mappa: ogni freccia rappresentava un bombardiere atomico americano, ogni puntino un obiettivo.

(John Baxter, Stanley Kubrick. La biografia, Lindau 2006)




Se penso in retrospettiva alle mie scenografie, il set della War Room è sicuramente il miglior allestimento scenico che abbia mai realizzato, perché, malgrado la semplicità, funzionava perfettamente. Dal punto di vista drammatico era straordinariamente efficace, dal punto di vista pratico era totalmente irrealistico. Creava però per gli attori l'esatta atmosfera necessaria per calarsi in questo orribile scenario di minaccia atomica. La War Room trasmetteva una sorta di claustrofobia che sorprendeva anche me: questa immensa sala tetra con il suo enorme soffitto spiovente e il pavimento nero lucido come uno specchio. Naturalmente questa esagerazione e follia dette un tono speciale all'intero film e ha contribuito al suo carattere di black comedy. A Kubrick era chiaro il fatto che un film sulla fine del mondo a seguito di una guerra atomica fosse possibile solo sotto forma di crudele satira. Questo spiega il successo del Dottor Stranamore.

(Ken Adam intervistato da Boris Hars-Tschachotin, in Stanley Kubrick, a cura di Hans Peter Reichmann, Giunti 2007)