Hollywood 1939: un regista per due film epocali

Hollywood 1939: un regista per due film epocali

Gli anni Trenta si chiudono con due film che il caso vuole girati dallo stesso regista (Victor Fleming) per la stessa casa produttrice (la MGM) nello stesso anno (il 1939): II mago di Oz e Via col vento. Sono superproduzioni (soprattutto il secondo) che vanno lette in una chiave storica. Non tanto perché nella vicenda di Dorothy e dei suoi amici può essere adombrata quella dell’America della Depressione e della sua vittoria, né perché quella di Scarlett dichiari espressamente una volontà di sopravvivenza esemplare (la forza della ragazza e il continuo riferimento alla terra); quanto perché queste due sfarzose produzioni segnano l’addio sia al cinema di impegno sociale (peraltro già storicamente esaurito dal 1934), sia a quello di (supposto) disimpegno legato a standard di genere leggero, costruito su modelli complessi e precisi ma sempre obbedienti a regole collaudatissime, e soprattutto attento a calibrare dosi d’assurdità e di realtà in parti equilibrate. Hollywood abbandonò le tematiche 'dure' come quelle di sesso e violenza dopo la pressione sull’ufficio Hays della Legion of Decency, un’organizzazione cattolica alla quale si associarono anche i rappresentanti di altre confessioni. Dopo che Hays era riuscito a far togliere alle mucche di Walt Disney le mammelle non meraviglia che la seconda metà degli anni Trenta sia stata caratterizzata da un cinema non poco asettico, anche se spesso felicemente fantasioso e riuscito sul versante dell’umorismo, del ritmo e a volte persino della critica politica (cfr. Frank Capra).
Allo stesso modo la screwball e la commedia sofisticata avranno sempre meno spazio e il genere passerà da un meccanismo a orologeria o descrizione d’ambiente a palcoscenico per i primi nuovi comici del decennio (le coppie Bob Hope e Bing Crosby, Abbott & Costello, ecc.).
Il
mago di Oz e Via col vento sono due fiabe: ambedue riguardano qualcosa che non esisteva o che non esisteva più (o che non era mai esistito).
Ambedue celebravano il coraggio e la simpatica testardaggine di chi non si rassegna a quello che sembra essere il destino. Ambedue esibivano un colorismo grandioso, una scenografia vivace, costumi sgargianti, proponendo uno spettacolo di dimensioni non comuni. In certo senso, questo era l’addio al triste decennio, una rivalsa a suon di musiche e di luce contro la cupezza dei primi anni di buio e frastuono. In fondo ambedue le pellicole inscenano, sia pure indirettamente, due miti agrari. Oz è un reame fatto di prati e di fiori, e il Sud di Scarlett – per quanto bistrattato e drammaticamente ferito – è ancora una terra capace di fornire agiatezza. Ambedue fantasie di “ricostruzione”, le pellicole non sono però tanto riassuntive di un percorso storico quanto idealmente rappresentative di uno spirito che ormai non riguarda più il passato ma che anzi se ne sbarazza con un ritorno gioioso al mondo amabile e noto verso il tempo felice che lo precedeva (“Non c’è nessun posto come casa mia!”) o con una pragmatica dichiarazione piena di concretezza e praticità (“Ci penserò domani!”).
Il mago di
Oz e Via col vento sono per così dire il dramma satiresco del ciclo tragico fornito dalla Depressione: il primo in modo evidente, il secondo con quella sua capacità di ribaltare in comicità e leggerezza anche indiscutibili tragedie sia storiche che familiari (si pensi solo alla caratterizzazione dei personaggi neri o delle vecchie signore meridionali). La rivolta contro il destino si giustifica in un mondo in cui il destino è tragico. Ci vuole una sentenza come quella di Zeus perché Prometeo trovi la forza di alimentare la sua hybris.

(Franco La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Il Castoro, 2004)





Dagli anni Trenta si entra nella zona oscura, notturna, del mito. In ogni caso si assiste a una più complessa metamorfosi e rigenerazione dei miti classici nel mito americano. Dall'indomani del crollo borsistico il cinema americano racconta insieme il mito dell'ascesa e della caduta di miriadi di piccoli o grandi boss mafiosi, di pugili, capitani d'industria, giocatori, avventurieri che si muovono per seguire la sorte sfidandola di continuo: la crisi del 1929 è il primo grande colpo al mito della virtù, della possibilità aperta a tutti, dell'ascesa lungo la scala sociale e del progresso perenne. […] Opere come Il mago di Oz, Il sergente York (Howard Hawks, 1941), Ribalta di gloria (Michael Curtiz, 1942) mostrano, attraverso il gioco delle metamorfosi dei simboli chiave americani, lo sforzo ultimo di mantenimento dei valori coesivi in cui sia ancora possibile riconoscersi collettivamente. Questi film spingono al limite estremo di tolleranza il senso di rappresentazione dei caratteri dell'all american, ma negli anni successivi diventerà molto difficile definire e riconoscere in modo certo la natura e i caratteri di questo termine.

(Gian Piero Brunetta, Identità, miti e modelli temporali, in Storia del cinema mondiale II. Gli Stati Uniti, Einaudi, Torino 1999)