Il tessuto narrativo

Il tessuto narrativo

Dopo L’ultimo metrò, che presentava sei o sette personaggi di uguale importanza, ho inteso ritornare ad una disciplina inversa con una storia più serrata, costruita intorno a una coppia. Di proposito, ho mantenuto gli altri personaggi in secondo piano, dando la preferenza, tra questi, ad un personaggio di confidente che dà inizio alla storia e la conclude: “Né con te, né senza te”. Di cosa tratta La signora della porta accanto? Di amore e, ben inteso, di amore contrariato perché, diversamente, non vi sarebbe una storia. L'ostacolo, qui, tra i due amanti, non è rappresentato dalle costrizioni sociali, dalla presenza di altre persone o dalla diversità dei due caratteri, ma esattamente al contrario, dalla loro rassomiglianza. Si trovano ancora, l'uno e l'altra, nello stato di esaltazione — “o tutto o niente” - che già li aveva separati, otto anni prima. Quando il caso li rimette uno di fronte all'altra, in un primo tempo Mathilde, contrariamente a Bernard, si mostra ragionevole. Poi, la situazione, come il cilindro di vetro di una clessidra, si rovescia e porta alla lacerazione.
François Truffaut, dal pressbook originale del film


Trasgressioni

Per Truffaut, La signora della porta accanto era “un film semplicissimo”. In effetti, brilla per chiarezza, coerenza e classicismo. La cronologia viene rispettata, la narrazione è divisa in tre parti, l'argomento è nitido: “una storia moderna d'amore-passione”. Tuttavia, nel corso della narrazione, il malessere dello spettatore cresce progressivamente. Qualche cosa di spaventoso sembra insinuarsi in queste scene di vita provinciale. Una forza selvaggia dilaga. Si accumulano i segnali che rivelano un disordine di fondo che verrà confermato dalla tragedia finale, ma la cui origine non viene mai rivelata esplicitamente; tale disordine si manifesta in maniera ovattata, indiretta, ma riguarda sempre il sovvertire un sistema di sbarramento. […]
La prima di queste trasgressioni riguarda un duplice cedimento del meccanismo cinematografico. Nel prologo del film, la signora Jouve si rivolge direttamente allo spettatore, fatto eccezionale per Truffaut, infrangendo così il principio, sacro nel cinema di finzione, dell'eterogeneità degli spazi. Ma non basta. Interrompendo il suo racconto, la signora si rivolge improvvisamente alla macchina da presa per darle l'ordine di indietreggiare e di inquadrare la protesi che porta alla gamba sinistra. Le frontiere tra personaggio e pubblico, attore e tecnico vengono abolite. […]
Un altro elemento narrativo contribuisce a provocare disagio nello spettatore: l'insolita lunghezza di certe scene o il brusco cambiamento di tono nella loro conclusione. Anche qui non si produce più quella separazione che dovrebbe intervenire affinché le convenzioni del racconto o del genere vengano rispettate. […]
Una seconda barriera risulta pericolosamente abolita: quella che separa passato e presente. L'unità temporale del film viene minata a più riprese da una duplice aggressione. Quando Mathilde e Bernard riprendono la loro relazione, precipitano in un passato tragico che credevano di avere esorcizzato. Ma il passato riemerge nel presente anche con l'inatteso ritorno dell’ex amante di Odile Jouve per il quale, vent'anni prima, costei aveva cercato di uccidersi buttandosi nel vuoto. […] Ma la barriera il cui crollo è più evidente nel corso della narrazione è quella che separa amanti e norme sociali, disordine privato e ordine collettivo.
Anne Gillain, François Truffaut. Il segreto perduto, Le Mani, Recco 1995


La tragedia dietro la banalità del quotidiano

La signora della porta accanto è una tragedia al femminile con tanto di coro (il circolo del tennis) e corifeo (la signora Jouve). È un film noir, con tanto di eroina che emerge dal passato, con pistola e impermeabile. È la libera interpretazione di un film di Hitchcock, con tanto di finestre sul cortile e suspense senza sosta. È una canzone (i cui testi sono nella sceneggiatura), con tanto di strofe e ritornelli. La finzione di Truffaut ormai fa girare la testa. Il suo segreto, si ripete spesso, sta nel rappresentare i sentimenti con la concretezza e la ‘banalità’ dell’esperienza reale. Ma dietro la sua quotidianità c’è la finzione all'ennesima potenza, in lui la vita e il riflesso della vita si confondono fino a non poter distinguere dove finisce l'una e comincia l’altro. Un esempio clamoroso: dietro
Bernard, che s'innamora di Mathilde vedendola da una finestra mentre prepara delle tartine per i bambini, c'è Werther che rimane ipnotizzato da Charlotte, incorniciata in una porta e intenta a tagliare delle fette di pane per i bambini...
Mai prima d’ora il regista si è permesso cortocircuiti tanto scoperti e tanto naturali, mettendo fianco a fianco elementi culturalmente disparati che si attraggono magicamente dando vita a un’altra dimensione, un’altra realtà, corrispondente a quella intima e tormentata di chi è in preda alla forza bruta dei sentimenti. La potenza della Signora della porta accanto sta in questa eccezionale abilità di mescolare sotterraneamente ingredienti che di solito in superficie sono separati da barriere di genere, categorie, giudizi di valore. La signora della porta accanto è Truffaut allo stato puro.
Paola Malanga, Il cinema di Truffaut, Baldini+Castoldi, Milano 2001

I luoghi in cui si svolge la storia sono quelli della borghesia francese, le accoglienti case di campagna, il circolo del tennis. In questo contesto fondato su regole di convivenza inaggirabili, cortesie e gesti trattenuti, tanto più fortemente esplodono i tratti distruttivi della passione. Il primo bacio tra Mathilde e Bernard avviene nel parcheggio di un supermercato: l’imbarazzo mostrato dai due nel compiere insieme atti ordinari come quello di caricare la spesa in automobile, unito alla spontaneità dell’abbraccio intenso di Bernard e alla reazione violenta dello svenimento di Mathilde, colloca subito la coppia in un mondo parallelo. Se i due sono al colmo della felicità durante gli incontri in albergo, nella clandestinità, questa atmosfera si trasforma nel suo opposto nella vita ordinaria, al punto che Bernard sembra perfino annoiarsi durante le visite a Mathilde in clinica, invitato dal marito di lei.
Daniela Angelucci, La Femme d’à côté, Enciclopedia del cinema Treccani, 2004


Segni perturbanti

I segnali della tragedia, d’altra parte, sono disseminati nel tessuto del film: l’ironia della narratrice Odile nel raccontare il suo tentato suicidio per amore non basta a smorzare l’inquietudine causata dalla sua invalidità; lo scoppio della furia incontrollata di Bernard durante la festa rende evidente che tra i due tutto è perduto. La violenza trattenuta traspare da molti indizi visivi, come il dipinto, appeso accanto alla finestra da cui Mathilde osserva la casa della famiglia Coudray e inquadrato con insistenza, che ritrae un uomo nell’atto di colpire una donna, o come la macchia di sangue troppo larga e vivace che Mathilde, disegnatrice, insiste per pubblicare in un fumetto per bambini.
Daniela Angelucci, La Femme d’à côté, Enciclopedia del cinema Treccani, 2004


Odile, la confidente e la narratrice

Vicino ai due protagonisti, un personaggio importante: Odile Jouve, la confidente e la narratrice; rappresenta il distacco indispensabile per leggere ogni storia d'amore e garantisce di sfuggire a quella pesantezza della simmetria che in genere si riscontra quando è pari il numero di personaggi (in questo caso si tratta di due coppie). La signora Jouve è colei che si rivolge allo spettatore in questi termini: “Se mi chiedessero un epitaffio di quei due, direi: ‘Né con te, né senza di te’”. Con te perché mi uccidi, senza di te perché muoio. Una figura tanto più importante ai fini della poetica dell'esistenza secondo Truffaut, se si pensa che sarà la stessa signora Jouve a non trovare la tranquillità emotiva per affrontare, dopo parecchi anni, il grande amore non corrisposto della sua vita. Questo all'insegna di alcune regole costanti dell'universo truffautiano: infrangere l'idea della precarietà dei sentimenti e dell'amore e insieme smentire l'opinione secondo cui la vita insegnerebbe a vivere. Nei film di Truffaut i personaggi sono dunque più importanti della scenografia, dell'atmosfera, e della storia stessa. È attraverso la loro messa in scena che il regista ottiene quell'ideale organizzazione formale diventata il suo obiettivo primario, secondo un meccanismo per cui i dialoghi e i motivi tematici si dispongono a parlare in modo immediato e trasparente allo spettatore. Truffaut sembra esser giunto al limite di quel processo di semplificazione dello stile che Hitchcock considerava il grado più alto dell'arte cinematografica.
Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro Cinema, Milano 1995


Un film hitchcockiano

Truffaut è noto come uno dei più grandi ammiratori di Alfred Hitchcock, e La signora della porta accanto è un film profondamente hitchcockiano, poiché i suoi veri soggetti sono la colpa, la passione e le terribili conseguenze di un peccato che inizia in modo insignificante. (Possiamo quasi immaginare il fantasma di Sir Alfred recitare la lezione: "Vedi cosa può succederti quando non sei un bravo ragazzo o una brava ragazza"). I due amanti sono criminali, naturalmente, adulteri, traditori, bugiardi, abili nel nascondere le loro emozioni come navigati truffatori. E, come faceva Alfred, Truffaut fa un lavoro brillante nell’offrirci immagini ordinarie quasi spietatamente semplici, mentre sotto la superficie c'è un intreccio labirintico di passione.
Roger Ebert, “Chicago Sun-Times”, 1° ottobre 1981

La suspense suscitata dal rilascio lento delle informazioni sui personaggi e dalle esplosioni improvvise, insieme alla serietà nascosta sotto l’apparente leggerezza, conferiscono al film un’atmosfera quasi hitchcockiana. Una luce fredda e azzurra ricorre in molte scene, in quella finale dell’omicidio-suicidio, ma anche in alcune sequenze notturne in cui Bernard, ossessionato, non riesce a dormire, o traspare nei riflessi blu dei vetri dell’automobile in cui i due fanno l’amore. Elementi esplicitamente da thriller sono usati nell’epilogo tragico, in cui scompare il tono realistico del resto del film. Sentiamo il rumore di passi e il cigolio della porta nella notte, poi vediamo l’inquadratura dei piedi di Mathilde mentre gira intorno alla casa dell’amante indossando un impermeabile chiaro e infine il fascio di luce della torcia usata da Bernard nella casa vuota. Truffaut dirà che da questa scena avrebbe tratto l’ispirazione per il poliziesco in bianco e nero, con Ardant nuovamente protagonista, Finalmente domenica!, suo successivo e ultimo film.
Daniela Angelucci, La Femme d’à côté, Enciclopedia del cinema Treccani, 2004