Signoret & Reggiani

Signoret & Reggiani

“Durante le riprese non ero consapevole dell'importanza di questo film. Prima di tutto, non si sa mai se si sta facendo qualcosa che sarà davvero eccezionale. Si spera sempre, ma non si sa mai. E poi, Jacques non pretendeva di essere alle prese con un capolavoro. Diceva: “Oggi ci divertiamo”. Ed era vero, ci stavamo divertendo. [...] Potrei raccontarvi per ore di come questo film sia stato realizzato con amore, gioia, amicizia e allegria. Credo che lo si capisca quando lo si vede”.
Simone Signoret


Il bravissimo Reggiani pare non abbia troppa presa sul grosso pubblico, abituato agli idoli artificiali e assai spesso volgari, ammanniti dall’industria cinematografica; sembra sia stata la sua presenza causa, in gran parte, dell’insuccesso del film. Eppure egli non solo ha condotto il personaggio in maniera inappuntabile, secco, nervoso, chiuso, con una grande carica interiore, ma ne ha data un’immagine che sembra uscita dalla mano di un grande disegnatore dell’epoca. La sua figura sottile, lo sguardo penetrante e un po’ ironico, con repentini lampi di accensione, la bocca amara, resa sprezzante dall’ombra dei piccoli baffi, quel muoversi a scatti con l’energia di una molla d’acciaio, costituiscono dei caratteri visivi che già di per se stessi incidono profondamente il personaggio. Così la bellezza sensuale, leggermente sfatta, di Simone Signoret, ben si addice al carattere della donna nella quale contrastano sfacciata morbosità, malinconia, passione e fierezza. Un personaggio femminile, che poteva cadere nella maniera o nel luogo comune, ma che invece è costruito in profondità con un vario atteggiarsi corrispondente a una coerenza psicologica che ne illumina tutte le sfaccettature e l’essenza drammatica. Un personaggio non concepibile se interpretato da un’altra attrice, proprio per l’assoluta necessità dell’intuizione artistica.
Questa coppia (Reggiani e Signoret) balza viva dal racconto, perfettamente ambientata in quel periodo del quale riassume con grande evidenza taluni caratteri salienti, anche se da un angolo ristretto e volutamente circoscritto.
Luigi Chiarini, Panorama del cinema contemporaneo 1954-1957, Edizioni di Bianco e Nero, Roma 1957


Casco d’oro era, certamente, un titolo geniale. Si guarda il film pensando a queste parole, e da quel momento lo sguardo, è assorbito dal ‘casco’ di Marie, una capigliatura fieramente raccolta al sommo della testa, che forma una specie di cupola luminosa. Il volto di Simone Signoret regge questo edificio come una straordinaria struttura. L’acconciatura esalta lo sguardo, che esalta la bocca, che rinvia la luce. E diffusa su tutto ciò come un dolce calore, la felicità di amare. Non si comprende nulla di Simone Signoret, se si dimentica che lei è stata quella donna lì, quella donna perfetta, illuminata dall’interno. Portava quell’immagine impressa in lei come una medaglia segreta. E dal momento in cui non fu più Casco d’oro, le fu indifferente invecchiare. Non avrebbe più conosciuto vertici simili, o almeno così lei credeva. […]
Eppure avevano dovuto prenderla per mano Simone, perché questo film lo facesse. Era la prima volta, dal loro primo incontro, che era separata da Montand. Quando Becker la convoca nel marzo 1951, lei è con Montand in Camargue, dove quest’ultimo gira Le Salaire de la peur di Clouzot […].
Partire, lasciare Montand. È un vero strazio. Fa le valige singhiozzando. Abbraccia tutta l’équipe singhiozzando. Montand l’accompagna alla stazione di Nìmes dove lei deve prendere il treno che viene da Parigi per trovarvi Becker. Il treno entra in stazione, e all’improvviso lei smette di singhiozzare. Non fa un gesto per prendere la valigia. Mette le mani sui fianchi, guarda il treno con aria di sfida. […] Come in un sogno, o in un brutto melodramma, piantata sul marciapiede quasi un’allegoria dell’Amore trionfante sugli ostacoli della vita, lei guarda il treno che si allontana. […] Addio Becker, Casco d’oro, Reggiani, Dauphin, le rive della Marna. Addio cinema. Si vede come un’eroina dell’amore.
Rinuncia a cuor leggero al sogno di sempre, a quel ruolo da protagonista che avrebbe fatto di lei una diva e avrebbe sottratto la sua immagine al tempo. […]
Ma l’indomani mattina non è più così fiera. Non fa più la spavalda. Era comunque una parte magnifica. Si era già fatta un’idea precisa dell’acconciatura che voleva, quel casco di capelli, liscio come una cupola dorata. Da un anno e mezzo non gira. La dimenticheranno... E poi, Montand non ha un’aria tanto entusiasta all’idea che lei rinunci alla sua carriera per restargli vicina. È dispiaciuto, certo, chi non lo sarebbe? Ma non ne vuole sapere di una mogliettina. Ci tiene che la sua donna resti quella che lui ha incontrato, un’attrice, una diva. […]
Jacques Becker aspetterà la sera successiva per telefonarle. Dopo due giorni di suspense, lei è sulle spine. È pronta a rispondergli per le rime. Ma lui è più abile. Non va su tutte le furie, come lei si aspettava. Al contrario si congratula: “Un grande amore, è giusto averne cura. Hai proprio ragione, mia cara”. Poi cita il nome di due attrici che starebbero benissimo nella parte.
L’indomani mattina Casco d’oro è seduta sul treno per Parigi.
Catherine David, Simone Signoret, Marsilio, Venezia 1991


Con Becker, l’attore si sentiva sinceramente impegnato a dare il meglio di sé, dimenticando il box-office. Questo atteggiamento affatto sorgivo in Becker ottenne con Casco d’oro gli esiti più cospicui. Serge Reggiani, primo tra gli altri, ha magistralmente interpretato Manda perché ha condiviso il punto di vista del regista che intendeva togliere al personaggio quel piglio brutale che caratterizza il vero Manda, quello che riempiva di sé le colonne delle cronache giudiziarie. […] Serge Reggiani ha pienamente restituito la fierezza e la passionalità del suo personaggio con una serrata economia di battute e una dizione scarna, essenziale, incurante di ogni effetto, di ogni frangia illustrativa: la sua è una recitazione tutta di filato, imbocca il tono giusto e va dritto fino alla fine.
Alfonso Canziani, Cinema francese 1945-1967, parte prima, Marzorati editore, Milano 1968