Tra sogno (incubo) e realtà

Tra sogno (incubo) e realtà

“E quando fu sul ponte, gli vennero incontro i fantasmi”



Tutto qui è reale, e nulla è reale: la realtà si trasforma in sogno, il sogno in realtà. L’eterea sensazione dell’alterazione mentale trova una base in dettagli materiali, concreti; ma anch’essi, come i brevi tratti di dialogo (che a loro volta ci arrivano come filtrati dalla nebbia), sembrano solo accentuare il senso di dislocazione, l’impenetrabilità di quanto sta accadendo. Nulla può essere spiegato. La sensazione indotta da Vampyr nello spettatore è stata così descritta: come se qualcuno che non riusciamo a riconoscere stesse alle nostre spalle. Nelle parole di Dreyer: “Immaginiamo di essere seduti in una stanza. Improvvisamente, ci viene detto che dietro la porta c’è un cadavere. Di colpo la stanza in cui ci troviamo ci appare completamente diversa, tutto in essa ha assunto un altro aspetto; la luce, l’atmosfera sono cambiate, per quanto siano fisicamente identiche a prima. Questo perché noi siamo cambiati, e gli oggetti sono così come noi li percepiamo. Questo è l’effetto che voglio ottenere nel mio film”.

Peter von Bagh *




Oserei dire che qui siamo molto vicino all’onirico allo stato puro. Vampyr è un film dell’oltretomba, un film funereo e sepolcrale, che trasforma in ombra e polvere – che dico – in polvere d’ombra tutto ciò che vive e cammina. Polverizzarsi della luce e polverio vegetale che favoriscono la fuga della giovane coppia, insabbiamento nella farina del dottore satanico, ombre erranti restituite alla fine al riposo della terra... La ruota del tempo scandisce i destini, macina gli esseri e le cose sotto il suo assurdo meccanismo e lascia sussistere solo un residuo di stelle.

Claude Beylie, Vampyr. La Roue semeuse d’étoiles, “Midi Minuit Fantastique”, n. 20, 1968




L’irreale è ovunque, e in primo luogo in noi, negli oggetti. Per farlo sorgere, non serve aggiungere qualcosa alle apparenze, è sufficiente cercare all’interno della materia, esplorare, chiudere talvolta gli occhi o, soprattutto, guardare in altro modo. L’immaginazione è alla base di questa ricerca [...].
Per interpretare il mondo in tutti i suoi aspetti, Dreyer unisce con l’immagine ciò che la ragione separa troppo spesso con l’analisi. Elementi contraddittori come invisibile e visibile, noto e ignoto, naturale e soprannaturale, qui e altrove, umano e non umano formano in definitiva una totalità perfetta e indivisibile. La percezione realistica e l’immaginazione costituiscono una visione mentale che si immerge nel cuore del mondo e delle apparenze, nel tentativo di guardare al di là. Per farlo, l’autore non modifica la forma e la materia degli esseri e degli oggetti, le illumina semplicemente in maniera personale identificando la sua visione con quella di David Gray.

Claude Perrin, Carl Th. Dreyer, Editions Seghers, Parigi 1969




Realtà e sogno, soprannaturale e naturale scivolano gli uni negli altri senza soluzione di continuità. C'è un'unica dimensione che li comprende entrambi, e chi si attarda a distinguere e ordinare gli eventi seguendo un nesso causale è perduto. [...] Allo spettatore è richiesto di abbandonarsi senza riserve e di identificarsi nel viaggio agli inferi di Allan Grey. Abbattuta l'opposizione tra reale e onirico, restano solo quelle tra vita e morte, salvezza e dannazione, suggerite fin dall'inizio dal montaggio alternato tra un uomo con la falce in spalla che vuole traversare il fiume e l'insegna con un angelo che sormonta la locanda dove arriva Grey. E tuttavia queste due opposizioni sono incrociate a formare una sorta di chiasma. La salvezza si trova nel poter morire, la dannazione nell'essere condannati a vivere. [...]
Il disorientamento è dato anche dalla struttura linguistica del film. Carl Theodor Dreyer usa piani-sequenza con panoramiche di interni che, pur suggerendo il senso di esplorazione e di attesa, dovrebbero dare certezza dello spazio filmico. Tuttavia l'effetto è opposto: in parte attraverso l'uso del montaggio incrociato, e soprattutto attraverso la costante ambiguità tra inquadrature soggettive e non soggettive, lo spettatore crede spesso di vedere la scena dal punto di vista del personaggio principale, ma presto si accorge di essere stato ingannato. C'è sempre un ulteriore punto di vista in agguato, che fa perdere ogni chiaro riferimento spaziale e narrativo, obbligando a continui riaggiustamenti percettivi. Celebri sono anche le inquadrature sfumate degli esterni, i dettagli di mani e la soggettiva di un morto: ultimo e irraggiungibile punto di vista.

Ettore Rocca, Vampyr, Enciclopedia del Cinema Treccani, 2004






* Saggio inedito contenuto nel booklet del cofanetto Vampyr (Edizioni Cineteca di Bologna), in corso di pubblicazione