Mio caro Maigret

Mio caro Maigret

Il celebre commissario parigino ideato da Georges Simenon compare per la prima volta in un romanzo del 1929, Pietr-le-Letton (in italiano Pietr il Lettone), concepito a bordo del cutter Ostrogoth durante uno scalo nel piccolo porto olandese di Delfzijl (dove oggi c'è una statua di Maigret a ricordo del fatidico momento creativo). L'autore ha solo ventisei anni, il personaggio quarantacinque, età che manterrà quasi sempre nel corso del tempo finché Simenon non deciderà di mandarlo in pensione, cinquantacinquenne, nel 1972 (Maigret et Monsieur Charles). Jules François Amédée Maigret esteriormente non ha l'aria intelligente o furba, anzi ha un'espressione bovina. Centodieci chili per un metro e ottanta di altezza, con l'immancabile corredo di cappello, camicia bianca, bretelle e gilet, il commissario si presenta subito come un uomo comune, dai gusti semplici e genuini: beve volentieri, mangia con molto piacere e fuma perennemente la pipa. Un piccolo-borghese di provincia (è nato a Saint-Fiacre sur Matignon), florido e gaudente, "un prodotto e un riflesso ideologico della III e della IV Repubblica", è stato detto. Ma non è né ottuso né gretto, e il suo umanissimo senso del dovere nasce dalla consapevolezza di aver avuto una vita facile e dalla disillusione subentrata con l'età adulta. "Avrebbe tanto desiderato che il mondo fosse come lo si vede da piccoli. Nel suo intimo lui diceva: come nelle illustrazioni!". Da questa collisione tra il sogno infantile e la realtà storica deriva la sua percezione della tragedia contemporanea. Jean-Luc Godard, interpretando l'entusiasmo degli appassionati di Maigret, ha stabilito che Simenon = Dostoevskij + Balzac. Può sembrare un'equazione eccessiva se riferita proprio alla produzione di genere dello scrittore francese, generalmente considerata minore e definita 'semi-alimentare' dallo stesso Simenon; e fuori luogo se riferita in particolare al commissario, una figura che si schermisce affermando di non avere mai idee, di non pensare mai a nulla. Tuttavia Maigret, a dispetto delle apparenze, possiede una filosofia di vita che tanto spicciola non è, mentre Simenon, con un vocabolario di appena duemila parole (tante sono quelle che adopera nei polizieschi), restituisce una realtà ricca e complessa come difficilmente si sospetta considerando la trama delle sue storie. Maigret è convinto che il marcio esista ovunque e non a caso scopre quasi sempre che il colpevole è più di uno, anche se poi ritiene che non esistano veri colpevoli e che tutti in fondo siano vittime. Pur appartenendo alla polizia della capitale francese, crede poco o, meglio, non crede più nella Giustizia e nei sistemi da essa adottati per ristabilire l'ordine sociale. Per questo s'incarica di smascherare l'ipocrisia e la corruzione della società a modo suo, dimostrandosi duro con gli arroganti e pieno di compassione per gli umili e gli sfruttati. Ciò che gli interessa non è giudicare e punire i criminali, ma piuttosto capire come e perché hanno agito. Cerca di calarsi nei loro panni non tanto dopo quanto prima che abbiano commesso un delitto, e talvolta si sente più vicino a loro che non ai colleghi poliziotti. II suo metodo d'indagine viene di conseguenza: diverso sia da quello esclusivamente deduttivo dell'investigatore anglosassone, sia da quello cinico e duro che contraddistingue i detective americani, non fa mai appello al puro raziocinio, bensì lascia ampio spazio all'intuizione, all'azzardo, alla fantasia. Nelle indagini del commissario non mancano certo impronte digitali e simili soluzioni poliziesche, ma lui non sembra farci troppo affidamento, sicuro com'è che le prove vadano ricercate con altri strumenti, più umani, tra cui innanzitutto la capacità di individuare le contraddizioni e le incrinature insite nella vita di ogni giorno. Per qualcuno Maigret è più uno psicoterapeuta che un investigatore, è un confidente, un confessore ideale che si sforza di comprendere lasciando le sentenze al giudice Coméliau, il suo nemico (di classe, è stato scritto), se mai decide di consegnare i responsabili alla giustizia. Ipotesi evidentemente rafforzata dallo stesso Simenon, che ha dichiarato di seguire, attraverso il suo alter ego, una pratica simile a quella psicoanalitica nell'approccio ai personaggi, e di non credere all'esistenza di colpevoli da condannare. Il contesto in cui il commissario compie le scoperte più rilevanti è quasi sempre quotidiano, apparentemente insignificante e di scarsa ispirazione: ristoranti, trattorie, bar, case private. I momenti legati al cibo, al bere, alla siesta consentono di stabilire un contatto più libero con la realtà e favoriscono le illuminazioni improvvise. A volte si ha quasi l'impressione che la vicenda poliziesca sia concepita solo come un'occasione - forse un pretesto - per penetrare in ambienti diversi. Lo scioglimento dell'intreccio è un pedaggio pagato al genere, ma quello che davvero conta è ogni singolo momento della storia, ogni dettaglio riportato con un procedimento vagamente proustiano: l'aria, gli odori, i colori, il paesaggio, il clima, le abitudini. Non è tanto una questione di memoria involontaria, attivata per ritrovare il tempo perduto, quanto un'attenzione sensoriale alle piccole cose della quotidianità presente. Non a caso, dunque, Maigret è uno dei pochissimi investigatori di cui si conosce a fondo la vita privata. Lo vediamo aggirarsi nervoso e irritabile tra le pareti della sua casa parigina, al 130 di boulevard Richard-Lenoir, dove la costante presenza di Louise, moglie encomiabile e casalinga perfetta, garantisce al commissario la tranquillità e l'affetto necessari a sopravvivere in un mondo ben diverso da quello fantasticato da bambino. Impossibile immaginare il commissario senza questo coté domestico e i rituali a esso legati: le stanze piene di fumo, la birra sempre fresca, il calvados sorseggiato mentre la signora Maigret sferruzza o cucina una specialità delle sue. ascoltando gli sfoghi del marito e dandogli qualche prezioso suggerimento. Così come è impossibile scindere il personaggio dal contesto urbano della capitale francese, il quartiere in cui abita (l'XI arrondissement), il Quai des Orfèvres, la brasserie Dauphine, o dai suoi fedelissimi Lucas, Janvier, Lapointe, Torrence. Tutto ciò concorre a creare la celebre e inafferrabile atmosfera simenoniana, forse l'aspetto più originale delle sue opere poliziesche, certamente quello che meno è stato tradotto al cinema. Il commissario Maigret è al centro di ottantaquattro romanzi e diciotto novelle, suddivisi in tre cicli narrativi (1929-33; 1938-41; 1945-72), nel corso dei quali i progressivi aggiustamenti evidenziano la sua vocazione di "raccomodeur des destinées". I risultati migliori appartengono al primo e al secondo periodo. Successivamente Simenon appronta un metodo di lavorazione 'in serie' (sette giorni è il tempo medio di ideazione e scrittura per un nuovo giallo), arrivando a confezionare opere di abilissimo artigianato, comunque godibili, ma di minore originalità narrativa e stilistica rispetto a quelle che avevano aperto la serie. Nel 1979, lo scrittore pubblica su Le Nouveau Illustre una affettuosa lettera di auguri all'amico Maigret, ritiratosi dall'attività qualche anno prima, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua nascita letteraria. E l'ultimo commiato di Simenon dal celeberrimo personaggio, "uno dei pochi da me creati, se non l'unico, che abbia dei tratti in comune con me".

Paolo Mereghetti. Il Mereghetti. Dizionario dei film 2014, Baldini & Castoldi, 2013

 

 

Losanna 26 settembre 1979

 

M. e Mme Maigret

Meung-sur-Loire

 

Mio caro Maigret, sarà probabilmente stupito di ricevere una lettera da me, visto che ci siamo lasciati circa sette anni fa. Questo è il cinquantesimo anniversario del giorno in cui a Delfzijl ci siamo conosciuti. Voi avevate circa quarantacinque anni. Io venticinque. Ma voi avete avuto la fortuna, in seguito, di trascorrere un certo numero di anni senza invecchiare. Soltanto alla fine delle nostre avventure e dei nostri incontri avete raggiunto l'età di cinquantatre anni che all'epoca era il limite di età per i poliziotti, anche se per un commissario di divisione come voi era di cinquantacinque. Quindi quanti anni avrete oggi? Non lo so, visto il privilegio di cui avete goduto per parecchio tempo. Al contrario io sono invecchiato e molto più velocemente di voi, come un comune mortale e adesso ho già da un pezzo passato i sessantasei anni. Non so se voi abitiate ancora nella vostra piccola abitazione in campagna a Meung-sur-Loire e se voi peschiate ancora con la canna; se riparato da un largo cappello di paglia vi occupiate sempre del vostro giardino; se madame Maigret vi prepari sempre quei piccoli piatti che voi amate tanto e se vi capiti, come capita anche a me, alla vostra età di andare a giocare a carte al bistrot del villaggio. Eccoci tutti e due in pensione e, spero per voi, assaporando entrambe i più piccoli piaceri della vita fiutando l'aria del mattino, osservando con curiosità osservando con curiosità la natura e gli esseri intorno a noi. Ci tengo farvi gli auguri per questo anniversario, a voi e alla vostra signora. Ditele che grazie ad un certo Courtine, cui possiamo meritatamente conferire il titolo di re dei cuochi, le sue ricette di cucina hanno fatto il giro del mondo e che, per esempio, sia in Giappone che nell'America del Sud i gourmand non mancano mai di mettere qualche goccia di prunella d'Alsazia quando preparano il pollo al vino. Quanto ai vostri successori al Quai des Orfèvres ce ne sono stati molti che hanno adottato il vostro metodo e le vostre procedure, e alcuni tra loro, anche dopo essere andati in pensione, hanno scritto le loro memorie facendo seguire il loro nome dall'espressione "alias commissario Maigret".L'avete davvero meritato. Vi abbraccio con commozione, voi e madame Maigret, che probabilmente non immagina che molte donne la invidiano, che molti uomini vorrebbero aver sposato una donna come lei e che un'affascinante giapponese, tra le altre, interpreta il suo ruolo in televisione, mentre un giapponese rappresenta proprio voi.

Affettuosamente

Georges Simenon