Il capolavoro di Billy Wilder

Il capolavoro di Billy Wilder

Ricordo molto, molto bene come è nato L’appartamento. Vidi Breve incontro di David Lean, e nel film Trevor Howard era il protagonista. Un uomo sposato ha una relazione con una donna sposata, e usa l'appartamento di un compagno per i suoi scopi sessuali. Ho sempre avuto in testa che l’amico di Trevor Howard, che appare solo in una o due piccole scene, che torna a casa e si getta sul letto caldo che gli amanti hanno appena lasciato, sarebbe stato un personaggio molto interessante. Ne presi qualche appunto, e anni dopo, dopo aver finito A qualcuno piace caldo, volevamo fare un altro film con Jack Lemmon. Mi capitò tra le mani quella nota, e ci mettemmo a parlare del personaggio, incominciammo la struttura, attaccammo con i tre atti, gli altri personaggi; elaborammo lo schema, e quando avemmo abbastanza materiale allora lo passammo a Mr. Lemmon e a Walter Mirisch e alla United Artists.
(Billy Wilder)



Avevamo il personaggio e la situazione, ma non avemmo una trama finché non ci fu uno scandalo locale. Un agente che aveva una relazione con una cliente venne ucciso dal marito della donna. Ma l’interessante era che lui stava usando l’appartamento di uno dei suoi sottoposti all’agenzia. Quello ci dette il tipo di relazione giusta per la trama, qualcuno che sta usando il più basso della sua compagnia, approfittando del suo appartamento.
(I.A.L. Diamond)



L’idea (suggerita da Breve incontro di David Lean) giacque per anni nel taccuino di Wilder, in un appunto che diceva: “Film su un tizio che si infila nel letto ancora caldo lasciato dai due amanti”. Con l’allentarsi della censura arrivò alfine l’ora di mettere in scena L’appartamento. Esiste una commedia drammatica migliore e più agrodolce sulla vita americana contemporanea? Probabilmente fra anni la risposta continuerà a essere no. Moderna fino al midollo, questa ‘favola sporca’ è un capolavoro romantico e sociale su un impiegatuccio di una grossa azienda. Il suo appartamento diventa una gargonnière per gli amorazzi degli alti papaveri della ditta, e Jack Lemmon, l’inimitabile C.C. ‘Bud’ Baxter, involontario lenone di buon cuore, perpetuamente raffreddato, fa una rapida e dubbia carriera; ma si innamora della ragazza dell’ascensore, Fran Kubelik (Shirley MacLaine), che si incontra di nascosto nel suo appartamento con Fred MacMurray, l’arcitanghero boss J.D. Sheldrake, e si ribella. Nel 1961 Wilder fu incoronato da un triplice Oscar: per la sceneggiatura (con Diamond), per il film e per la regia. Il commediografo Moss Hart, consegnandogli il secondo dei tre premi, gli bisbigliò nell’orecchio: “È ora di mollare, Billy”. Queste parole assillarono Wilder, conscio già allora che L’appartamento era un vertice difficilmente superabile. Postilla: Lemmon e la MacLaine persero il premio per l’interpretazione a favore di Burt Lancaster nel Figlio di Giuda e di Elizabeth Taylor in Venere in visone. Di rado l’assegnazione degli Oscar è stata più iniqua.
(Cameron Crowe, Conversazioni con Billy Wilder, Adelphi 1999)




Nel 1960 L’appartamento fu premiato con cinque Oscar, tra cui quello per il miglior film, per il miglior soggetto originale, per la migliore regia e per la migliore scenografia. Per la prima volta nella storia del cinema, un solo artista aveva cumulato sulla propria persona ben tre Oscar. Wilder, che tre anni prima, con A qualcuno piace caldo, aveva avuto delle onorevoli nominations che sommate alla popolarità del film equivalevano ad altrettanti Oscar, è all'apice del successo. È il cineasta più brillante, aggressivo e osannato di Hollywood. Ha girato un film su New York nel quale pulsa il cuore della città, un film sul mondo del terziario, motore della società newyorkese. La giovane Shirley MacLaine, ventiseienne, con i suoi capelli corti e la sua impacciata spensieratezza, con il nasino all'insù spruzzato di efelidi e i suoi disarmanti sorrisi e pianti da clown, è la star del momento, il tipo di donna disinvolta e insieme sentimentale che annuncia gli anni Sessanta. Jack Lemmon, il suo partner, piccolo eroe che si dibatte nella metropoli, fortunello e insieme scalognato, impersona il primo nevrotico metropolitano del nuovo decennio, precorrendo Woody Allen. Insieme, Shirley e Jack formano la coppia più riuscita di Wilder, che si innamora per vie traverse e per vie traverse manifesta il proprio affetto. Per la prima volta si vedono due innamorati la cui sessualità deriva da ciò che essi hanno da dirsi, e dalle vicissitudini che si trovano a condividere.
Credo che anche Wilder consideri L’appartamento il suo film migliore, non foss’altro perché il successo e la fama esteriori vi si trovano perfettamente bilanciati con la soddisfazione interiore. Il film uscì nel momento ideale, poiché esprimeva al meglio il sovvertimento del passaggio dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta. Wilder aveva accarezzato a lungo l'idea di portare sullo schermo la storia del piccolo impiegato che si improvvisa mezzano per fare carriera – adesso i tempi erano maturi.
Sebbene Wilder, quando gli si chiede quale sia il suo film preferito, ami rispondere con la metafora del bambino deforme che i genitori hanno più caro, nondimeno è giustamente orgoglioso di quel prodotto del suo amore così ben riuscito. In L’appartamento si manifesta il suo amore per New York, il suo amore per le persone qualunque che improvvisamente, come appunto Lemmon nel film, diventano eroi qualunque, e il suo amore per la civile convivenza tra vicini, che si aiutano e si stimano anche senza comprendersi a fondo.
(Hellmuth Karasek, Un viennese a Hollywood. Billy Wilder, Mondadori 1993)




Mescolare commedia e dramma è notoriamente difficile, ma L’appartamento lo fa sembrare facile. Come un Martini perfettamente dosato, il film ha quel tanto di emozione che basta a compensare il suo paralizzante caustico cinismo; come la migliore salsa agrodolce, non permette mai che il sentimento abbia la meglio sull’asprezza, o viceversa. Il risultato è uno dei film più amati e appaganti di Billy Wilder. Tra satira spietata e fascino esuberante, L’appartamento alterna momenti dolorosi come un pugno allo stomaco e scene esilaranti. Ispirandosi a un’idea scribacchiata dopo aver visto Breve incontro (1945), Wilder prende la storia pruriginosa di un impiegato che per far carriera presta il suo appartamento ai superiori in vena di scappatelle e la trasforma in una sorprendente e sentita difesa della dignità umana. Jack Lemmon, mai così divertente e così commovente, è un uomo che fa del suo meglio per conformarsi a una cultura volgare, superficiale e spudoratamente sessista. Shirley MacLaine infonde un brio corroborante in colei che è una vittima di tale cultura, una donna che sembra prendere le distanze da se stessa esprimendo commenti taglienti sul proprio pathos. Sono circondati da un cast di personaggi secondari disegnati con il tratto elastico ed esuberante delle caricature di Al Hirschfeld, cui Wilder e I.A.L. Diamond mettono in bocca battute gioiosamente chiassose e intelligenti. Le scenografie di Alexandre Trauner (sue quelle di Les Enfants du Paradis), valorizzate dall’incisiva fotografia in bianco e nero di Joseph LaShelle in formato widescreen, ricreano con ricchezza e verosimiglianza la New York degli anni Cinquanta, dall’enorme e alienante ufficio – citazione visiva di La folla (1928) di King Vidor – alla vissuta semplicità dell’appartamento. Wilder si portò a casa tre Oscar (sceneggiatura, regia e miglior film) e lasciò agli spettatori la vigilia di Natale più allegramente deprimente, la partita di carte più struggente e forse la più esilarante preparazione di un piatto di spaghetti.
(Imogen Sara Smith, Il Cinema Ritrovato XXXII edizione, Edizioni Cineteca di Bologna 2018)




La prima a Berlino Est

Ero stato invitato a tenere una piccola conferenza alla Möwe. Die Möwe era un ritrovo per artisti a Berlino Est, vicino al teatro di Brecht sul Schiffbauerdamm: una ridondante sala guglielmina dove dopo la fine della guerra erano stati organizzati gli incontri culturali fra tedeschi e sovietici. In seguito divenne il principale luogo di ritrovo degli operatori culturali di Berlino Est. Proiettarono il mio film L'appartamento e gli invitati, funzionari del ministero della Cultura sovietico, cineasti e teatranti della DDR, della Polonia e dell'Unione Sovietica, applaudirono. […]
La sera, dopo gli applausi tributati a L'appartamento, vengo elogiato come critico della società, come uno che ha smascherato il mondo capitalistico delle merci e della concorrenza, dove tutti sono costretti a vendersi. Mi alzo in piedi, e comincio a parlare. Dico che quello che si vede nel film in realtà potrebbe accadere ovunque: a Tokyo come a Londra, a Parigi come a Monaco. Al mondo c'è una sola città dove non potrebbe accadere: Mosca. Applausi adulati del pubblico della Möwe. “A Mosca no” proseguo “perché lì Lemmon non potrebbe proprio prestarlo il suo appartamento: dentro ci abiterebbero infatti altre tre famiglie”. Silenzio imbarazzato.
(Billy Wilder)