Dall'idea al film
Miloš Forman giunse con questo lungometraggio a firmare la sua terza opera, insieme al proprio gruppo artistico ormai collaudato, in cui lo affiancarono i futuri cineasti Ivan Passer e Jaroslav Papoušek, il direttore della fotografia Miroslav Ondříček e, soprattutto, i supervisori alla produzione Jirí Šebor e Vladimír Bor, capaci di prendere le difese dei progetti anomali del giovane cineasta dinanzi alla burocrazia di regime. Per molti versi, Gli amori di una bionda riassume procedimenti, personaggi e situazioni collaudati nei due lungometraggi precedenti, Konkurs (Il concorso, 1963) e Černý Petr (L'asso di picche, 1964), portandoli a un considerevole grado di perfezionamento sul piano narrativo e della messinscena. Per altri aspetti, la cristallizzazione delle precedenti caratteristiche stilistiche preannuncia il passaggio alle forme narrative più strutturate di Hoří, má panenko! (Al fuoco, pompieri!, 1967) e portò taluni a parlare di manierismo nella regia di Forman.
(Francesco Pitassio, Enciclopedia del cinema, Treccani, 2004)
L'asso di picche impone a livello internazionale non solamente un autore, ma anche una cinematografia, funzionando come 'locomotiva' per tutte le opere della nová vlna. Il film è invitato al New York Film Festival e Forman ha così l'opportunità di visitare per la prima volta gli Stati Uniti. Catechizzato da solerti funzionari sui pericoli che correrà nell'immondezzaio dell'occidente, il regista è molto cauto nei rapporti interpersonali (in particolare con le donne, certamente incaricate dalla CIA di sedurlo per fargli tradire il Socialismo); così passa molto del suo tempo chiuso in una stanza d'albergo, e soltanto negli ultimi giorni comincia ad apprezzare la città di New York, alla quale dà l'addio con una sbornia solenne presa - finalmente - in compagnia delle due deliziose accompagnatrici che l'organizzazione del festival gli ha assegnato.
Tornato a Praga, un incontro casuale gli fornisce lo spunto per il suo secondo lungometraggio. Rientrando a casa di notte, si imbatte in una ragazza che vaga per le strade trascinando a fatica una valigia. Incuriosito, il regista la avvicina e intavola una specie di conversazione. Viene così a conoscenza di una storia piccola e banale, cioè interessante e vera. La ragazza, che abita in una cittadina di provincia, ha avuto una love story con uno studente capitato là con una comitiva. Questi se ne è poi andato, lasciandole un indirizzo di Praga. Ma, ora che la ragazza è venuta a cercarlo, ha scoperto che nessuno che risponda a quel nome risiede al recapito in suo possesso, evidentemente falso. Così si sta dirigendo mestamente alla stazione, dove alla cinque del mattino parte il treno che la riporterà a casa. Forman, mosso a compassione, accompagna la ragazza alla ferrovia. Viene in tal modo a conoscenza di altri particolari. La cittadina, Varnsdorf, è un centro tessile ai confini con la Germania, spopolatosi durante le epurazioni degli abitanti di lingua tedesca, dove le donne sono in netta maggioranza rispetto agli uomini. In seguito Forman conosce un'altra ragazza della stessa cittadina, letteralmente fuggita di là perché - dice - solo così potrà trovare marito. Al paese, infatti, non ci sono neppure i militari che, evidentemente per ragioni strategiche, sono stati trasferiti altrove.
Forman e i suoi fedelissimi, i soliti Papousek e Passer, si mettono subito al lavoro su questa storia. Il secondo lungometraggio del regista non nasce così da una novella, come L'asso di picche, ma da una reale, piccola tragedia individuale con un suo preciso background.
(Paolo Vecchi, Miloš Forman, Il Castoro/La Nuova Italia, Firenze, 1981)
In quel periodo non mi ero ancora risposato per la seconda volta e molto spesso trascorrevo le notti passando da un amico all'altro, da un locale all'altro. Un giorno mentre tornavo a casa in auto dopo la mezzanotte in via Vsehrdova, improvvisamente ho visto camminare sul ponte una ragazza con una valigia. Mi sono fermato ed ho chiesto se le servisse aiuto. Così mi ha raccontato che era venuta a trovare un ragazzo che aveva conosciuto poco tempo prima da lei a Varnsdorf. A Praga però capì che l'indirizzo che le era stato dato, era falso. Fu lei a raccontarmi della situazione a Varnsdorf, che poi ho utilizzato per il film. Una cittadina vuota dopo la deportazione dei tedeschi, un'enorme fabbrica tessile, molte più ragazze che ragazzi. A Zruc la situazione era analoga, l'unica differenza stava nella fabbrica, che era nuova e vicino a Praga.
(Miloš Forman)
Intanto L'asso di picche vince il Festival di Locarno, e questo rafforza la posizione contrattuale di Forman nei confronti della produzione. Così non ci sono problemi per realizzare Gli amori di una bionda, e il regista, che ha scelto come ambiente la cittadina di Sruc, si accinge a riempire il cast. Come al solito, si tratta di un misto di professionisti (l'attore-feticcio Vladimír Pucholt, il bravissimo Vladimír Menšík) e dilettanti. Questi ultimi sono scelti tra gli amici e i conoscenti di Miloš, e tra essi spiccano la protagonista, Hana Brejchová, sorella della prima moglie del regista, Josef Šebánek, zio della moglie del cameraman, che interpreta la parte del padre di Milda, e Josef Kolb, che in pratica interpreta se stesso, essendo responsabile delle pubbliche relazioni della fabbrica nella quale si gira il film.
(Paolo Vecchi, Miloš Forman, Il Castoro/La Nuova Italia, Firenze, 1981)
Ho concesso il ruolo alla sorella di Jana non per vendicarmi verso la mia ex-moglie, come mi veniva rinfacciato dal gossip, ma perché la conoscevo benissimo da molto tempo e sapevo che era talentuosa. Jana tendeva sempre a rendere la scena più intellettuale, Hana invece era più semplice, più genuina, magari anche perché la sua bellezza non era così evidente. Aveva una sconvolgente capacità di esprimersi liberamente, con il pericolo di non capire quando c'era da smettere. Però Vladimír Pucholt riusciva a tenerla fermamente nel ritmo della scena, in maniera molto professionale.
(Miloš Forman)
Gli amori di una bionda ottiene un grandissimo successo di pubblico, tanto da diventare uno dei maggiori best seller del cinema cecoslovacco di tutti i tempi. Non mancano, naturalmente, le polemiche. Soprattutto, secondo Škvorecký, si rimprovera al film di "rivelare un segreto di stato: che la gente, mentre fa l'amore, di solito è svestita". C'è chi addirittura scrive lettere anonime al regista, minacciandolo di morte. A dispetto di questi soprassalti di "moralismo socialista", il film fa il giro dei principali festival del mondo, Venezia, Londra, New York, e ottiene la nomination all'Oscar, vinto poi da Un homme, une femme di Lelouch. Moris Ergas, braccio destro di Carlo Ponti, fiuta odore di denaro e ne acquista i diritti per l'occidente. Ma la durata è ritenuta insufficiente e Forman è pregato di girare una sequenza addizionale, magari con donne nude, in modo da raggiungere i canonici novanta minuti. Il regista, nonostante le accuse di immoralità che gli vengono da parte di alcuni suoi connazionali, si piega soltanto alla prima parte della richiesta. Aggiunge così l'episodio di Milda che, a Praga, accompagna a casa una ragazza, con la gag molto divertente dello scambio di finestre, parzialmente ripetuta poi in Taking Off.
(Paolo Vecchi, Miloš Forman, Il Castoro/La Nuova Italia, Firenze, 1981)