Casco d'oro, diamante nero

Casco d'oro, diamante nero

Casco d’oro è una grande storia d'amore, una grande storia d’amicizia, una grande storia di morte...”
Jacques Doniol-Valcroze


È difficile credere che Casco d’oro, oggi considerato da tutti il capolavoro di Jacques Becker, sia stato largamente respinto alla sua uscita in Francia perché considerato una delusione rispetto ai precedenti film dell’autore. Sembra che a deludere la critica francese sia stato il fatto che Becker, fino ad allora considerato il cronista della società francese contemporanea, avesse realizzato un dramma in costume. Ma per Becker Casco d’oro non era un film in costume in senso tradizionale. “Volevo che i miei attori si comportassero come se vivessero all'epoca in cui è ambientato il film”, ha spiegato, “non come se indossassero dei costumi”. La sua ricostruzione della Parigi fin-de-siècle è minuziosamente dettagliata ed esatta, e all'interno di essa il cast si muove, parla e si comporta come se fossero nel loro habitat naturale.
Philip Kemp, “Sight and Sound”, dicembre 2012


A Bruxelles, dodici critici hanno appena assistito alla prima del nuovo film di Jacques Becker, Casco d’oro. Hanno sbadigliato all’unisono.
È un disastro. Un fiasco. Un incubo che nessun regista vorrebbe fare. Un errore colossale.
Alla prima mondiale in Belgio, il capolavoro di Becker ha tenuto il cartellone per quattro giorni. A Parigi è ancora peggio, e ciò fa più male. È la disfatta. In coro, i critici denunciano “la volgarità del dialogo e delle immagini”, la povertà dell’intrigo, la rozzezza dei costumi. Lo sconvolgente Serge Reggiani è piaciuto ancor meno di Claude Dauphin, Raymond Bussières, Loleh Bellon, Simone Signoret. La sua naturalezza, la sua semplicità, la sua fragilità non hanno avuto successo. Troppo commovente, troppo autentico, egli non è conforme all’idea che i critici cinematografici, all’inizio degli anni Cinquanta, hanno del buon artigiano ben piantato sulle spalle. […]
La visione di Becker è troppo fresca, troppo fedele alla realtà storica per non sconcertare. Gli sguardi abituati ai pepli, ai costumi Luigi XV, alla moda new-look, non ci si ritrovano in quella autentica ricreazione del mondo delle canaglie della Belle époque. Jacques Becker innova con i suoi scrupoli storici, con l’amore per il dettaglio, con la precisione. Non bara con il viaggio nel tempo. E da questo intenso realismo, da questa volontà di verità, sgorga la poesia inimitabile di Casco d’oro che rende questo film immortale. Perché la verità dello sfondo, della visione, si riflette sui personaggi. Immersi in questo universo, parlano necessariamente in modo giusto, hanno il volto e l’abito dell’epoca loro, e anche i loro gesti hanno una specie di precisione storica. È una visione troppo veritiera, troppo indipendente dagli stereotipi per non essere in anticipo sui tempi. Bisognerà aspettare che gli stereotipi cambino. Solo allora, alla generazione seguente, l’opera apparirà nella sua dimensione atemporale.
Sarebbe stato proiettato di nuovo a Parigi solo dieci anni dopo, circonfuso di una fama mondiale. Un trionfo in Germania, in Italia. In Inghilterra era stato premiato dalla British Academy Award. Ma Jacques Becker, che era diventato amico intimo di Simone Signoret e Yves Montand, era morto nel 1960, senza sapere che il suo film sarebbe diventato un classico.
Catherine David, Simone Signoret, Marsilio, Venezia 1991


Il film esce a Parigi il 16 aprile 1952, dopo una prima proiezione a Bruxelles dove l’accoglienza del pubblico è molto fredda. A Parigi le reazioni sono identiche. […] La critica non riconosce l’originalità del film […]
Jacques Becker ha indubbiamente sofferto per l’insuccesso commerciale e di critica. Nel settembre 1955, André Bazin inserisce nel Petit journal intime du cinéma dei “Cahiers du Cinéma” un testo intitolato Autocritique in cui rileva questa incomprensione dell’epoca: “Gli ultimi film di Becker, l’ammirazione feroce di certi critici inglesi, e quella di Truffaut e Rivette per Casco d’oro, mi hanno scosso sempre più. In breve, mi sono convinto che la severità dei miei articoli del 1952 fosse ingiusta e che il film meritasse di essere riabilitato. Stavo sottovalutando la verità. Ora non solo dico che Casco d’oro è il miglior film di Becker, ma anche il più bello. Con questo intendo dire che il resto della sua opera si colloca più sul versante della commedia, mentre Casco d’oro si colloca sul quello della tragedia con tutto ciò che il genere implica di nobile e grandioso. È certamente uno dei più bei film francesi del dopoguerra e il suo mezzo fallimento critico è ancora più ingiustificabile del suo mezzo fallimento commerciale. Per quanto mi riguarda, sto esprimendo tardivamente la mia confusione. Il rimorso per Casco d’oro si aggiungerà d’ora in poi a quello per Les Dames du bois de Boulogne nella mia coscienza critica”.
Valérie Vignaux, Jacques Becker ou l'exercice de la liberté, éditions du Céfal, Liegi 2000