Semplicemente David Lynch

Semplicemente David Lynch

Una storia vera è il mio film più sperimentale
David Lynch

 

Ho pianto tantissimo girando Una storia vera, e anche quando ho girato The Elephant Man. Mi hanno fatto piangere persino alcune recensioni! A volte piango quando sono in sala di montaggio. Il cinema è perfetto per comunicare emozioni, ma richiede precisione. L'equilibrio degli elementi è fondamentale: basta un pizzico in più di un ingrediente e si uccide l'emozione, troppo poco di un altro e l'emozione non nasce nemmeno. In Una storia vera la sfida stava tutta nel trovare quel fragile punto di equilibrio.
David Lynch, Io vedo me stesso, Il Saggiatore, Milano 2016




La reazione cinica a Una storia vera fu quella di considerarlo un tentativo di Lynch di riguadagnare terreno dal punto di vista commerciale dopo il fallimento al botteghino di Strade perdute. Un'altra reazione erronea fu quella di leggere il film come il segno che Lynch, in quanto artista, avesse finalmente raggiunto la maturità. Sembrava aver abbandonato i turbamenti, gli incubi e le fantasie di una persona bloccata all'adolescenza, per prestare le sue considerevoli doti registiche a un'opera matura, una storia semplice di gente semplice. Ecco dove portavano tutta quell'oscurità e quella confusione, fu il ragionamento; Lynch aveva messo da parte le paure infantili, era uscito dalle tenebre e si era arreso al buonsenso, e alle logiche di mercato. [...]
Una storia vera non è un David Lynch "più saggio", "più felice" o "più maturo". E tuttavia, è un David Lynch allo stato puro. Solo che questo lato di lui non ci viene mostrato spesso. La presenza di quest'altro Lynch in Una storia vera è dovuta in misura determinante all'apporto, nell'ideazione e nella stesura della sceneggiatura, di Mary Sweeney, allora fidanzata del regista, che di questo film, come di tutte le opere di Lynch, ha curato il montaggio e la produzione. "Secondo me, c'è una reale continuità tra The Elephant Man e Una storia vera, ed è rappresentata dall'altro lato di David: una specie di lato 'irlandese', lirico, poetico, commovente senza essere sentimentale, e pieno di grazia".
Chris Rodley, in David Lynch, Io vedo me stesso, Il Saggiatore, Milano 2016




A colpirmi è stata la semplicità, la purezza della storia; parla di un uomo, completamente solo, e impariamo un bel po' di cose su di lui, e alla fine ci insegna una serie di cose sulla vita. Mi ha toccato. Ho pensato che un film poteva comunicare queste qualità senza trucchi o distrazioni. Mi piace davvero - e ogni tanto l'ho fatto, soprattutto in The Elephant Man - creare un'emozione pura con le immagini e i suoni. La sceneggiatura di Mary e John mi ha permesso di creare esattamente quel tipo di emozione. [...]
È la storia a dettare l'approccio. Quello che ho adottato in Una storia vera è semplice, diretto, deciso. Ciò non impedisce al regista di introdurre delle sottigliezze. Non mi sono privato di niente facendo le cose in questo modo. Per me la questione era: come posso tessere insieme questi elementi per creare un meraviglioso piccolo arazzo, una poesia su tela?
David Lynch, in Michael Henry, "Positif", novembre 1999, trad. in David Lynch, Perdersi è meraviglioso, minimum fax, Roma 2012




Un titolo che è anche una dichiarazione di poetica: ecco una storia semplice, sana, pulita, senza troppi fronzoli; ed ecco un vecchio intenzionato a seguire la 'retta via'. Lynch asciuga, cerca la limpidezza e la linearità, e contemporaneamente alza le sue ambizioni: il viaggio del vecchio nella solitudine del paesaggio americano, con le distese di grano bagnate dalla luce autunnale, il cielo stellato e gli incontri casuali è davvero un percorso iniziatico verso la morte, verso il perdono e la riconciliazione. Un viaggio religioso, di espiazione dei propri peccati, dove sembra valere il precetto evangelico "Io sono la via, la verità e la vita".
Alvin Straight è dunque una sorta di pellegrino che nel suo viaggio incontra tutte le età dell'esistenza, ciascuna con un suo dolore segreto [...]. Dai giovani ai vecchi, dai figli ai fratelli, dalla terra alle stelle. Come dire: dalla vita alla morte, dal peccato alla purificazione. La struttura del film disegna davvero un movimento ascensionale, una salita che è anche un'ascesi. Non a caso la prima inquadratura è una plongée sul prato, mentre l'ultima è una soggettiva dal basso sul cielo notturno; e non a caso il racconto, più che una semplice giustapposizione di episodi (come nel road movie), rappresenta un vero e proprio percorso a tappe.
Vincenzo Buccheri, "Segnocinema", n. 102, marzo-aprile 2000




Il titolo The Straight Story comporta un gioco di parole intraducibile, facilitato dall'utilizzo della maiuscola nei titoli inglesi: è la storia di un tale chiamato Straight, ed è una storia retta (straight: in linea retta, diretto, franco). Il titolo italiano, Una storia vera non è, evidentemente, il suo equivalente. Da ciò si è dedotto che il film fosse lui stesso lineare, quindi anti-lynchiano.
Ora, non si discute sul fatto che un film che rivendica nel proprio titolo il suo essere straight, abbia ogni probabilità di non esserlo poi così tanto. Più una linea è retta - e si dice tale - più ciò che non lo è emerge: la donna dei daini, i lampi di insolito - tutto ciò che nel film è irruzione della sofferenza e del dramma, deformazione dei volti, diventa di colpo significante.
[...] David Lynch aveva già realizzato tutto un film interamente basato sulla stessa semplicità di emozioni, lo stesso modo di andare dritto al bersaglio, la stessa insistenza sui 'buoni sentimenti': Elephant Man. [...] In entrambi i casi, si tratta della storia vera (che conserva i nomi reali) di un personaggio dal corpo malato e difficile da spostare, dall'animo semplice e dal cuore schietto, il quale fa da fondamento a una sceneggiatura relativamente lineare e poco nutrita di peripezie.
Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000




Una storia vera
si pone come film pietra angolare dove Lynch ribalta tutti i propri luoghi, oggetti e personaggi volgendoli al solare senza sostituirne nemmeno uno. Si tratta, con tutta evidenza, di un film dal valore oppositivo, in grado di dimostrare che la 'materia' del cinema di Lynch, se solarizzata, può esprimersi con respiro classico e commovente. [...]
Un uomo anziano vuole raggiungere il fratello per fare pace con lui ma ha solo un modo per farlo: prendere un piccolo trattore e attraversare mezza America. Una storia vera cerca di recuperare, sia pure in versione destrutturata, lo spirito del road movie classico. In qualche modo, Lynch intende suggerire che Una storia vera è Cuore selvaggio ribaltato, dove al posto di Big Tuna c'è una ospitale e umanissima comunità rurale, al posto degli incidenti più feroci vi sono tragici scontri con una natura benigna, e in cui la violenza degli uomini sugli uomini cerca di essere ricomposta attraverso un viaggio e un perdono. [...] Una storia vera è purissimo Lynch, ma al contrario. Il film sembra una folle scommessa vinta: utilizzare tutti i materiali lynchani, esporli 'al sole', volgerli al positivo e raccontare l'America.
Roy Menarini, Il cinema di David Lynch, Edizioni Falsopiano, Alessandria 2002




Alla fine l'ostinazione di questo curioso cowboy a cavallo di un trattorino finisce per trionfare, e l'uomo arriva, dopo una serie di microperipezie, a casa di suo fratello Lyle (Harry Dean Stanton, un comprimario abituale nei film di Lynch). Nel giro di due o tre inquadrature si tesse una silenziosa riconciliazione che non lascia intravedere altra conclusione se non la morte, e che getta la sua luce sull'autentica natura di Una storia vera, un melodramma represso, che distilla le emozioni con pudore e solennità e che, in questo senso, ricorda The Elephant Man.
Thierry Jousse, David Lynch, Cahiers du Cinéma, Parigi 2010




Bisogna ricordare anche che negli anni Settanta Lynch citava La strada tra i suoi film preferiti. Oltre al fatto che il tosaerba che tira il penoso rimorchio di Alvin può ricordare l'inverosimile veicolo di Zampano, l'opera di Fellini era un grande melodramma costruito su dei sentimenti puri, e sullo stupore di personaggi semplici di fronte ai misteri della vita...
Di fatto, i film di David Lynch, anche i più apparentemente contorti, sono sempre stati semplici, proprio come i suoi personaggi. Se sembrano 'complicati', è perché non sono convenzionali, perché sono personali. Tuttavia, se consideriamo ciascuno di essi, vedremo che i personaggi sono delle persone semplici, e ciò non vuol dire stupide: vanno dritti al bersaglio.
Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000