Antologia critica

Visconti con questo film sembra aver voluto illustrare il dramma dell'emigrazione interna italiana. In che cosa consiste questo dramma? Brevemente, è lo stesso dramma degli emigrati italiani a New York o a Buenos Aires. L'ambiente sociale, religioso e culturale, assai fragile e decrepito, dei paesi d'origine non resiste al trapianto e va in polvere, e l'emigrante si trova nudo e indifeso in un mondo del tutto straniero. [...] Ma è poi veramente questo l'argomento del film di Visconti? Secondo noi, invece, il dramma dell'emigrazione è rimasto nell'ombra. Per esempio, la sconfitta e il disfacimento morale di Simone appaiono nel film come un fatto piuttosto individuale che sociale, ossia Simone è debole perché è debole e non perché è emigrato. Né Visconti ha illustrato le difficoltà che possono incontrare quattro meridionali nella ricerca di un lavoro a Milano. [...]
L'argomento vero del film sono invece i rapporti affettivi d'una famiglia meridionale e comunque italiana. Visconti, questi rapporti, li sente profondamente, con quasi dolorosa intensità; la rivalità di mestiere e d'amore dei due fratelli è così il perno di tutta la vicenda in quanto consente al regista di mostrare, controluce, tutta la complessità e la delicatezza del sentimento che lega Rocco a Simone e agli altri fratelli.
[...] Visconti ha girato il film con maestria; Rocco e i suoi fratelli è senza dubbio il suo miglior film dopo La terra trema. Forte, diretto e brutale benché a momenti un poco freddo, il film rispecchia fedelmente nelle sue compiacenze di crudeltà e nella sua minuzia descrittiva le due componenti del singolare talento del regista: quella decadentistica e quella sociale. Tra gli interpreti i due migliori sono senza dubbio Renato Salvatori, un Simone di grande efficacia anche se un poco risaputo, e Alain Delon, un Rocco originale e delicato. Spiros Focas e Max Cartier sono bravi quanto basta in due personaggi appena abbozzati. Annie Girardot è una Nadia molto espressiva, Ratina Paxinou una madre di forte rilievo. Tra gli altri interpreti bisogna ricordare soprattutto Paolo Stoppa, Claudia Cardinale, Corrado Pani, Adriana Asti, Claudia Mori.

(Alberto Moravia)




Rocco e i suoi fratelli
è il punto di arrivo di un'idea di cinema che aveva identificato nel sud il mito delle origini e delle radici più profonde della realtà italiana. Dopo la catabasi neorealista comincia, in una nuova fase di industrializzazione forzata, la marcia di risalita. Questo significa anche abbandono, tradimento nei confronti dei propri caratteri originari: per il regista la giusta dimensione implicita per la rappresentazione del fenomeno non può essere che la tragedia. Rocco e i suoi fratelliè infatti una tragedia in cinque atti, ognuno dei quali prende il nome da uno dei figli (Vincenzo, Simone, Rocco, Ciro, Luca), più un breve prologo che racchiude gli elementi necessari alla comprensione del contesto. […] Tutta la struttura del film si fonde su unità oppositive che investono i piani in cui il film si articola. Dal conflitto tra i due mondi del sud e del nord, presente a ogni livello, si sviluppano fasi più circoscritte che coinvolgono i protagonisti. In Rosaria, funzione tragica di madre, convergono, e urtano, i motivi dello scontro tra città e campagna, quelli della difesa feroce di un'idea di famiglia intesa come nucleo unitario capace di lottare contro il mondo e quelli della constatazione impotente della disgregazione di questa famiglia. Il conflitto col padre viene ad assumere il ruolo di nucleo generatore, di causa prima, di peccato originale. La percezione tragica della colpa che dev'essere espiata a prezzo del disfacimento della famiglia non tocca solo Rosaria, ma anche i due figli, Simone e Rocco, in apparenza contrari, di fatto facce speculari della stessa personalità.

(Gian Piero Brunetta)





Rocco e i suoi fratelli è una coraggiosa sintesi fra tragedia e melodramma, fra le ragioni della Storia, con la volontà di rappresentare realisticamente il fenomeno moderno dell'emigrazione, e le ragioni del mito, che trasfigurano la realtà sociale in racconto epico, attingendo alla tradizione letteraria e musicale dell'Ottocento e al romanzo popolare. [...]
Particolarmente interessante la funzione simbolica delle soluzioni linguistiche: il campo lungo e le panoramiche per i desolati scenari urbani, la stazione centrale, le rive dell'Idroscalo; un intenso bianco e nero, quasi a voler visualizzare il fronteggiarsi tra bene e male; il ricorso a un montaggio che alterna a contrasto momenti di boxe a momenti di intimità o di violenza familiare. Il culmine è toccato nella calibratissima scena dell'uccisione di Nadia, girata con una spiccata cura simbolica: il riflesso di Simone sull'acqua, le linee geometriche che tagliano drasticamente l'acqua e la terra, l'inquadratura del coltello, le braccia di Nadia aperte a croce. Anche la musica ha una funzione emblematica: una struggente canzone popolare, ispirata alla nostalgia del paese natio, apre e chiude il film; le canzonette (per esempio Tintarella di luna) scandiscono la vita cittadina milanese; un tema altamente drammatico segna la storia tragica di Simone e Nadia.
Rocco e i suoi fratelli
suscitò numerose polemiche per i suoi contenuti politici e ideologici: fu ostacolato dalla giunta provinciale di Milano, censurato dalla Procura e boicottato al Festival di Venezia, ma oggi quel carattere di impegno civile ed epico che tanto inquietò i censori può risultare talvolta didascalico ed enfatico. L'originalità del film andrà cercata soprattutto nella sintesi tra le emotività assolute e le dinamiche della nascente piccola borghesia, come ha sottolineato la critica più accorta.

(Flavio Santi)




Che si tratti di ambiente proletario, borghese o aristocratico, il discorso in Visconti non cambia, la struttura del racconto è la stessa, le passioni narrate si equivalgono. La sua arte ha i piedi nell'Ottocento, e il suo bisogno di stare nel proprio tempo non riesce mai a dimenticarlo, neanche quando egli si vorrebbe artefice di una cultura più libera, al passo con i nuovi dilemmi dell'epoca. È il caso di Rocco, il film che nel i960, in quell'arco di tempo incredibilmente fecondo in cui il cinema cambiò pelle in tutto il mondo, e in Italia sfornò un grande film via l'altro, La dolce vita e L'avventura, Accattone e Banditi a Orgosolo, Il posto e II sorpasso, Signore e signori e Tutti a casa (e ne dimentico!), affrontò il tema più scottante e meno narrato del momento: quello della grande migrazione dalle campagne del Sud alle grandi città del Nord, dei suoi costi umani e sociali, del suo significato economico e della sua svolta antropologica e di civiltà. […]
La divisione della storia - stavo per scrivere «del romanzo» - in cinque parti che prendono ciascuna il nome dai cinque fratelli del film, Vincenzo (Spiros Focas), Simone (Renato Salvatori), Rocco (Alain Delon), Ciro (Max Cartier) e Luca (Rocco Vidolazzi), elenca modi diversi di reagire ai nuovi tempi e alla nuova cittadinanza: l'adesione passiva all'ordine del Nord e di una città piuttosto ostile, l'ambizione al successo più rapido, il sacrificio necessario perché gli altri riescano, l'adesione attiva alla parte più cosciente della nuova società che è quella del proletariato di fabbrica, il sogno del ritorno a un Sud non più povero e in un'Italia infine unita e solidale. […] Alle spalle dei cinque modi di reagire alla città del Nord e a una nuova vita, c'era la Basilicata contadina delle lotte fallite, la morte del padre (una scena mai girata, un prologo di cui non si sentì la mancanza), un passato che stava ancora passando. Nell'oggi del film ci sono invece le contraddizioni di un presente tumultuoso dove tutto sembra andare troppo in fretta, dove non è facile trovare rapidamente le giuste mediazioni con il passato. Nel 'dopo il film' c'era infine la prospettiva di un'Italia migliore, dell'Italia che si sperava potesse venire (e che di fatto non sarebbe venuta), di un Sud senza più fame, di un Nord vivificato dalle nuove energie, di un'Italia semplicemente unita, dopo cent'anni di una storia nazionale difficile, aspra, disuguale.
Le cose che Visconti volle mettere in Rocco furono tantissime, pescando a piene mani da una cultura allora considerata 'la cultura': la tragedia greca (e Katina Paxinou, la madre Rosaria, venuta da quel teatro, è lì per ricordarcelo) e Thomas Mann (Giuseppe e i suoi fratelli); Carlo Levi e il suo Cristo si è fermato a Eboli, che aveva fatto scoprire in tutto il mondo la Basilicata e la civiltà contadina; Dostoevskij e il suo eterno dilemma e gli eterni scambi e compenetrazioni tra Bene e Male (Simone e Rocco che si dilaniano tra frustrazioni rimorsi sogni fallimenti, tra sadismo e masochismo, tra grazia e disgrazia, tra caduta e salvezza, e Nadia in mezzo a pagare, a farsi lei, infine, e non Rocco, il capro espiatorio del conflitto); i citati (e coinvolti) Pratolini e Testori... E l'idea fortemente pedagogica di un cinema che fosse al contempo d'arte e di massa. E cioè neorealista e verdiano, moderno e ottocentesco, colto e popolare: un cinema di mente e di cuore, un sogno grande, una santa ambizione su cui è cresciuto il miglior cinema del Novecento riuscendo a dar vita al sogno in un numero impressionante di capolavori o di opere comuni e pur degne, tante da non poterle contare, e in tutto il mondo.

(Goffredo Fofi)




Ancora una volta Visconti racconta il fallimento dell'uomo; con maggiore approfondimento ideologico delle ragioni e delle cause, con la chiarezza della maturazione. Ma l'avventura della famiglia Parondi è la fine di una rivolta e di una speranza sbagliata; è la fine terribile di una concezione arretrata di una civiltà contadina, intesa su basi errate. Il fallimento è sia di Rocco sia di Simone; sia del buono che del cattivo, perché entrambi chiusi alla vita. Rocco e i suoi fratelli è, naturalmente, anche la storia di Vincenzo, di Luca e di Ciro, e soprattutto per quest'ultimo, è la storia positiva di una presa di coscienza, di una acquistata fiducia nella evoluzione, e nella società. Ciro è il personaggio nuovo, l'uomo che supera il fallimento perché esce dalla concezione tribale, affrontando la nuova realtà maturando giorno per giorno, rompendo gli schemi di un'educazione sbagliata e affrontando l'incomprensione dei suoi. Gli interessi di Visconti sono per Rocco, il personaggio 'gentile', che ama, soffre, capisce il dolore e la paura degli altri, ma diviene causa della loro rovina. Per amore Rocco abbandona Nadia; per amore non denuncia il fratello; per amore si sentirebbe di addossarsi le colpe degli altri, pur di salvare l'unità familiare. Insomma Rocco è personaggio negativo proprio perché personaggio gentile – e come scrive Brecht, "noi che abbiamo voluto sulla terra edificare la gentilezza, non potemmo esser gentili". Ciro è il suo opposto, costruisce la sua esistenza ponendosi contro ogni romanticismo, ha la durezza del ragionamento, la logica, in fondo sgradevole, di un 'eroe positivo'. Nel mondo di Visconti non c'è posto per gli eroi positivi. I suoi personaggi non costruiscono, non hanno la forza di opporsi alla condizione della disperazione; sono vittime coscienti o no della realtà della propria epoca. Sono il vagabondo di Ossessione o il pescatore vinto de La terra trema o il bel traditore di Senso; sono i relitti di un'epoca che non sa sopravvivere, sono coloro che ormai non fanno più storia.

(Edoardo Bruno)




Le premesse della narrazione sono desunte dal classico patrimonio della narrativa popolare; di qui Visconti deriva il tema della città tentacolare e dei pericoli dell'inurbamento; la figura della donna perduta che introduce la discordia nelle famiglie; la netta contrapposizione psicologica tra il 'buono' e il 'cattivo'. Il folclore contemporaneo fornisce un motivo complementare, destinato ad aumentare gli effetti di risonanza del dramma: la boxe, vista come pendant della prostituzione, nella sua essenza alienante. Il richiamo all'attualità e la caratterizzazione nazionale vengono parimenti ottenuti attraverso elementi di immediata, larghissima presa emotiva: l'origine meridionale della famiglia Parondi serve ad accentuare la violenta istintività delle sue varie reazioni al primo incontro con la modernità; mentre l'ambientazione a Milano, capitale del 'miracolo economico', fa ulteriormente risaltare, per contrasto, l'ancestrale materia del conflitto che oppone fratello a fratello. Il linguaggio del film è appunto quello dei grandi narratori popolari ottocenteschi: il linguaggio della dismisura, nel quale Visconti trasfonde il suo gusto per le cadenze enfatiche del melodramma. Ma qui, a differenza che in Senso, la melodrammaticità non è un attributo che l'intelletto critico del regista assegna alla vicenda narrativa: ben più calda e immediata è stavolta la sua partecipazione al racconto, o almeno al nucleo essenziale di esso. La stilizzazione resta non di meno rigorosa, anche là dove il regista sembra abbandonarsi senza controllo all'onda delle emozioni. Ma certo l'importanza del film sta nel rifiuto delle convenzionali norme di compostezza e di decoro, nella volontà di dare il peso più massiccio ad ogni fotogramma, scartando risolutamente i metodi della allusione; dell'ellisse. Nulla è lasciato per implicito; lo schermo conserva tutta l'indiscutibile evidenza dei fatti fisici, dei fenomeni di natura. Nondimeno, la dimensione visiva si arricchisce di una forte pregnanza simbolica: al buio delle scene di violenza si contrappone la chiarità solare delle immagini dedicate al breve idillio di Rocco e Nadia.

(Vittorio Spinazzola)




In un film, quando le unità linguistiche non possono essere isolate per attribuire loro funzioni e significati specifici e non ambigui, vi è sempre la possibilità che la traduzione in immagini oscurerà alcuni dei significati che ci si propone di esprimere, e darà luogo ad altri non previsti. Intenzioni ed esiti non sempre coincidono. Il pericolo è particolarmente acuto nel caso di Visconti, in ragione del suo metodo di lavoro. Per Rocco, come per La terra trema, è partito da una chiara concezione di quanto intendeva dire, e poi l'ha vista gradatamente modificarsi mentre vi lavorava. Ne La terra trema, il risultato fu un film del tutto nuovo. In Rocco, l'effetto è in parte di arricchimento e in parte di confusione. Ciro, in particolare, viene ridotto assai in ombra: il suo ruolo, concepito originariamente come positivo e importante, si riduce in misura corrispondente. Ciro e Luca rapportati a Simone e Rocco, sono meri simboli. Il fatto che la vicenda abbia termine con loro è una formalità: l'autentico dramma era già terminato.

(Geoffrey Nowell-Smith)