La genesi del film

La genesi del film

Soggetto e sceneggiatura

Erano pochissime le persone del cui istinto Hitchcock si fidasse ma Peggy Robertson, sua assistente di produzione dai tempi di Il peccato di Lady Considine (1949), faceva sicuramente parte di questa cerchia ristretta. […] Hitchcock affidava alla Robertson il compito di filtrare il possibile materiale: in un anno in cui l’ufficio aveva ricevuto 2.400 proposte, la Robertson ne aveva passate al capo appena trenta.
Hitchcock spesso brontolava: “Non sono capace di leggere narrativa senza visualizzare ogni scena. Il risultato è che diventa per me una serie di immagini più che un libro”. La Robertson era da tempo a caccia di materiale che potesse diventare ciò che il suo capo aveva chiamato “un film tipicamente non hitchcockiano”. […] La Robertson sapeva bene che il suo capo rispondeva più facilmente a materiale poco noto che ai classici dei più rinomati autori di gialli, e Psycho iniziò a intrigarla sempre più.
Hitchcock passò un week-end chiuso con il romanzo nella sua casa sul Bellagio Drive a Bel Air. L’ambientazione impiegatizia, i due scioccanti delitti, il finale a sorpresa condito di travestitismo, incesto e necrofilia, tutti questi elementi erano esche che non potevano fallire su un uomo che si vantava di essere un intenditore di psicologia deviante. Hitchcock avrebbe poi osservato: “Penso che la sola cosa che mi sia piaciuta, che poi mi ha convinto a fare il film, sia stato il modo improvviso con cui si commette l’omicidio sotto la doccia; è del tutto imprevisto ed è questo che mi ha interessato”. […] L’agente MCA Ned Brown, che aveva chiuso l’affare per l’acquisto del libro da parte di Hitchcock, disse una volta: “Hitch era affascinato dall’idea che la storia iniziasse in un modo – il dilemma della ragazza – e poi dopo un orribile delitto si trasformasse in altro. Ma francamente pensavamo tutti che avrebbe conservato l’omicidio della ragazza sotto la doccia inventandosi poi una nuova situazione e nuovi personaggi!”. Michael Ludmer, anche lui fra coloro che aiutavano Hitchcock nella ricerca di materiale, rincara la dose: “Spesso Hitchcock si limitava a cercare una molla, un grilletto, anche solo una relazione. Non aveva mai avuto bisogno di altro che materiale grezzo”. Fra lo stupore di questi collaboratori pare invece che Hitchcock – per far sì che le sorprese di Psycho restassero tali – avesse ordinato a Peggy Robertson di comprare dall’editore e dalle librerie il maggior numero possibile di copie del romanzo.
Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999


Su consiglio di molti dirigenti della MCA, Hitchcock fece un colloquio con Joseph Stefano, compositore e paroliere che aveva da poco iniziato la sua carriera di sceneggiatore con Orchidea nera. I due passarono molte settimane a discutere la storia […]. Hitchcock insisteva sulla fedeltà al soggetto originale, anche se poi accettò il consiglio di Stefano e rese i personaggi principali più piacevoli. Psycho, nella sceneggiatura, rimase fedele al romanzo. […]
La sceneggiatura di Stefano prese forma velocemente e piacque molto a Hitchcock (“Ad Alma piacciono molto le scene iniziali” era l’unico modo in cui Hitchcock esprimeva la sua soddisfazione e fu l’unico momento in cui fece i complimenti allo sceneggiatore).
Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcok, Lindau, Torino 1999



La produzione

Come Hitchcock, ogni settimana Walt Disney proponeva una serie televisiva popolare, che gli consentiva di finanziare e pubblicizzare la sua più grande impresa: Disneyland. Ora, grazie alle trattative condotte da Lew Wasserman, Hitchcock utilizzò i profitti della serie TV per costruire la propria Disneyland, Psycho, che il regista finanziò quando la Paramount rifiutò il progetto. Il suo film più redditizio fu dunque realizzato alla Universal, dove era stata sempre girata la trasmissione Alfred Hitchcock presenta.
Bill Krohn, Alfred Hitchcock, Cahiers du cinéma, Parigi 2010


Avendo a portata di mano un gruppo di persone fidate e competenti, Hitchcock concepì l’idea di girare Psycho – il suo film “più piccolo” dai tempi di Il ladro – servendosi dei suoi collaboratori televisivi. Il regista riunì nuovamente i capi della produzione della Paramount e presentò loro la nuova e più economica opzione: il film si poteva preparare minuziosamente alla Paramount, portando la troupe televisiva a girare nell’area interna dello studio, facendo lì anche montaggio e postproduzione. I dirigenti furono chiari: la Paramount non era disposta a finanziare Psycho. Dissero inoltre che tutti i teatri di posa erano occupati o prenotati, anche se tutti sapevano benissimo che la produzione era in un periodo morto.
Hitchcock aveva già pronta l’alternativa. Si dichiarò disposto a finanziare Psycho di tasca sua e a girarlo negli studi della Universal International se la Paramount avesse accettato di distribuire il film. Come produttore unico Hitchcock rinunciava ai 250.000 dollari del suo cachet di regista in cambio del 60 per cento della proprietà del negativo. Per la Paramount era un’offerta impossibile da rifiutare, e non lo fece.
Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999


Dato che Hitchcock voleva fare il film con meno soldi possibile – voleva produrre un thriller a basso costo che fosse superiore a quelli che stavano fiorendo quell’anno – decise di usare la troupe e lo studio televisivo e di spendere pochissimo anche per il cast. Anthony Perkins doveva un film alla Paramount e poteva lavorare per un compenso ragionevole, come pure Janet Leigh (che, come Perkins, era ansiosa di lavorare per Hitchcock), John Gavin (un altro attore della Paramount) e Vera Miles, che, come immaginava Hitchcock, poteva essere inclusa nel cast visto che riceveva comunque un compenso settimanale. [...] In poche settimane, dalla fine di novembre all’inizio di febbraio, Hitchcock girò Psycho ai Revue Studios, la divisione televisiva della Universal Pictures che la Paramount aveva affittato per lui. Tutto venne fatto con la massima segretezza. Il ciak riportava il titolo di Wimpy [imbranato] – lo stesso adottato dalla troupe – ottimo per mettere chiunque fuori pista e scoraggiare la lettura del romanzo che era appena uscito.
Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcok, Lindau, Torino 1999



La censura

Alfred Hitchcock: Per l’inizio di Psycho, ho sentito il bisogno di scrivere sullo schermo il nome della città, Phoenix, poi il giorno e l’ora in cui cominciava l’azione e, tutto ciò, per arrivare a questo fatto molto importante: erano le tre meno diciassette del pomeriggio ed è il solo momento durante il quale questa povera ragazza, Marion, può andare a letto con Sam, il suo amante. L’indicazione dell’ora suggerisce che salta il pranzo per fare l’amore.
François Truffaut: Questo dà immediatamente un senso di clandestinità al loro rapporto.
A.H.: E in più autorizza il pubblico a diventar voyeur. […] Sentivo il bisogno di girare la prima scena in questo modo, con Janet Leigh in reggiseno, perché il pubblico cambia, evolve. La classica scena del semplice bacio oggi sarebbe guardata con sufficienza dagli spettatori giovani; probabilmente direbbero: “È idiota”. So che si comportano come John Gavin e Janet Leigh e bisogna far vedere loro le stesse cose che essi stessi generalmente fanno. D’altra parte, in questa scena, ho voluto dare attraverso l’immagine un’impressione di disperazione e di solitudine.
François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2008


Janet Leigh racconta con divertimento: “Mi disse come aveva pensato tutto fin dall’inizio per manipolare i censori, inserendo deliberatamente cose così bizzarre che sarebbe potuto tornare da loro e dire: “Tsk tsk. Va bene, toglierò quella cosa, ma dovete lasciarmi questa”. Mercanteggiava con loro come un vero maestro”. Marshal Schlom ammette che Hitchcock, praticamente, si fregava le mani per l’impazienza di far scattare le trappole che aveva disseminato durante tutta la lavorazione per i censori dell’ufficio di Geoffrey Shurlock: “Nella scena della doccia, voleva solo suggerire, non mostrare il nudo. Ma se blocchi il fotogramma e lo ingrandisci, ci sono indiscutibilmente un paio di fotogrammi in cui si vede un seno nudo con capezzolo”. Luigi Luraschi, l’intermediario fra la Paramount e la commissione di censura, portò la pellicola ai sette censori e attese una risposta. Come previsto, la commissione andò su tutte le furie per l’omicidio nella doccia e richiese che la scena fosse loro restituita per un’analisi più accurata. Luraschi obbedì e il verdetto fu il seguente: tre censori avevano visto nudità, due no. Dall’ufficio di Shurlock partì un memo per l’ufficio di Hitchcock: “Si prega di tagliare il nudo”.
Schlom ricorda che il giorno dopo Hitchcock – mormorando un atto di contrizione e il suo desiderio di obbedire ai desideri dell’ufficio di Shurlock – si limitò a rimettere il film nella pizza e lo rispedì ai censori senza tagliare nemmeno un fotogramma. Stavolta, i tre membri della commissione che avevano visto il nudo il giorno prima non lo vedevano più, mentre i due che non l’avevano visto ora lo vedevano. Con grande divertimento di Hitchcock e dei suoi, la disputa su chi avesse visto cosa andò avanti per più di una settimana. Alla fine, come ricorda Schlom, “Hitchcock disse: ‘Taglierò il nudo se mi lasciate tenere i due a letto all’inizio’. Loro risposero di no e lui allora disse: ’Va bene. Se lasciate la sequenza della doccia così com’è, rigirerò l’inizio, ma voglio che voi veniate sul set a guardare e mi diciate lì sul posto come devo farla per farvela passare’. Fissammo un giorno per la nuova ripresa, ma non venne nessuno e così non rigirammo proprio niente. Alla fine furono d’accordo che nella doccia non si vedessero nudi, mentre naturalmente il nudo c’era stato fin dall’inizio”. Come contentino per l’ufficio di Shurlock, Hitchcock avrebbe fatto dei piccoli tagli al dialogo, portando la durata di Psycho a 109 minuti.
Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999


Non era tanto la brutalità della sequenza della doccia che preoccupava la Paramount: era l’inquadratura senza precedenti (con il relativo rumore) dell’acqua che scorre dallo sciacquone. Questa, e non il nudo appena intravisto e mezzo sfuocato nella doccia, era l’immagine più iconoclasta del film – più importante dell’uccisione della prima donna a metà del film. L’immagine di un gabinetto, come già ricordato, e le allusioni alle funzioni corporali non solo venivano a galla nell’umorismo di Hitchcock, ma segnalavano anche un tema ossessivo e ricorrente dei suoi film. Tutto ciò che riguardava Psycho era sfrontato; e nella mente di Hitchcock, forse nulla era così sfrontato come il dettaglio esplicito del gabinetto.
Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcok, Lindau, Torino 1999



La campagna pubblicitaria e il successo

La maggior parte delle locandine approntate per pubblicizzare Psycho affiancano immagini di Anthony Perkins che staglia la mano aperta in un gesto d’orrore, di Janet Leigh in reggiseno e di John Gavin mezzo svestito. Hitchcock aveva deciso di sfruttare senza remore i due elementi centrali del film: l’erotismo e la paura. Non sono, tuttavia, due aspetti isolati in modo gratuito solo per far presa sul pubblico, e in particolare sugli spettatori più giovani cui Hitchcock aveva deciso di puntare. Si tratta invece dei due temi portanti del film, come di buona parte dell’opera precedente e successiva del regista. Psycho affronta entrambi in forme rinnovate cercando di offrire “un nuovo tipo di dramma e di emozione”, come recitava uno degli slogan stampati sulle locandine.
Mauro Gori, Alfred Hitchcock. Psycho, Lindau, Torino 2009


Conformemente al suo desiderio di dirigere il pubblico piuttosto che gli attori, Hitchcock insistette affinché dopo l’inizio della proiezione di Psycho nessuno potesse entrare in sala. La campagna pubblicitaria rifletteva questo desiderio ed evidenziava una nuova aggressività – poiché avanzava pretese e intimidiva il pubblico ancor prima che fosse entrato nel cinema.
Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcok, Lindau, Torino 1999


I kit pubblicitari suggerivano fra l’altro di assumere guardie giurate che facessero rispettare il regolamento di ammissione in sala. […] Il kit offriva anche tagliandi per ordinare grossi orologi da mettere nell’atrio della sala per ricordare al pubblico gli orari di inizio del film, e anche sagome di cartone del regista a grandezza naturale da utilizzare con messaggi preregistrati destinati al pubblico in entrata e in uscita. In uno di questi, il regista diceva: “Signore e signori, buonasera. Devo scusarmi per il fastidio che vi arrechiamo. Tuttavia questo vostro stare in coda, in piedi, è per il vostro bene. Vi farà apprezzare le poltrone all’interno. Vi farà anche apprezzare Psycho. Vedete, Psycho lo si gode nel migliore dei modi quando si comincia dall’inizio e si procede fino alla fine. Mi rendo conto che si tratta di un concetto rivoluzionario, ma abbiamo scoperto che Psycho è diverso da quasi tutti gli altri film, e non migliora se proiettato al contrario”.
Agli esercenti si suggeriva di montare altoparlanti sulla facciata esterna per trasmettere altri messaggi registrati da Hitchcock, come questo: “Il direttore di questa sala è stato istruito, a costo della sua vita, a non ammettere nessuno nel cinema una volta che il film sia iniziato. Qualsiasi illegittimo tentativo di entrare da porte laterali, uscite di sicurezza o prese d’aria sarà bloccato con la forza. Mi si dice che sia la prima volta che questo genere di precauzioni si sono rese necessarie... ma dopotutto è anche la prima volta che si può vedere un film come Psycho”.
Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999


16 giugno 1960, sabato mattina, Psycho fece la sua prima apparizione in due cinema del centro di Manhattan, e il pubblico era già in fila sulla Broadway.
Fu il titolo sfrontatamente brutale? Il divertente trailer in prima persona di Hitchcock? La pubblicità senza precedenti, con una star di Hollywood (la voluttuosa Janet Leigh) in sottogonna e reggiseno? L’assenza ben reclamizzata di anteprime per la stampa? Gli spot radiofonici che promettevano che “nessuno... ma proprio nessuno... potrà entrare al cinema a film già iniziato”? […]
Il critico William Pechter descrisse l’eccezionale atmosfera di paura mista a eccitazione, con gli spettatori riuniti in trepidante attesa di fronte allo schermo.
E il film non deluse. […] Nessuno era preparato per questa storia di un mammone psicopatico (interpretato dalla teen star Anthony Perkins) che vive in una tetra dimora col cadavere impagliato della donna che ha ucciso dodici anni prima.
Tratto da un romanzo ispirato al caso del cannibale-necrofilo del Wisconsin Ed Gein, Psycho non solo trasportava l’horror dalla lontana Transilvania al cuore della famiglia americana ma era anche profondamente ironico dall’inizio alla fine. Il pubblico sembrava quasi intrappolato sull’ottovolante della casa degli orrori, con un miscuglio convulso di urla e risate. Gli spettatori sobbalzavano e svenivano sulle poltrone. Il caos fu tale che un cinema di New York chiamò la polizia e altri invocarono i censori. Per alcune settimane, il film oscurò la campagna presidenziale. [...] Persino Hitchcock fu sorpreso dalla violenza della risposta, anche se Psycho incarnava la sua teoria della regia.
J. Hoberman, “The Village Voice”, 15 giugno 2010


F. T.: So che ha prodotto lei stesso Psycho. Il film ha avuto molto successo?
A. H.: Psycho è costato solo ottocentomila dollari e ha dato fino a oggi press’a poco tredici milioni di dollari di utile.
F.T.: È formidabile! È il suo più grande successo fino a oggi?
A.H.: Sì e mi piacerebbe che lei facesse un film che guadagnasse così tanto in tutto il mondo! Per questo genere di film bisogna essere soddisfatti del proprio lavoro dal punto di vista tecnico, non necessariamente dal punto di vista del soggetto. In un film di questo tipo, è la macchina da presa che fa tutto il lavoro. Beninteso, non ha necessariamente tutti i critici dalla sua parte, perché i critici non si interessano che al soggetto. Bisogna progettare il film come Shakespeare costruiva le sue commedie: per il pubblico.
François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2008