Il giusto taglio: fotografia, musica e voyeurismo

Il giusto taglio: fotografia, musica e voyeurismo

Il bianco e nero

Il minimalismo in bianco e nero dello stile visivo che Hitchcock ricreò con una troupe di operatori e con il cameraman John Russell ricordano lo stile dei film horror della Universal come Radiazioni BX: distruzione uomo, i cui lauti profitti avevano attirato l’attenzione del regista. Hitchcock e Russell avevano già girato delle riprese di Psycho nei loro telefilm, un piccolo esperimento che consentì di perfezionare la forma di questo film grandioso, in cui la televisione diventa cinema e la vita quotidiana diventa, grazie a Poe, una visione fantastica. Psycho diede origine a un genere horror estremamente redditizio, lo slasher.
Bill Krohn, Alfred Hitchcock, Cahiers du cinéma, Parigi 2010


All’epoca era consuetudine realizzare il guardaroba su misura, ma Mr. Hitchcock insistette perché facessimo acquisti in un normale negozio. Ci chiese di comprare i due vestiti di Marion prêt-à-porter e di pagare solo quello che una segretaria poteva permettersi. Eravamo tutti d’accordo.
Rita [Riggs, la costumista] ed io andammo da JAX, una boutique all’epoca popolare a Beverly Hills, e trovammo due abiti semplici, a tinta unita e a vita alta. Uno era di cotone bianco sporco, l’altro in jersey di lana blu.
Rita ha commentato: “A Mr. Hitchcock piace il buon jersey di lana; risalta in bianco e nero”.
Fu in quel momento che mi resi conto che la fotografia del film doveva essere in bianco e nero; ero stata così affascinata dall’intero progetto che non mi era nemmeno venuto in mente di chiederlo, tale era la potenza e il potere di Alfred Hitchcock.
Ovviamente doveva essere in bianco e nero. Il colore avrebbe rovinato l’atmosfera oscura della storia, addirittura banalizzato i contenuti. E il sangue rosso vivo sarebbe stato troppo per i censori.
Lo slip menzionato nel romanzo e nella sceneggiatura divenne un reggiseno e una sottoveste. Per la scena d’amore di apertura sono stati scelti un reggiseno e una sottoveste bianchi. Poi, dopo che Marion ha rubato i soldi e si è cambiata per andare a trovare Sam, siamo passati a un reggiseno e a una sottoveste neri. Hitchcock voleva che anche il guardaroba riflettesse il bene e il male che si nascondono in ognuno di noi.
Janet Leigh, Psycho. Behind the Scenes of the Classic Thriller, Pavilion, Londra 1995


La musica

Dopo cinque film consecutivi con Bernard Herrmann, Hitchcock aveva sviluppato un profondo rispetto per i contributi del brillante ma spesso abrasivo musicista. Nato a New York e laureato a Juilliard, Herrmann aveva fondato e diretto un’orchestra da camera ad appena vent’anni e – come Hitchcock – era un ruvido professionista, litigioso e pedante. Benché chiaramente non fosse tipo da accettare indicazioni, il musicista avrebbe seguito fedelmente le richieste di Hitchcock sui segnali musicali nel primo terzo di Psycho, con una sola, indimenticabile eccezione. […]
Herrmann disse una volta a Brian De Palma: “Ricordo che sedevo in una saletta dove avevo appena visto il primo montaggio di Psycho. Hitch camminava nervosamente avanti e indietro e diceva che era orrendo e che pensava di tagliarlo e farne una puntata della sua serie televisiva. Era impazzito. Non si rendeva conto di ciò che aveva in mano. ‘Aspetta un attimo’, gli dissi, ‘ho qualche idea. Che ne dici di una partitura esclusivamente di archi? Sai che una volta suonavo il violino...’. Hitch era proprio terrorizzato. Vedi, aveva fatto Psycho con soldi suoi e aveva paura che sarebbe stato un fiasco. Non voleva musica nemmeno nella scena della doccia. Ci pensi?”. In effetti, Hitchcock aveva detto di non volere musica “per tutta la sequenza [del motel]” con Marion e Norman. Herrmann giudicava così poco affidabile l’insolita condizione mentale in cui Hitchcock si era cacciato da ignorare completamente la controproposta fattagli dal regista, che gli aveva chiesto una nervosa colonna jazz post-bebop. […]
Per Psycho, Herrmann avrebbe concepito nientemeno che un capolavoro per violoncello e violino, una musica ‘in bianco e nero’ di sonorità vibranti capaci di azzannare le terminazioni nervose. La partitura si sarebbe rivelata una summa di tutte le precedenti opere di Herrmann per i film di Hitchcock, perfetta nel comunicare le profondità abissali della psiche umana, la paura, il desiderio, il rimpianto, in breve le sorgenti fondamentali da cui scaturiva tutto l’universo del regista. Secondo Stefano, Hitchcock era particolarmente divertito dai “violini urlanti” di Herrmann e “gli dava più credito che a chiunque altro di cui gli capitasse di parlare”. La felicità del regista per la colonna sonora di Herrmann fu tale da fargli compiere un gesto inaudito per un personaggio così parsimonioso, raddoppiando quasi il compenso al musicista fino alla somma di 34.501 dollari.
Stephen Rebello, Come Hitchcock ha realizzato Psycho, Il Castoro, Milano 1999


Il pubblico

Quando Tony Perkins si sta sbarazzando della sua vittima il pubblico è terribilmente preoccupato perché la macchina che contiene il corpo si ferma per un attimo nella palude! [...] Questo è uno dei grandi misteri della psicologia del pubblico.
Alfred Hitchcock


F.T.: Mi sembra che i sentimenti del pubblico subiscano diverse modificazioni all’interno del film. All’inizio, speriamo che Janet Leigh non si faccia prendere. Siamo molto stupiti dall’omicidio, ma appena Anthony Perkins fa scomparire gli indizi, parteggiamo per lui, speriamo che non gli diano delle noie. Più tardi, quando apprendiamo dallo sceriffo che la madre di Perkins è morta da otto anni, allora tutt’a un tratto cambiamo campo e diventiamo ostili ad Anthony Perkins, ma per pura curiosità.
A.H.: Tutto ciò ci riporta all’idea del pubblico voyeur. Avevamo un po’ una cosa del genere nel Delitto perfetto. [...] È una regola generale. Abbiamo parlato di questo a proposito del ladro che si trova in una camera mentre sta rovistando nei cassetti e al quale il pubblico è sempre favorevole... Quando Perkins guarda la macchina che affonda nello stagno, il pubblico, nel momento in cui la macchina smette per un istante di affondare, dice: “Purché affondi completamente”, nonostante sappia che c’è dentro un cadavere. È un istinto naturale.
F.T.: Ma nella maggior parte dei suoi film lo spettatore è più innocente perché teme per l’uomo ingiustamente sospettato. In Psycho, si incomincia a temere per una ladra, poi si teme per un assassino e infine, quando si apprende che questo assassino ha un segreto, si spera che lo prendano per avere la spiegazione della storia!
A.H.: Ci si identifica fino a questo punto?
F.T. Forse non è un’identificazione compieta, ma la cura con la quale Perkins ha cancellato tutte le tracce del delitto ce lo rende simpatico. Questo equivale ad ammirare qualcuno che ha fatto bene il proprio lavoro. [...]
F.T.: Infatti, si potrebbe considerare Psycho un film sperimentale?
A.H.: Forse. La mia più grande soddisfazione è che il film ha avuto un effetto sul pubblico, ed era la cosa alla quale tenevo di più. In Psycho del soggetto mi importa poco, dei personaggi anche; quello che mi importa è che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico possano far urlare il pubblico. Credo sia una grande soddisfazione per noi utilizzare l’arte cinematografica per creare una emozione di massa. E con Psycho ci siamo riusciti. Non è un messaggio che ha incuriosito il pubblico. Non è una grande interpretazione che lo ha sconvolto. Non è un romanzo molto apprezzato che l’ha avvinto. Quello che ha commosso il pubblico, è stato il film puro.
François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2008