Una parata di star

Una parata di star

Novecento è affollato di attori straordinari. La vecchiaia borghese di Burt Lancaster, quella popolana di Sterling Hayden, la dignità dolente di Maria Monti, la naturalezza simpatica di Gérard Depardieu, il dubbio intellettuale di Robert De Niro, il volontarismo intrepido di Stefania Sandrelli, il filisteismo trafelato di Romolo Valli, la perversità provinciale di Laura Betti, l’erotismo recitato di Dominique Sanda, il sadismo subalterno di Donald Sutherland compongono, pur sullo sfondo collettivo, un mosaico di situazioni e di vicende individuali.
(Alberto Moravia)



Mélange di prosa e poesia, tentativo di conciliazione tra storia e autobiografia, Novecento può essere analizzato anche come museo audiovisivo dell’attore novecentesco. Dalle divine mute (Francesca Bertini) a quelle parlanti (Alida Valli), da Hollywood (Burt Lancaster) al teatro di prosa (Romolo Valli), dalla commedia all’italiana (Stefania Sandrelli) alla New Hollywood (Robert De Niro), tutte o quasi le tradizioni attoriali sono rappresentate, in una sorta di melting pot multiculturale tanto inedito quanto stimolante.
(Alessandro Scandola)


Io amo molto la contaminazione […] mi sembrava molto interessante mescolare queste figure della mitologia hollywoodiana che in Novecento recitano la parte dei nonni (e i nonni sono sempre figure un po' mitiche per i bambini, così anche nel film per i nostri due protagonisti). Ma il mito nel cinema che cos'è? Mi piaceva molto avere insieme gli attori americani, Burt, Donald, Sterling, con gli attori italiani, europei, francesi e i contadini della bassa. Mi dicevo: “Guarda che avranno difficoltà gli attori veri!”. Il confronto immediato tra l'attore professionista di grande esperienza e quello che non lo è mai stato e che porta soltanto la sua innocenza è a volte un mix molto complesso da gestire.
(Bernardo Bertolucci)




Sterling Hayden e Burt Lancaster

Sterling Hayden è un sublime poeta del cinema degli anni Quaranta e Cinquanta. Burt Lancaster è invece un prosatore di un cinema più commerciale, ma un grande prosatore. […] Sterling ha in sé una tale forza poetica che non è possibile giudicarlo, lo si ama e basta, anzi credo che questo sia il suo problema. Lui dice che si fa talmente amare che alla fine per la gente non diventa più interessante scoprirlo. La sua identità più profonda è come nascosta da questo strato di amore e poesia. Bisognerebbe fare un film solo su di lui, sulla psicoanalisi, e lui dovrebbe fare lo psicoanalista.
(Bernardo Bertolucci)


Lancaster era a Roma, girava Gruppo di famiglia in un interno di Visconti, io lo andai a trovare dopo che aveva letto la sceneggiatura in inglese e mi disse "Lo faccio perché mi ricorda Il Gattopardo" e io, mentendo, gli dissi “Non ci avevo pensato”. Poi però mi spiegò che se fossimo passati attraverso l'agente ci sarebbe costato troppo, e scelse di venire e recitare gratis. Tra lui e Sterling Hayden si sono un po' ricreati i rapporti tra padrone e contadino. Hayden, che avevo conosciuto a Parigi e il cui primo incontro avvenne su una péniche come quella di L'Atalante di Jean Vigo, arrivò sul set in moto; quando non lo trovavamo era a farsi le canne sotto gli alberi e il sabato sera io e mia moglie Claire People, che era uno dei miei aiuti, organizzavamo le cene per la troupe Hayden quando vedeva arrivare Lancaster nascondeva una bottiglia di vodka e spariva. Credo che fuori dal set Lancaster non lo abbia mai incontrato.
(Bernardo Bertolucci)


Nei primi giorni in cui giravamo a Le Piacentine, tra Roncole e Samboseto, Sterling andava sotto un albero a ispirarsi nella campagna. Lo vedevo mangiare con gli occhi quella campagna, in cui si supponeva lui avesse camminato, lavorato, sudato. Mi ricordo anche che Burt capitò sul set due o tre giorni prima di girare la sua parte, quando inscenavamo il ballo delle ocarine sotto i pioppi (che girammo sul fiume Oglio) e rimase assolutamente incantato dal suono così dolce di questi strumenti, e dai movimenti delle ballerine in mezzo agli alberi. Era estasiato, entrò in una dimensione quasi mistica che gli fu utile per la sua successiva interpretazione. Mi è venuto in mente un pochino un affresco che è nel Palazzo Ducale a Parma, che credo si chiami La sala del Bacio dipinto dal Bertoja. Ci sono degli alberi, dei cavalieri. In quel dipinto gli alberi facevano la stessa cosa dei pioppi nella scena a cui Burt stava assistendo, moltiplicando le presenze delle comparse e dei contadini che ballavano. Burt, che aveva già fatto II Gattopardo, era completamente rapito.
(Bernardo Bertolucci)




Robert De Niro e Gérard Depardieu

Volevo un attore sovietico per Olmo, ma rifiutai di sottoporre la sceneggiatura ai russi e ripiegai sul giovanissimo Depardieu. Per il ruolo di Alfredo andai a Los Angeles, incontrai Robert DeNiro e Harvey Keitel, scelsi Bob per il suo aspetto più borghese. De Niro a New York mi portò a un concerto di Bob Dylan e in taxi litigò con l'autista sull'itinerario: "Gira di là, non fare il furbo, guarda che ho fatto il tassista per tre mesi", diceva. Era reduce da Taxi Driver.
(Bernardo Bertolucci)


Robert De Niro e Gérard Depardieu erano entrambi nel loro momento migliore: ognuno col suo fascino e la sua personalità, la sua fragilità e la sua forza.
(Dominique Sanda)


Con ognuno degli attori ebbi rapporti specifici. Bob, ad esempio, è un attore che ha bisogno di capire profondamente il personaggio e le sue dinamiche, quindi attua un lavoro di costruzione minuzioso. Arriva alle cose con fatica, con molta concentrazione. Gérard [Depardieu] invece è molto istintivo, non ha bisogno di tante descrizioni. Lui può ridere e bere lambrusco (come fece sul set di Novecento) fino a pochi minuti prima del ciak per poi recitare con grande professionalità durante tutta la scena.
(Bernardo Bertolucci)


De Niro lo conobbi in macchina, nell’intervallo tra notte e giorno, in mezzo alla nebbia. “Piacere, Alfredo Berlinghieri, Robert De Niro” mi disse. E io pensai "Che fico questo". [Depardieu] sotto il tabarro tendeva ad allungare le mani ovunque, ma Gérard sul tema era un po’ fastidioso. Un po’ molesto. Non disdegnava il vino a ore improbabili e non sapeva sempre controllarsi. [De Niro] peccava del vizio contrario. Era troppo controllato, troppo professionale, quasi robotico. Non si lasciava mai andare e non sapeva rilassarsi. Ho sempre pensato che dalla vita, Robert meritasse di più. Ma per lui esisteva soltanto il lavoro.
(Stefania Sandrelli)


Dominique Sanda

Bernardo aveva tagliato su di me la parte. Lo aveva già fatto per Ultimo tango a Parigi in realtà: dovevamo essere io e Trintignant, ma Jean-Luis non accettò (diceva che aveva una bambina piccola e non gli pareva il caso) e io stavo aspettando mio figlio… Con Novecento è filato tutto liscio, invece: è uno dei film che amo di più. Ada è un personaggio bellissimo, poetico, fuori dalla politica, non capisce la violenza. Qualcosa di lei me la sono inventata: la scena con De Niro dopo il ballo… Ve la ricordate? Fu forte girarla ed è forte per chi la guarda: è erotica e violenta. Per immedesimarmi inventai la storia che Ada (all’apparenza spregiudicata femme fatale) era vergine e aveva paura. Ho rivissuto la mia perdita della verginità: per passare il messaggio al pubblico, devi essere piena di emozioni, non solo mostrarle. Vivo la recitazione così: non in superficie, devo interiorizzarla. Ho bisogno di sentirmi autentica.
(Dominique Sanda)


Stefania Sandrelli

Novecento fu un’opera lunghissima. Gli altri erano stravolti. Io ero l’unica o quasi che non se ne voleva andare. Ero felice, coccolata, c’erano attori meravigliosi, un bel vedere. [...] [Bertolucci] era gentile, un po’ aristocratico, molto dedito al suo mestiere. Una volta si incazzò perché era spuntata l’alba prima che concludesse la scena che doveva girare. Era fuori di sé. Mi avvicinai con calma: “Bernardo, ma ti rendi conto della tua reazione? Non puoi fermare il giorno che arriva, non sei onnipotente”.
(Stefania Sandrelli)


Donald Sutherland

Donald Sutherland è una specie di outsider, perché ha una specie di maledizione che si porta dietro; è un grande attore che si crea ogni volta delle situazioni complicate a livello professionale.[…] [Attila] sembrava un personaggio maledetto. Tutti gli attori a cui l’ho proposto e che mi sembravano essere giusti fisicamente sono restati affascinati dal personaggio ma alla fine hanno rifiutato, anche se con molti conflitti interini. Poi è arrivato Donald ed era perfetto.
(Bernardo Bertolucci)