Woody & Allen: da fool ad autore

Woody & Allen: da fool ad autore

Quando gira Manhattan - un film decisamente più post-godardiano che posthollywoodiano, con quei lunghi carrelli indietro che paiono usciti da Fino all'ultimo respiro (A bout de souffle, 1959) - ha alle spalle il successo crescente dei suoi 'film comici' conclusosi con il trionfo di Io e Annie, e il colossale flop di Interiors; eppure sceglie ugualmente di proseguire la strada intrapresa verso una continua ricerca espressiva e formale, e di rischiare ancora. Torna a girare a New York - il suo set preferito - raffigurandola su schermo panoramico in uno splendido bianco e nero (ottenuto girando in technicolor e stampando successivamente in bianco e nero). Elabora un intrigo variando su alcuni temi già affrontati a Broadway in Play It Again, Sam (la versione teatrale era ambientata a Manhattan, si concludeva con l'incontro tra il protagonista e una giovane studentessa, e naturalmente giocava con il fantasma del seduttore Bogart con cui Manhattan chiude i conti, in sordina ma definitivamente). Affida a una messa in scena rigorosa, a un montaggio 'staccato', a una composizione geometrica dello spazio e dell'intreccio, quella tonalità drammatica necessaria a contrappuntare non solo la commedia dei corpi, ma anche il melodramma dei sentimenti. E realizza un film dove il rigore formale si fa corrispettivo cinematografico di un rigore morale che è anche - soprattutto - integrità d'Autore.

(Elena Dagrada, Woody Allen. Manhattan, Lindau, Torino 1996)




Nel 1977, il trionfo di Io e Annie (Oscar per il miglior film, per il miglior regista, per la migliore sceneggiatura, nomination per il migliore attore) ha consacrato la sua carriera, una carriera che non ha avuto soluzione di continuità da quando le sue prime battute sono apparse sul "Mirror" e sul "New York Post", un quarto di secolo prima. A questo punto del suo percorso manifesta l'ambizione di affermarsi su un registro del tutto diverso, con un film cupo, ispirato dal cinema europeo e in particolare all'opera di Ingmar Bergman: Interiors. Poi Manhattan, nuovo trionfo di critica e di pubblico, riesce per la prima volta a realizzare la sintesi tra la personalissima comicità di Io e Annie e le preoccupazioni esistenziali e stilistiche espresse nel film successivo. D'ora in poi la sua produzione di film si presenta come una successione di variazioni sugli stessi temi, secondo combinazioni ogni volta rinnovate di umorismo, ricercatezza intellettuale ed estetica 'seriosa'.

(Jean-Michel Frodon, Passaggio in zona libera, in Conversazione con Woody Allen, Einaudi, Torino 2001)




Il comico che ha esordito nel cinema traducendo in immagini i suoi monologhi da cabaret in Prendi i soldi e scappa si è evoluto in un personaggio che usa un'ampia gamma di tecniche cinematografiche (split screen, disegni animati, flashback, voce fuori campo, monologo interiore, visioni), in un uomo che racconta la sua storia in Io e Annie, in un ironico commentatore di valori morali e realizzazioni artistiche in Crimini e misfatti. La forma visiva che ha utilizzato per raccontare le sue storie è passata dalla rudimentale camera a mano di Prendi i soldi e scappa e de Il dittatore al bianco e nero molto contrastato, alla Ansel Adams, di Manhattan, alla vivacità da fumetto di Radio Days e Alice fino alla pienezza autunnale di Hannah, Un'altra donna e Settembre. [...]
Io e Annie
(1977) è il film che gli ha permesso di compiere il salto da comico stimato da un numero rispettabile di cinefili a regista da Oscar accolto da un vasto pubblico, sia pure, sottolinea Woody, solo dopo il riconoscimento ufficiale. Dal punto di vista tecnico, lo include tra i suoi sei migliori film, pur vedendone la storia con una certa freddezza. "Vellica i pregiudizi borghesi: non c'è nulla di cui vergognarsi, ma non è nemmeno niente di speciale. Siamo sempre nel campo della commedia romantica dei 'rapporti', intesa nell'accezione peggiorativa; non si tratta certo di Anna Karenina o de II rosso e il nero".
Poi venne Interiors (1978), il dramma che ha sconcertato chi tra il suo pubblico lo aveva etichettato come comico. Alcuni critici lo accusano di aver peccato di malafede, di aver rotto una sorta di contratto morale con il suo pubblico, ma per lui si trattava di tutt'altro: voleva affermarsi come autore drammatico. Si è invece divertito insieme al pubblico con Manhattan (1979). Woody lo ha definito "un divertimento indulgente e sensuale per dilettarsi con una certa visione di Manhattan e con la musica di Gershwin". Il film, per inciso, assecondava il suo fortissimo desiderio di mostrare la città di New York in tutto il suo personalissimo fascino. "La descrivo sempre nei suoi aspetti migliori, ma ciò è in totale sintonia con lo stile del film. Avevo un estremo bisogno di mostrare New York come il paese delle meraviglie ed è un desiderio che Manhattan mi ha permesso di esorcizzare completamente".

(Eric Lax, Woody Allen, Longanesi, Milano 1991)