Dicono del film

Dicono del film

L’uomo che verrà è a parer mio un grande film. Lo è dal punto di vista della ricostruzione storiografica, che non riguarda solo la strage – culmine della sua narrazione – ma anche la vita quotidiana dei contadini (mezzadri) dell’Italia centrale fino agli anni del boom e dello spopolamento delle campagne. [...] Con un’attenzione alle piccole cose, alla lingua, agli ambienti, alle facce, ai gesti, ai lavori, ai cibi, agli utensili, agli usi quotidiani e alla mentalità contadina. La stessa precisione si sente nella ricostruzione della strage, che il regista ha elaborato studiando i documenti, intervistando i sopravvissuti. [...] È un film che vuole andare al cuore delle cose attraverso la lenta, precisa, luminosa descrizione di ambienti e di comportamenti. La luce e la natura vi hanno dunque la stessa rilevanza dei volti e dei gesti delle persone. E la fluidità bensì asciutta, a tratti scandita del montaggio, la presenza mai inopportuna e invadente com’è d’uso nel nostro cinema non d’autore e anche in quello d’autore, della musica che qui invece interviene solo quando l’azione si innalza, ad exemplum oppure si addensa in tragedia, ed è allora di improvvisa sacralità. [...] L’occhio attraverso il quale noi seguiamo gli eventi è quello di una bambina sugli otto anni (che ha il volto puro e intensissimo della piccola Greta Montanari), muta per trauma e per scelta da quando il fratellino è morto in fasce. Se le parole che gli attori (che non sembrano neanche tali, tanto appaiono come nobilitati dal ruolo e dal coro) pronunciano sono nel duro dialetto bolognese di ieri, sono però le immagini a contare: senza forzature simboliche, è però con gli occhi di una muta che ci si aiuta a vedere. L’uomo che verrà del titolo è dunque il fratellino che crescerà nella pace ma avendo alle spalle i lutti, l’orfanità che ogni guerra ci fa ereditare, ma è anche un’idea di futuro possibile, di un futuro senza più guerre e senza più l’ingiustizia e l’avidità che ne sono all’origine. È la guerra il tema del film, la sua brutalità e insensatezza, la sua terribile, feroce gratuità, inutilità.
(Goffredo Fofi)



Film così aiutano ad allontanarsi dall'estetica di plastica delle fiction per tornare a misurarsi con la vera forza delle immagini e con la grande scommessa del cinema. Che è quella di emozionare e insieme far riflettere. Ritmato dal passare delle stagioni, il film racconta dieci mesi, dal dicembre '43 ai primi di ottobre del '44, di una famiglia di contadini nei pressi di Marzabotto (...). Recuperando una moralità troppe volte dimenticata, evitando qualsiasi gratuita spettacolarizzazione, Diritti non ci racconta uno dei tanti eccidi dell' ultimo conflitto ma il destino di vittime che la guerra fa cadere sulle persone: evita le trappole della revisione storiografica, dimostra un pudore coraggioso di fronte alla messa in scena della morte e riesce a fare un film che è soprattutto un inno alla vita, aiutato in questo da un cast perfetto dove professionisti (Maya Sansa e Alba Rohrwacher, ottime; Claudio Casadio, sorprendente) e non (la piccola Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina; le comparse del luogo) sanno trasmettere un' immagine indimenticabile di verità e di dolore."
(Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 22 ottobre 2009)



Un mosaico di storie incrociate sullo sfondo, una bambina che lotta per la sopravvivenza, nella neve e nel sangue, portandosi dietro la culla con un neonato, lasciando lo spettatore inchiodato alla poltrona, a chiedersi se ce la farà o meno a salvarsi dal macello (la risposta arriva solo nell'ultima scena). Paesaggi di sogno catturati in fotogrammi che sembrano dei quadri, la vita degli anni della guerra ricostruita con filologia poetica, oggetti dimenticati (come la macchina di legno per le tabelline in una scuola poverissima) lingue che si incrociano come in una babele, senza comprendersi. Emozioni pennellate con fotogrammi, piccole grandi invenzioni. 'L'uomo che verrà' è quasi un film muto, senza bisogno di traduzioni o sottotitoli, in cui gli sguardi raccontano più delle parole, e le musiche irrompono con la forza di un coro di voci bianche struggente, ma in cui tutto è asciutto, come se la sceneggiatura fosse stata rifinita con il bisturi. Giorgio Diritti ha composto un affresco sorprendente. Provate a dimenticarvi, prima di andare al cinema, che il film parla della strage di Marzabotto. Dimenticate per un attimo anche che è un film girato in dialetto, con sottotitoli in italiano. Andate a vederlo non come se fosse una storia sulla guerra di Liberazione del '43-'45 (ovviamente è anche questo) ma come se fosse un film su tutte le guerre e su tutte le speranze, un film sull'amore e sull'odio. L'uomo che non verrà sembra un apologo chapliniano, un 'Monello' ambientato nell'Italia dell'Appennino emiliano, dove i tedeschi sono come le cavallette, come il terremoto, come una catastrofe, che passa dai sorrisi fraterni allo sterminio in un battito d'ali.
(Luca Telese, "Il Fatto quotidiano", 22 gennaio 2010)



Ogni tanto un regista allergico alle convenzioni soffia via la polvere del tempo da pagine che credevamo di sapere a memoria. Quanti film abbiamo visto sul nazismo e i suoi orrori? Quante stragi, quanti rastrellamenti, quanti tedeschi in divisa che sbraitano ordini incomprensibili? 'L'uomo che verrà', di Giorgio Diritti, è il contrario di tutto questo. Non la ricostruzione a posteriori di una pagina di Storia, con tutti i rischi di manipolazioni e di kitsch pseudostorico che la cosa comporta, ma il prodursi di un evento che sembra accadere sotto i nostri occhi per la prima volta. È ciò che il cinema cerca di fare quasi sempre non riuscendoci quasi mai. Non c'è trucco. Basta spogliarsi di tutto ciò che sappiamo - oggi - su quell'evento. Per viverlo con gli occhi di chi lo visse allora, accogliendolo come un fatto enorme e incomprensibile perché del tutto estraneo al proprio sapere e alla propria scala di valori. Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Giorgio Diritti, già regista di un altro film di grande rigore, 'Il vento fa il suo giro', ci riesce costringendoci a sposare dall'inizio alla fine lo sguardo dei contadini di Monte Sole e delle loro famiglie. In mani meno abili tutto questo può diventare retorico. In quelle di Diritti e dei suoi eccellenti interpreti, scelti mescolando non professionisti ad attori veri come Alba Rohrwacher, Maya Sansa o Claudio Casadio, straordinario interprete di teatro per ragazzi qui al suo primo film, diventa un esercizio di straniamento poetico che ripaga lo spettatore con un'emozione e una comprensione delle cose fuori dal comune."
(Fabio Ferzetti, "Il Messaggero", 22 ottobre 2009)



"La sobrietà rispettosa e realistica, perfino nella tragedia disumana della strage, la grandezza morale dei protagonisti, la bravura degli interpreti (Maya Sansa, Alba Rohrwacher, Claudio Casadio), la bellezza indifferente della campagna e delle nebbie e dei diluvi rendono il film ammirevole."
(Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 22 ottobre 2009)