Per un'estetica dell'incubo

Per un'estetica dell'incubo

Come Vidler ha fatto notare, l'inquietante era radicato nei racconti di Edgar Allan Poe e di E.T.A. Hoffmann. La sua iniziale manifestazione estetica fu espressa nella raffigurazione di interni apparentemente benevoli e familiari invasi da una presenza estranea spaventosa. Ed è questa la sostanza di Eraserhead, Velluto blu, Twin Peaks, Strade perdute e Mulholland Drive. La loro espressione psicologica sta nella metafora del doppio, dove la minaccia è data dall'esistenza di una copia di se stessi, tanto più terrificante in quanto l'altro non è veramente 'altro'. [...].
L'inquietante fu anche generato dal sorgere delle grandi città. Appena le persone cominciarono a sentirsi separate dalla natura e dal passato, esso divenne un'ansia moderna associata a malattie e disturbi psicologici, in particolare a paure legate allo spazio come l'agorafobia o la claustrofobia. L'iniziale terrore delle città di Lynch e il suo amore per la natura e per un passato idillico può aver contribuito a queste paure così evidenti nel suo cinema, spesso espresse nell'uso del cinemascope. Personaggi come Fred Madison in Strade perdute sono circondati da spazi aperti, arenati nell'incerta geografia delle loro stesse vite. O, come per Henry in Eraserhead, ogni ambiente, interno ed esterno, dev'essere dettagliatamente e attentamente trattato. L'incertezza, l'estraniazione e la mancanza di orientamento ed equilibrio sono talvolta così intense, nell'universo lynchiano, che ci si chiede se sia mai possibile sentirsi a casa propria. [...]
L'inquietante fu ripristinato come categoria estetica dall'avanguardia moderna, che l'usò come strumento di 'defamiliarizzazione'. Per i surrealisti, esso risiedeva nello stato tra il sonno e la veglia, da qui il loro interesse per il cinema. Se Lynch è "il primo surrealista populista: un Frank Capra della logica del sogno", come affermò una volta il critico cinematografico Pauline Kael, è precisamente per il suo interesse nel processo di defamiliarizzazione e nello stato veglia/sonno".
(Chris Rodley, in David Lynch, Io vedo me stesso, il Saggiatore, Milano 2016)




Il primo lungometraggio di David Lynch è innanzitutto la storia di un uomo, Henry Spencer, e poi quella di una coppia che vive insieme al loro bambino in una zona industriale degradata, su un terreno abbandonato pieno di fanghiglia, disseminato di rumori di officina o di macchine, un territorio ai margini del fantastico che deve forse ricordare il paesaggio della zona di Philadelphia dove abitava Lynch con la moglie e la figlia. Questa dimensione realista in virtù della sua stessa stranezza è una delle chiavi del film. Al tempo stesso, il soggetto di Eraserhead può riassumersi nei normali problemi di una coppia con un bambino piccolo: problemi di sonno, di coesistenza, fobie domestiche di vario tipo, rapporti di vicinato, ma tutti trattati da David Lynch in modo decisamente stilizzato. Perché la forza di Eraserhead risiede anche nella sua particolarissima estetica.
Bianco e nero carbonaceo, colonna sonora non realista, creature bizzarre, ibride, tra cui primeggia il pargolo, che ricorda più un animale che emette vagiti di un neonato, sequenze di animazione, effetti speciali rudimentali, propensione per la metamorfosi, atmosfera oppressiva: tutto concorre a fare del film di Lynch una sorta di oggetto bizzarro, senza che peraltro si perda nella gratuità o nell'originalità fine a se stessa. Eraserhead fa parte di quelle pellicole che instaurano un filo diretto tanto con l'inconscio dei loro autori quanto con quello dei loro spettatori. Il film descrive in primo luogo un percorso interiore, quello di Henry Spencer - interpretato dal sorprendente Jack Nance, che apparirà poi nel corso degli anni nella maggior parte dei film di David Lynch, per il quale Nance diventerà una sorta di attore-feticcio -, un percorso tormentato, come se il personaggio subisse una specie di metamorfosi interiore senza comprendere quello che gli sta accadendo. In effetti, un clima di angoscia sorda e crescente avvolge Eraserhead, lungometraggio dominato da stati umorali, da sensazioni, da tutta una gamma di fatti organici che colpiscono corpi e menti.
(Thierry Jousse, David Lynch, Cahiers du cinéma, Parigi 2000)




Non partendo da studi cinematografici, la padronanza del linguaggio filmico da parte di Lynch potrebbe non apparire completa. Al contrario, è ormai evidente che la scuola figurativa cui il regista fa riferimento non è stata un ostacolo bensì una ricchezza: egli ha così potuto utilizzare convenzioni narrative e formali solo in funzione di un modo di vedere il cinema totalmente unico e personale. Se è vero che nel corso degli anni lo stile di Lynch si è fatto via via più maestoso e scintillante, ciò appare frutto di una scelta consapevole più che di una avvenuta maturazione linguistica.
La rappresentazione dello spazio e del tempo, di conseguenza, obbedisce all'originalità delle intuizioni lynchane, pur operando all'interno del cinema americano e del suo riconoscibile modello. Il 'cronotopo' - se ci si passa il termine desunto da Bachtin - del cinema hollywoodiano è presente nel cinema di questo autore come luogo mentale in cui proiettare continue distorsioni, praticare strade senza uscita, proporre logiche intransitive al racconto classicamente inteso. Lynch non appartiene certamente al cinema cosiddetto neoclassico e, d'altra parte, pur essendone un ispiratore, non si può nemmeno affermare che sia un regista postmoderno. L'innovazione sui concetti di spazio e tempo è pressoché impercettibile a un primo sguardo. [...]
All'interno dei film, non è semplice definire una chiara dimensione temporale degli avvenimenti. Nelle opere più sperimentali, Eraserhead e Fuoco cammina con me! soprattutto, i nessi di causa ed effetto non sono per nulla evidenti. Una serie di avvenimenti prende corpo man mano che i personaggi progrediscono nei loro incubi a occhi aperti.
(Roy Menarini, Il cinema di David Lynch, Falsopiano, Alessandria 2002)