Accattone, ragazzo di vita

Accattone, ragazzo di vita

La scoperta delle borgate romane, dopo le umiliazioni subite a Casarsa e la fuga del 1950 con la madre, rappresentò per Pasolini la vera scoperta di un nuovo mondo e di una nuova lingua: il romanesco parlato dal popolo che viveva nelle baracche in condizioni primitive e quasi pagane, il suo umorismo cinico e allegro, la sua spontanea inventiva lessicale. Pasolini si immerse in quel mondo, lo evocò in racconti, poesie e in due fortunati romanzi frammentari e picareschi, Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), esaltando la vitalità selvaggia di una gioventù che viveva al di fuori dalla storia e della morale, destinata inevitabilmente alla morte. Nel film Accattone questo universo emerge dalle tonalità di un bianco e nero dai forti contrasti, dalle pose fisse, dai primi piani intensi, esplicitamente ispirati alla staticità dell’arte primitiva italiana.

(Officina Pasolini, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015)




La storia nacque dal suo desiderio di fare una pellicola sulla borgata, popolata dai tanti personaggi che lo affascinavano. Io ho lavorato con lui a tutte le sue sceneggiature, meno Medea e Le mille e una notte. Potevamo scrivere una sceneggiatura in una settimana. Pier Paolo si piazzava alla macchina da scrivere, attaccavamo a chiacchierare, se divagavo mi riportava in argomento e tutto veniva giù liscio come l'olio. Io gli ho dato un apporto gergale e, in qualche caso, gli ho riferito degli episodi realmente accaduti che lui riscriveva di sana pianta. Lui sapeva chiedermi le cose che voleva sapere. Proprio per questo mi ritrovavo in condizioni di cavarle fuori.

(Sergio Citti)




Esercitando il proprio atto creativo in luoghi reali nei quali gli esseri e le cose si offrono alla riproduzione e prendono forma nell’immagine, Pasolini può pensare, illusivamente, al cinema come una forma di sutura tra arte e vita. Le riprese, che cominciarono il 20 marzo e si protrassero fino al 2 giugno 1961, si svolsero in gran parte all’aperto, nei luoghi da tempo designati: ambienti reali, scelti, come gli attori presi dalla vita, per ciò che erano, utilizzati senza apportarvi sostanziali modifiche.

(Luciano De Giusti)




Non era certo il regista che rimaneva seduto sulla sedia a impartire ordini urlando al megafono: non urlava mai ed era sempre in movimento, era animato da una passione per il suo lavoro che lo portava a entrare nella materia delle cose, tanto che presto diventò l’operatore di se stesso. […]
Ricordo che era affascinato dalla fase dei sopralluoghi: li faceva da solo o con pochissimi collaboratori al seguito. Gli piaceva la fase in cui si scoprono i luoghi e forse confrontava il film che aveva immaginato alla realtà fisica di cose o persone. Qualche volta ho fatto i sopralluoghi con lui e l’ho osservato: camminava, camminava, con quella resistenza incredibile che aveva, e guardava le linee, le forme dei paesaggi o degli interni con una tensione – una tensione da cacciatore – che non si esprimeva mai in parole e che era difficile anche vedergli negli occhi, nascosti dagli occhiali neri.

(Dante Ferretti)




Accattone ha ormai il volto di Franco Citti, fratello di Sergio, da poco scoperto, e destinato a prendere il posto che, nel film e nel cuore del regista, in un primo momento fu di Franco Interlenghi. Come Accattone, anche i suoi amici che compaiono fin da questa ricognizione fotografica in borgata, sono attori non professionisti. Pasolini inaugura col primo film una pratica nella scelta degli attori alla quale si atterrà anche in seguito come a un invariante principio regolativo. Li sceglie essenzialmente per ciò che sono come persone, preesistenti a ogni richiesta recitativa, non per la loro capacità di simulazione. Per il loro essere, non per quanto sanno fingere di essere.

(Luciano De Giusti)




È in pizzeria, tra un giro e l’altro di bicchierozzi di vino, che viene fuori l’idea di Accattone. Che non era uno di fantasia, in un certo giro dell’Acqua Bullicante lo conoscevano tutti e ne parlavano come di uno senza fissa dimora, un dritto, un paraculo, uno che si arrangiava per sbarcare il lunario e che però rubava solo a chi era più pezzente di lui. Il nome gli veniva da ’sta vita raminga, dalla necessità di accattonare. Del resto nel nostro gruppo abbiamo sempre avuto la mania dei soprannomi, e lui era soprannominato Accattone, punto e basta, anche se poi in effetti nessuno sapeva come si chiamava davvero. Di tanto in tanto si veniva a sapere che aveva dato una sòla a qualcuno qua e là per Roma, poi di nuovo più niente, spariva nel nulla, ma chi se ne fregava?
Pasolini comunque era rimasto colpito da ’sto personaggio che per vivere doveva arrangiarsi e che sembrava un po’ la mia fotocopia. […] Il fatto che abbia voluto farmi fare l’attore è per me un mistero. Io sono come un bambino, bisogna sempre dirmi tutto, come fa mio fratello Sergio. Ma lui: “Hai la faccia giusta, mettiti lì, fa così e così”. Insomma non pretendeva di farmi diventare un altro, dovevo restare nella mia ignoranza, fisica e spirituale… Io spesso mi sono chiesto chissà perché avesse ’sta fissa e l’unica risposta che mi è venuta è che in fondo nel mio grugno dolce o odioso o strappaschiaffi lui ci si specchiava, ci vedeva lui stesso.

(Franco Citti)




Pier Paolo dirige i suoi attori con estrema cortesia, cosciente delle difficoltà che incontra e quasi si sente colpevole di trovarsi dall’altra parte della macchina da presa a temperare e a scatenare umori sui volti dei suoi amici, a bloccare quei volti con una scrittura che gli è nuova. Quasi temesse di violare con la tecnica cinematografica il materiale poetico e affettivo accumulato per mezzo della parola. Accanto a questi timori, che la vitalità accalora, la medesima vitalità accende fuochi di un interesse altrettanto esclusivo per lo stile cinematografico, per l’inquadratura, per la successione delle immagini nella struttura del racconto, per il montaggio. Sono più filtri che agiscono contemporaneamente, freni e stimoli, tutta la pena e tutta la fiducia che Pasolini ha nel mondo. […] Pasolini si sposta a girare dal Pigneto alla Via Portuense, dall’EUR alla Borgata Gordiani, muove i suoi personaggi in una Roma ignara e primaverile, sotto improvvise acquate e soli meridionali, immerso in un’avventura che lo assorbe, alla scoperta di una nuova lingua: passione e ideologia non abbandoneranno mai Pasolini, sono ancorate alla sua disperazione e al suo ardore quasi religioso.

(Bernardo Bertolucci)




Il primo personaggio del suo cinema, Vittorio Cataldi in Accattone (1961), è un uomo che vive nell’incoscienza di sé e nella più assoluta marginalità sociale (lo sfruttamento della prostituzione e il furto come uniche attività di sostentamento). Mai prima di allora un ‘ultimo uomo’ come Accattone era stato raccontato in un film di finzione al di là di ogni schematismo moralistico, filmato in un mondo ‘preistorico’ di borgate calcificate e polverose, sotto un sole ‘funereo’: Pasolini esprime la tragedia di questo ‘dannato’ che intraprende, inconsapevolmente, un percorso di riscatto, nella grana satura di un’immagine dai bianchi e neri violentemente contrastati. Già questa scelta estetica costituì una deliberata, rivoluzionaria trasgressione dei codici filmici convenzionali. La ‘realtà inespressa’ del protagonista si rivela nella stupenda sequenza di un incubo in cui vede alcuni cadaveri insepolti fra le macerie di quella borgata (Gordiani) che il boom economico sta cancellando per sempre, poco prima di assistere al proprio funerale. Accattone avverte quindi oscuramente di essere destinato a soccombere proprio come l’umanità delle borgate cui appartiene sta per essere cancellata dallo sviluppo degli anni Sessanta.

(Roberto Chiesi)




Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. […] Se io oggi volessi rigirare Accattone, non potrei più farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo ‘corpo’ neanche lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato se stessi in Accattone. Non troverei più un solo giovane che sapesse dire, con quella voce, quelle battute. Non soltanto egli non avrebbe lo spirito e la mentalità per dirle: ma addirittura non le capirebbe nemmeno. […]
I personaggi di Accattone erano tutti ladri o magnaccia o rapinatori o gente che viveva alla giornata: si trattava di un film, insomma, sulla malavita. Naturalmente c’era anche, intorno, il mondo della gente di borgata, implicata, sia pure, dall’omertà con la malavita, ma, infine, normalmente lavoratrice (per un salario miserabile: si veda Sabino, il fratello di Accattone). Ma, in quanto autore, e in quanto cittadino italiano, io nel film non esprimevo affatto un giudizio negativo su quei personaggi della malavita: tutti i loro difetti mi sembravano difetti umani, perdonabili, oltre che, socialmente, perfettamente giustificabili. I difetti degli uomini che obbediscono a una scala di valori ‘altra’ rispetto a quella borghese: e cioè ‘se stessi’ in modo assoluto, come ho detto.
In sostanza sono personaggi enormemente simpatici: è difficile immaginare gente simpatica (al di fuori dei sentimentalismi borghesi) come quella del mondo di Accattone, cioè della cultura sottoproletaria e proletaria di Roma fino a dieci anni fa. Il genocidio ha cancellato per sempre dalla faccia della terra quei personaggi.

(Pier Paolo Pasolini)





Salvo diversa indicazione i testi sono tratti da:
Accattone. L’esordio di Pier Paolo Pasolini raccontato dai documenti, a cura di Luciano De Giusti e Roberto Chiesi, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015;
Pier Paolo Pasolini, Il mio cinema, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015;
L’avventurosa storia del cinema italiano. Vol. 3, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, in corso di pubblicazione