Una nuova lingua: esordio di un poeta

Una nuova lingua: esordio di un poeta

Accattone è il mio primo film. Quando l’ho cominciato – ora posso confessarlo – non sapevo nulla; non sapevo che esistessero, per esempio, vari tipi di obiettivo, e restavo di stucco quando l’operatore mi chiedeva che obiettivo desiderassi. Addirittura – questo è enorme – non sapevo con precisione che cosa significasse panoramica: la confondevo col campo lungo... Ero, insomma, un principiante. Ciò mi ringiovanisce – e questa è una cosa che fa sempre piacere. Ma, ad ogni modo, appunto per questo adesso tremo: tremo nel lasciare la parola – la difficile angosciosa parola – ai miei personaggi, che si rivolgono a voi come da un altro mondo.

(Pier Paolo Pasolini, appunto manoscritto per la presentazione del film a Torino nel dicembre 1961)




Il giorno in cui cominciammo a fare i provini per Accattone, Pier Paolo non aveva ancora la più pallida idea di come fosse fatta una macchina da presa. Tanto è vero che quando Di Palma, che avrebbe dovuto essere l'operatore, gli chiese: “Dottore, allora mettiamo l’obiettivo cinquanta?”, lui non seppe cosa rispondere, perché non sapeva neppure che ci fosse l'obiettivo e si limitò a dire: “Voglio inquadrarlo da qui a qui”. Ma dopo tre giorni aveva imparato tutto senza studiare gli obiettivi ma stando sul posto e comprendendo come funzionavano.

(Sergio Citti)




Uno dei ricordi più incredibili di cinema che io ho è Accattone. La bellezza di quell'entrata di Pier Paolo, che si è poi ripetuta in tutti i film che lui ha fatto, era qualcosa di straordinario. […] Vedere come il film nasceva nella testa di Pier Paolo, il suo assoluto sprezzo per le logiche abituali della regia, la sua scelta degli attori, delle facce, il suo rapporto con gli amici furono un'avventura bellissima.

(Laura Betti)




Nel 1960, quando si profila la possibilità del passaggio alla regia cinematografica, Pasolini è già il poeta assai noto di Le ceneri di Gramsci, lo scrittore affermato e discusso di Ragazzi di vita e Una vita violenta, l’intellettuale che vive nel cerchio arroventato delle controversie. Molti allora si chiesero perché una persona ormai celebre, che deteneva con la sua opera una posizione centrale nella cittadella della letteratura, aspirasse a entrare anche in quella del cinema.
A tale domanda pertinente ancor oggi, a distanza di molto tempo, Pasolini diede risposte diverse […]. Quelle che fornì a caldo e che ritroviamo nelle interviste dell’epoca fanno riferimento a due parametri contingenti, riconducibili a un desiderio e un bisogno. Il desiderio è quello di “vedere totalmente realizzata una mia sceneggiatura, parola per parola, dialogo per dialogo”. Lo scrittore avrebbe voluto vedere tradotti in immagini e suoni le vicende e i personaggi come si sono presentati a lui nel momento immaginante della scrittura […].
Oltre al desiderio di una maggiore corrispondenza tra sceneggiatura e film realizzato, a indurre il salto alla regia c’è anche un dichiarato bisogno di cambiare tecnica. All’epoca Pasolini esprime la convinzione che cinema e letteratura non siano dopotutto esperienze antitetiche. Si dice convinto che il cinema sia una variante tecnica della narrazione letteraria, sostanzialmente omologa: “Il desiderio di esprimermi attraverso il cinema rientra nel mio bisogno di adottare una tecnica nuova, una tecnica che rinnovi. Significa anche desiderio di uscire dall’ossessivo”. Il cinema gli consente di articolare in altra forma la poetica della borgata già delineata nei romanzi, di continuare a raccontare quel mondo riscattando la dimensione ossessiva dell’iterazione attraverso l’adozione di un altro linguaggio con cui esprimerlo.
Pasolini lega il suo passaggio al cinema anche al desiderio di sfuggire gli angusti orizzonti della nazione di appartenenza sottraendosi simultaneamente alla sua lingua e letteratura. Nazione e lingua gli parvero aggirabili attraverso l’adozione di un linguaggio transnazionale, come quello a fondamento visivo del cinema. Tale passaggio non comportò però mai l’abbandono della letteratura.

(Luciano De Giusti)




Ho abbandonato in parte la letteratura, o per lo meno ho abbandonato il romanzo, non la poesia, per dedicarmi quasi esclusivamente al cinema. Questo è accaduto negli anni Sessanta. E non senza ragione perché gli anni Sessanta sono gli anni di una profonda crisi della cultura italiana. L'Italia stava passando da una fase di paleocapitalismo verso una forma di neo-capitalismo. Questo ha implicato una crisi di tutte le ideologie esistenti in Italia, soprattutto dell'ideologia marxista. Per il romanzo, sono sorti i gruppi avanguardistici che rompevano le tradizioni chiuse e classiche di narrativa e di poesia, si è parlato di antiromanzo, ecc. Io non ho potuto inserirmi in questo movimento perché ormai la mia formazione era fatta, il mio carattere era definito e non potevo tradirlo e tornare indietro. Sono quindi passato istintivamente al cinema: ho sostituito cioè il racconto romanzesco col racconto cinematografico. In principio ho creduto si trattasse della scelta di una nuova tecnica, ma poi mi sono accorto che si trattava della scelta di una vera e propria lingua (perché il cinema secondo me è una vera e propria lingua), forse realizzando con questo il mio avventuroso e un po' scapestrato desiderio di abbandonare la nazionalità italiana. Scrivendo con la lingua del cinema, mi esprimo con un'altra lingua che non è più italiano, ma una lingua internazionale.

(Pier Paolo Pasolini)




Alcuni metri di binario vengono buttati sulla polvere, sembrano caduti per caso, e infatti sarà la prima carrellata della storia del cinema. E quando Pasolini decide di fare una panoramica o un primissimo piano, ho l'impressione di assistere all'invenzione della panoramica o del primissimo piano. Per lui, il cinema fino ad Accattone non era stato che un luogo di incontro di nuovi amici. C'erano pochi film che amava e non mi rammento che di qualche Chaplin e dei ‘testoni’ della Giovanna di Dreyer. Di lì il bisogno di creare il suo personale linguaggio cinematografico.

(Bernardo Bertolucci)




Quando ho cominciato a girare Accattone io non sapevo il significato della parola panoramica, che credevo fosse un campo lunghissimo; ho saputo dopo invece che panoramica è un movimento della macchina. Quindi sono arrivato effettivamente ad Accattone con una grande preparazione intima, una grande carica di passione cinematografica e di modo di sentire idealmente l'immagine cinematografica, ma con una totale impreparazione tecnica, che era però compensata dal mio modo di vedere le cose. Avevo cioè talmente chiare nella testa le scene del film che non avevo bisogno di elementi tecnici per realizzarle, non mi occorreva sapere che la panoramica si chiama panoramica, per fare un movimento di macchina che mostrasse i muretti scrostati del Pigneto.

(Pier Paolo Pasolini)




Pasolini era un personaggio speciale nel cinema italiano dell’epoca, anche a prescindere dalla sua importanza di intellettuale e poeta: non era un regista nel senso tradizionale del termine, non proveniva dall’ambiente del cinema ma dal mondo letterario, quindi non viveva la preparazione e la lavorazione di un film come un cineasta di mestiere. Il cinema lo appassionava, ma non perdeva la sua lucidità perché stava molto attento a non lasciarsi assorbire dai condizionamenti che qualsiasi industria tende a importi. Credo che fosse un uomo abituato a difendersi ma senza aggressività, con il profondo convincimento che aveva nelle proprie idee.
Ricordo che una delle prime cose che mi colpirono di lui fu la particolare autorevolezza che aveva, silenziosa e determinata. Arrivava sul set con la sicurezza di chi si è già posto tutte le domande e ha già trovato le risposte per quanto riguardava le modifiche alla sceneggiatura, le opzioni estetiche, i volti più adatti per le parti anche piccole. Rimanevano aperti tanti problemi tecnici o pratici, perché aveva poca esperienza, ma non se ne preoccupava di certo. Credo che in fondo non gli dispiacesse se i suoi film contenevano delle ‘sgrammaticature’, che non fossero lisci e levigati. Del resto, la sua idea di cinema non era certo quella.

(Dante Ferretti)




Delli Colli conferma le scarse cognizioni tecniche dovute a inesperienza, largamente compensate però da idee molto chiare su ciò che voleva: “Aveva tutte le inquadrature in mente; anzi, faceva i disegni. Per ogni inquadratura c’era un disegno. […] Aveva tutti gli schizzi delle inquadrature che doveva fare”. Su questa attitudine di Pasolini, ecco lo stralcio di un resoconto giornalistico del tempo: “Arriva sul set con una grande borsa dalla quale trae un pacco di disegni, che mostra a Delli Colli, il direttore della fotografia discute con lui le inquadrature della giornata: una per una che lo scrittore ha disegnato la sera a casa, con l’esatta posizione di ogni attore, il taglio, le luci”. Più che disegni – termine che farebbe pensare a prodotti dotati di un autonomo valore estetico – si tratta di schizzi tirati via che sembrano essere stati tracciati d’impulso, tuttavia precisi e funzionali per assolvere la mansione previsionale che erano chiamati a svolgere.

(Luciano De Giusti)




Io mica ci credevo che anche lui nel cinema fosse alle prime esperienze, i registi e le riprese erano per me lontani quanto i dischi volanti, per cui poteva fare quello che voleva, per me era tutto regolare. Le critiche dei così detti esperti a questo modo di fare il cinema le avrei sentite solo diverso tempo dopo. Lui ci diceva: “Fate le facce da paraculi che di solito fate quando vi imbrancate al bar!”. E per quanto ne sapevo io era quello il modo di dirigere. A volte se qualcuno sbagliava a muoversi, si incazzava e sbatteva la macchina a terra. Gli operai, cioè i macchinisti e gli elettricisti accorrevano per limitare il danno ma io mi credevo che fosse tutto normale, normalissimo.

(Franco Citti)

 

Al montaggio mi sono reso conto che aveva girato delle scene in maniera del tutto diversa da come eravamo abituati. Allora anch’io mi sono adeguato al suo modo di girare e abbiamo fatto un montaggio veramente insolito, che non rispettava le abituali regole degli attacchi, dei raccordi, ecc., un montaggio un po’ astratto. Indubbiamente la fase del montaggio era per lui una fase creativa, ma era anche la fase in cui si accorgeva dei difetti del film.

(Nino Baragli)







Salvo diversa indicazione i testi sono tratti da:
Accattone. L’esordio di Pier Paolo Pasolini raccontato dai documenti, a cura di Luciano De Giusti e Roberto Chiesi, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015;
Pier Paolo Pasolini, Il mio cinema, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015;
L’avventurosa storia del cinema italiano. Vol. 3, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, in corso di pubblicazione