La genesi del film

La genesi del film

La genesi del film

C’è qualcosa di onirico in quelle parole, “lost highway”, evocano nella tua mente suggestioni di ogni genere.

David Lynch



Un film noir del Ventunesimo secolo. Una vivida descrizione di crisi d’identità parallele. Un mondo dove il tempo è pericolosamente fuori controllo. Un viaggio terrificante lungo la strada perduta.
(David Lynch, in David Lynch, Barry Gifford, Strade perdute, Bompiani, Milano 1998)




L'idea di Strade perdute è nata dalla lettura del libro di Barry Gifford Gente di notte. Il romanzo non racconta la storia del film, ma uno dei personaggi utilizza a un certo punto l’espressione “lost highway”. Queste parole producevano un’impressione e un mistero che ho molto amato. Ho così parlato con l’autore del libro e dopo un anno ci siamo incontrati a Berkeley. Abbiamo confrontato le nostre idee ed entrambi abbiamo detestato quelle dell’altro. Ho poi raccontato a Barry un'idea, venutami alla fine della lavorazione di Fuoco cammina con me, che è quella che si vede nella prima parte del film, quella con le videocassette e la coppia. Barry l'ha subito apprezzata e abbiamo continuato a lavorarci sopra. Dopo un mese e mezzo la sceneggiatura era pronta.
(David Lynch si racconta, a cura di Stefano Boni e Enrico Vincenti, in David Lynch, “Garage”, Paravia, Torino 2000)



Una prima stesura di Strade perdute è scritta per Ciby 2000, ma, secondo Lynch, essi lasciano passare molto tempo prima di dare il loro accordo: “Una volta dato l'accordo, sono stati formidabili. [...] Abbiamo finito la sceneggiatura nel marzo del 1995, e non abbiamo cominciato a girare prima di novembre. [...] In realtà io avrei voluto filmare in estate, ma era inverno, e nel deserto, eravamo gelati”.
L'idea decisiva – dopo una seduta di lavoro infruttuosa tra Gifford e Lynch – sarebbe venuta in mente a Lynch l'ultima notte delle riprese di Fuoco cammina con me. “Rientravo in macchina con Mary Sweeney, e quello che le raccontai in qualche modo la terrorizzò, e spaventò anche me”. La sceneggiatura prende allora una direzione del tutto nuova. È l'idea di una coppia che vive in una casa, e che riceve per posta una videocassetta. Quando la guardano, scoprono che si tratta della facciata di casa loro. Non ci fanno caso, poi ne ricevono un'altra, che fa vedere un attraversamento del loro soggiorno, e li scopre addormentati nel loro letto. Tutto ciò fino all'immagine di un pugno che colpisce Fred al commissariato – senza che lui sappia come è arrivato fin là.
Altra fonte, una scena raccontata da Lynch come realmente vissuta da lui: si risveglia un mattino, sente suonare il suo citofono e una voce d'uomo che lo chiama: “Dave” (contrariamente al film, in cui Fred non è chiamato per nome) “io dico ‘si!’, e l'uomo dice ‘Dick Laurant (con una a) è morto’. E io dico ‘cosa?’, e non c'era più nessuno. Non potevo vedere l'entrata della casa, senza andare dall'altra parte e guardare dalla grande finestra, ma, una volta là, non c'era nessuno. E non so chi sia Dick Laurant [...]. Giuro che è una storia vera”, aggiunge Lynch, che non fa alcuna allusione al fatto che questo nome, reale o immaginario, abbia le stesse iniziali del suo.
(Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000)




Hotel Room
, una trilogia di brevi episodi ambientati nella camera 603 del Railroad Hotel di New York, fu realizzato per la HBO. Sia il primo che l’ultimo degli episodi – Tricks (ambientato nel 1969) e Blackout (ambientato nel 1936) –, entrambi avvincenti, furono scritti da Barry Gifford e diretti da Lynch. […] Nella loro semplicità, nelle momentanee insorgenze di un senso di minaccia e nell’atmosfera di panico splendidamente trattenuta, entrambi i lavori preannunciano alcuni aspetti del successivo film di Lynch: Strade perdute, ispirato a un testo di Gifford e primo frutto della loro collaborazione come cosceneggiatori. Tricks, in particolare, contiene lontani echi del film a venire nei temi dell’identità incerta e dell’uxoricidio. […] Nessuna meraviglia, dunque, che Gifford e Lynch abbiano alla fine trovato una fusione perfetta in Strade perdute, il film narrativamente più ambizioso e, secondo Gifford, il più vicino a Eraserhead che Lynch abbia mai realizzato. “Credo che Strade perdute sia un film molto serio, e in questo mi sento di associarlo a Eraserhead. In qualche modo è un ritratto molto commovente. Non me ne resi conto finché non cominciai a visionare i giornalieri: fui impressionato da ciò che vi vedevo succedere”.
(Chris Rodley, in David Lynch, Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita, a cura di Chris Rodley, Il Saggiatore, Milano 2016)



Il direttore della fotografia Deming ha fatto tesoro delle esperienze precedenti con il regista in alcune pubblicità, la breve serie televisiva On the Air e il film a episodi della HBO Hotel Room. “David non è un grande amante delle fasi preparatorie; non gli piace essere troppo limitato dai particolari”, racconta Deming. “Prima di cominciare le riprese di questo film, abbiamo parlato in modo specifico solo di due scene: quella nel corridoio della casa di Fred Madison e la scena d’amore nel deserto. Abbiamo discusso di vari livelli di buio – nero, quasi nero e via dicendo. Per capire cosa intendesse esattamente prendevo esempi da cose che avevamo fatto insieme oppure da altri suoi lavori. I colori a cui David era più interessato erano i marroni, i gialli e i rossi. Abbiamo finito per girare buona parte del film con un filtro color cioccolato numero 1, che mi ha aiutato a ottenere la resa che voleva David”. […]
Lavorando in vero widescreen anamorfico (2.40:1), Deming ha girato la maggior parte del film su pellicole Eastman Kodak 5293 e 5298, e ha sempre utilizzato una calza Fogal dietro l’obiettivo. […] Deming racconta che la sfida più grande delle riprese è stata quella di soddisfare la passione di Lynch per le immagini scure come l’inchiostro. “È stata una dura lotta”, ammette. “So cosa piace a David; fosse per lui, sarebbe tutto un po’ sovraesposto e torbido, cosa che per me è un crimine. In questo film mi sono spesso trovato al limite inferiore della latitudine di posa. Non volevo sovraesporre le immagini e stamparle, perché avrebbero avuto troppo contrasto. Volevo che la resa complessiva fosse a basso contrasto rispetto alle scene in diurna nella casa dei Madison e nel resto del film”. […] Per alcune scene chiave sono stati impiegati dei sistemi di illuminazione estremamente ridotti per ottenere effetti suggestivi. Un esempio spettacolare di questa strategia è l’aspetto sepolcrale che la troupe è riuscita a conferire al corridoio principale di casa Madison, che ha un’atmosfera sinistra simile alle opere di uno dei pittori preferiti di Lynch, Francis Bacon. Questo risultato ha richiesto un accorto gioco di squadra fra i vari membri della troupe.
"Per fortuna il corridoio era un ambiente che potevamo ridisegnare, anche se stavamo girando in una casa vera”, racconta Deming. “Patty Norris e la sua squadra hanno modificato fisicamente la struttura, rendendo il corridoio il più lungo possibile. Lei mi ha anche aiutato vestendo Bill Pullman con abiti scuri e facendo dipingere le pareti con un colore che non avrebbe riflesso troppa luce. Per finire, abbiamo appeso una tenda nera alle finestre sul fondo”.
(Stephen Pizzello, “American Cinematographer”, marzo 1997, ora in David Lynch, Perdersi è meraviglioso. Interviste sul cinema, a cura di Richard A. Barney, minimum fax, Roma 2012)