Dancing King: l'icona e il divo

Dancing King: l'icona e il divo

Vincent era il miglior ballerino di tutta Bay Ridge – il leader dei Faces. Possedeva quattordici camicie floreali, cinque completi, otto paia di scarpe, tre soprabiti, ed era apparso nello show American Bandstand. [...] Tutti lo conoscevano. Quando arrivava il sabato sera e faceva il suo ingresso nella discoteca 2001 Odyssey, tutti gli altri Faces indietreggiavano davanti a lui, aprendogli un varco in cui avanzare, proprio al centro della pista. Gentile come un signore medievale che accoglie tributi, Vincent fa cenni con la mano e con il capo. Poi il suo volto si fa serio, il suo corpo si rivolge alla musica. Solenne, danza, e tutti i Faces lo seguono.
(Nik Cohn, Tribal Rites of the New Saturday Night, “New York Magazine”, 7 giugno 1976)




Nel volume 28 di “Screen World”, il Film Annual 1977 di John Willis, John Travolta era ancora annoverato tra i “nuovi promettenti attori del '76” accanto a Sylvester Stallone, Sissy Spacek, Jodie Foster e ad altri che hanno avuto minore fortuna. Nella foto sembrava uno dei tanti capelloni adolescenti, con occhi chiarissimi e angelici, e la fossetta sul mento come Kirk Douglas,
La fossetta, è rimasta. Il capello s'è fatto più corto e la piega delle labbra più espressiva, ma John Travolta non ha perso l'aria di buon ragazzo italo-americano. Solo l'immagine fissa non gli giova. Come quella a colori che campeggia sulla sovracoperta del romanzo derivato dal film edito da Longanesi & C. e da Sperling & Kupfer) e lo ritrae danzante, biancovestito accanto alla sua compagna in rosso, sulla pista psichedelica dell’Odissea 2001. Statico risulta duro e grintoso, come un gangster del ballo. Il movimento dà ali alla simpatia.
A ventiquattr’anni compiuti (ma nel film impersona un diciannovenne), oggi Travolta . è un divo, che ai primi di aprile contenderà l'Oscar a Richard Burton e a Marcello Mastroianni. Ciò grazie alla televisione che lo lanciò, alla colonna musicale del film, i cui dischi sono in testa alle vendite, e al film stesso, che negli Stati Uniti sta minacciando gli incassi dei due colossi fantascientifici, Guerre stellari e Incontri ravvicinati del terzo tipo (il cui protagonista, Richard Dreyfuss, è pure candidato). Insomma John Travolta è il nuovo idolo dei giovani americani come lo fu, ventitré anmi fa, James Dean con Gioventù bruciata.
(Ugo Casiraghi, “L'Unità”, 26 marzo 1978)




In La febbre del sabato sera il comportamento e la posizione di Manero sono effettivamente femminilizzati in modo sistematico. La femminilizzazione di Tony è prodotta su almeno tre piani: il comportamento del protagonista in senso stretto; il comportamento degli altri personaggi (soprattutto femminili) nei suoi confronti; lo sguardo della macchina da presa sul suo corpo e i suoi movimenti.
Più nel dettaglio, sul primo livello: Tony tiene una serie di comportamenti che, nella percezione comune degli anni Settanta, potevano apparire più femminili che maschili. È attratto dalla moda come una donna, si trucca e cura i capelli come una donna, porta i tacchi come una donna, si fa corteggiare come una donna. Anche lo stile di ballo di Travolta, il modo di muovere i fianchi, l’immagine stessa sulla locandina del film (in cui il corpo del performer è immortalato in abito bianco con un braccio alzato) sono tutti elementi investiti di una femminilizzazione evidente.
Sul secondo livello, in La febbre del sabato sera sono le donne che prendono l’iniziativa nel campo della seduzione, che toccano il fondoschiena del protagonista mentre lui le sta accompagnando in pista o che inseguono i loro beniamini sfuggenti con le mani piene di preservativi (per poi essere rifiutate). Per non parlare del fatto che nell’unico momento di violenza urbana della gang, Tony si trova coinvolto in un pestaggio dove è il solo che viene letteralmente preso a cazzotti in faccia e abbattuto … da un’altra donna.
Sul terzo livello, la macchina da presa ovviamente collabora alla costruzione del corpo del performer come spettacolo erotico, una questione intorno alla quale la letteratura su La febbre del sabato sera è abbastanza ampia. Per Jeff Yank, già la prima sequenza in cui troviamo Travolta camminare per Brooklyn sulle note di Staying Alive propone un interscambio tra l’uso del corpo maschile come spettacolo erotico e gli specifici meccanismi filmici che producono una grande fluidità tra stereotipi di gender di solito orientati all’“oggettificazione” delle figure femminili e una mascolinità attiva. Secondo Jesse Zigelstein, il film sottopone il corpo di Travolta a una “oggettificazione femminizzante”. Non solo Travolta si trova esibito per lo sguardo dello spettatore in una posizione riservata di solito al corpo femminile, ma l’esibizione ha connotazioni specifiche a loro volta rinforzate nei materiali di stampa o sulle copertine dei settimanali dell’epoca: una pubblicistica che punta a proporre l’immagine del performer nei panni di una pin-up maschile semi nuda ma anche rispondente al cliché del “macho vulnerabile”. Nella presentazione filmica di Travolta/Manero dunque troviamo elementi di narcisismo, feticizzazione del corpo, pin-up passivity, ma anche magrezza, insicurezza, appeal androgino. Insomma: oscillazioni di gender legate a una sessualità enigmatica e fluida. Un soft body che sarà marginalizzato dagli hard bodies dei vari Stallone e Schwarzenegger negli anni Ottanta reaganiani (corpi forse nati proprio come risposta alle ambiguità di corpi come quello di Travolta).
(Claudio Bisoni, “Cinergie. Il cinema e le altre arti”, n. 9, aprile 2016)



John Travolta non era una grande star all'epoca. Gli adulti lo conoscevano solo come un grosso adolescente goffo nella serie televisiva Welcome Back, Kotter (I ragazzi del sabato sera). Quando vidi Travolta ballare, non ci volle molto a capire che era una grande star ancora da scoprire. Barry Diller e Michael Eisner, all'epoca rispettivamente amministratore delegato e presidente della Paramount, pensavano che le mie previsioni entusiastiche sulla futura carriera di Travolta fossero semplicemente esagerate. Solo quando videro le incredibili cifre degli incassi al botteghino che affluivano, settimana dopo settimana, compresero la reale portata della sua celebrità.
(John Badham, con Craig Modderno, Cosa fare se un attore non fa quello che il regista gli chiede di fare?, Dino Audino editore, Roma 2006)



That's Amore! L'italoamericano Tony Manero

Tony Manero è il bellimbusto locale, commesso in un negozio di vernici di giorno, ballerino e seduttore di sera, sotto le luci psichedeliche del club disco 2001 Odissey. La camminata iniziale di Travolta per le strade di Brooldyn ce lo mostra arrogante, naturalmente sensuale e culturalmente macho, animato da appetiti di vario genere – dalla pizza, mangiata due fette per volta, alle ragazze, soppesate come carne da macello. La scena successiva, nel negozio di vernici, ci rivela che Tony è un buon lavoratore (ma usa il suo charme per tirare sul prezzo coi clienti), ha ambizioni di carriera (anche se il suo obiettivo più immediato è quello di comprarsi una camicia di poliestere da indossare il sabato sera) ed è, sotto sotto, un ingenuo […]. A casa Tony è considerato una nullità, il che stupisce perché la sua famiglia viene rappresentata come il minimo della vita: il padre Frank, ex muratore, è disoccupato; la madre (Julie Bovasso), religiosa fino al parossismo, vive nell’adorazione del figlio prete, Frank Junior, di cui tiene un’immaginetta sul camino. Il ritratto della famiglia italo-americana blue collar è a dir poco impietoso: tutti ignoranti, maneschi, volgari e sciovinisti (la sorella minore di Tony, unica figlia, è trattata come un paria). […]
Ancora una volta, la famiglia italo-americana è rappresentata sul grande schermo (da non-italiani) come un inferno da cui è più che comprensibile voler fuggire. Un critico americano ha addirittura osservato che l’enorme tovagliolo con cui Tony si drappeggia funziona da “profilattico contro il proprio pasto etnico”. Pertanto il pubblico, specie quello anglosassone, non può che fare il tifo per Tony quando lui cerca di tirarsi fuori dalla sua alienante routine tramite il rito del sabato sera.
La vestizione di Tony, prima di recarsi in discoteca, ricorda altre scene analoghe nel passato cinematografico italo-americano, a cominciare da quella che vede protagonista Rico Bandello in Piccolo Cesare: come Rico si travestiva da gangster, Tony si traveste da disco king, accentuando tutte le caratteristiche 'italiane' che fanno di lui un simbolo della seduzione. Innanzitutto i capelli, folti e neri, pettinati con cura maniacale, poi le collane d’oro con i santini e il cornetto scacciaguai, gli abiti aderenti (ricordiamo che La febbre del sabato sera ha lanciato negli Stati Uniti la moda dei pantaloni attillati di poliestere e delle camicie di viscosa col collettone a punta) e le scarpe zeppate.
Alle spalle di Tony fanno bella mostra di sé gli idoli dell’italo-americano anni Settanta: la dea wasp Farraw Fawcett e i 'paesani' Al Pacino in Serpico e Sylvester Stallone in Rocky (che era uscito nei cinema solo l’anno prima de La febbre del sabato sera).
Tony si unisce a un gruppo di vitelloni di quartiere (anche loro perfettamente aderenti allo stereotipo della gang di giovinastri italo-americani da I bassifondi di San Francisco in poi) che bevono, fumano, gridano, sono disoccupati, razzisti e omofobici. Le donne che li circondano sono paradossi di masochismo, specialmente nei confronti di Tony: una gli asciuga il sudore dalla fronte con aria adorante, un’altra lo implora di farla ballare, una terza lo 'sfida' a portarsela a letto. In piena rivoluzione sessuale, le italo-americane sono ancora raffigurate come acriticamente succubi degli uomini. […]
Tony e i suoi amici sono figli di quella seconda generazione di italo-americani che non è riuscita a inserirsi nella mainstream, ma è rimasta ai margini, con tutta la frustrazione che può dare un sogno (americano) irrealizzato. Di qui lo scarso senso di autostima che i genitori tramandano ai figli, irrimediabilmente blue collar, isolati nella propria diversità persino dagli altri italo-americani, quelli integrati, quelli che stanno al di là del ponte.
Ad esempio Stephanie Mangano (Karen Lynn Gorney), la ragazza di cui Tony si innamora, che è riuscita a tirarsi fuori dal 'ghetto' per diventare segretaria in una agenzia teatrale di Manhattan. […] Tony ha intenzione di vivere, non solo di sopravvivere, e intuisce che il primo passo per riuscirci è quello di attraversare il ponte insieme a Stephanie (come Marty prima di lui, o come Rocky Papasano). Ancora una volta è la donna italo americana (come Angie in Strano incontro, come Teresa in Mean Streets) la prima a lasciare il quartiere, ma Tony è abbastanza proiettato verso il futuro (americano) da abbandonare il proprio orgoglio di maschio latino e seguirla a ruota.
(Paola Casella, Hollywood Italian, Baldini & Castoldi, Milano 1998)