Dance musical

Dance musical

Nei tardi anni settanta il Musical coglie di sorpresa anche i suoi più ferventi estimatori con un forte revival. Oltre alle irriverenti parodie delle convenzioni del mondo dello spettacolo – Nashville (Robert Altman, 1975) e All That Jazz (Bob Fosse, 1979) – e le rievocazioni di storie del passato – New York, New York (Martin Scorsese, 1977), Il boxeur e la ballerina (Donen, 1978), Pennies from Heaven (Herbert Ross, 1981) –, alcuni film mostrano una rinnovata capacità di coniugare musica contemporanea e strutture tradizionali del genere musicale – La febbre del sabato sera (John Badham, 1977), Grease (Randal Kleiser, 1978), Hair (Miloš Forman, 1979), Una coppia perfetta (Robert Altman, 1979), Can’t Stop the Music (Nancy Walker, 1980), Saranno famosi (Alan Parker, 1980), The Blues Brothers (John Landis, 1980), Il cantante di jazz (Richard Fleischer, 1980), Flashdance (Adrian Lyne, 1983), Dirty Dancing (Emile Ardolino, 1987).

(Rick Altman, Il Musical, in Il cinema americano, a cura di Gian Piero Brunetta, Einaudi, Torino 2006)




John Badham, al suo secondo lungometraggio dopo una ricca gavetta televisiva, imprime sul film una regia scattante, a partire dalla prima sequenza: Travolta, a passeggio per le strade di Brooklyn, viene seguito con la macchina da presa a mano, posta ora frontalmente, ora di spalle, poi da sotto o dall'alto. Lo stesso principio stilistico è riproposto nelle scene di ballo, dove Tony e Stephanie vengono accompagnati a passo ravvicinato da una cinepresa mobile, che danza insieme a loro. I momenti salienti del film sono esaltati dalle canzoni dei Bee Gees: pura disco-music anni Settanta, che riveste un'importanza fondamentale, lontana dalla semplice funzione di 'tappezzeria musicale'. Nel suo genere, Saturday Night Fever non conosce precedenti: è il primo film totalmente dedicato alla disco-dance.

(Federica De Paolis, Enciclopedia del cinema, Treccani, 2004)




Ci sono almeno tre tipologie di messa in scena del corpo danzante di Manero e degli altri ballerini. In primo luogo troviamo i momenti in cui i ballerini si muovono in pista senza una coreografia di gruppo che stabilisca una serie di movimenti coordinati tra i diversi corpi in scena. In questi casi la macchina da presa viene spesso spostata a mano, ad altezza uomo, in mezzo alle coppie che ballano liberamente. […] In secondo luogo abbiamo i momenti in cui Tony è in pista a centro scena. In certi casi è la macchina da presa che stabilisce una gerarchia tra il suo movimento (in primo piano) e quello delle altre coppie danzanti. In altri, il protagonista è solo sulla pista da ballo, che diventa il suo palcoscenico, mentre intorno i presenti lo osservano danzare. In terzo luogo troviamo le coreografie di gruppo. In questi casi si crea un effetto di sincronizzazione collettiva tra gesto e ballo che suggerisce un’idea di disciplina e armonia nella costruzione del numero musicale (si intravedono anche varianti dell’hustle). […]
È importante insistere sul fatto che i tre diversi design del dance floor sono co-presenti in La febbre del sabato sera. Il film quindi propone modelli diversi di organizzazione dell’esperienza del ballo. Questa esperienza può prendere forma sia come momento di sensualità /disordine collettivo sia come disciplina del sincronismo di gruppo sia, infine, in passaggi secondari e residuali, come qualcosa che richiama una funzione della canzone/numero di ballo nel musical classico: cioè come occasione di gioia dei sensi, di superamento degli attriti comunicativi quotidiani (per esempio, quando Tony e Stephanie ballano felici in circolo, sono attratti in una vertigine che cancella tutte le difficoltà del loro rapporto su cui la narrazione si è altrove soffermata).

(Claudio Bisoni, “Cinergie. Il cinema e le altre arti”, n. 9, aprile 2016)




Il primo anno della presidenza di Jimmy Carter fu straordinario per Hollywood. Star Wars uscì a maggio e Incontri ravvicinati del terzo tipo a novembre, seguito qualche settimana dopo da La febbre del sabato sera. Star Wars e Incontri ravvicinati del terzo tipo guardavano con entusiasmo allo spazio; La febbre del sabato sera, ambientano e in larga parte girato a Bay Ridge, Brooklyn, stava tenacemente coi piedi per terra. Ma anch'esso offriva una visione dello spazio profondo, sulla pista illuminata della 2001 Odyssey, dove un diciannovenne impiegato di un negozio di ferramenta, Tony Manero (John Travolta), si metteva in mostra.
Star Wars
e Incontri ravvicinati del terzo tipo dipendevano ampiamente dagli effetti speciali. La magia di La febbre del sabato sera deriva quasi interamente dalla sinergia tra Travolta (che all'epoca era il liceale più richiesto in televisione, grazie alla sitcom I ragazzi del sabato sera, anch'essa ambientata a Brooklyn) e i Bee Gees, un gruppo pop fuori moda riconvertito alla disco music. […]
La febbre del sabato sera
uscì in settecento cinema con una campagna pubblicitaria martellante coadiuvata in maniera decisiva dalla pubblicazione del doppio LP della colonna sonora che resterà in classifica per mesi. L'accoglienza iniziale fu varia. “Variety” definì il film “niente più che una versione aggiornata agli anni Settanta dei film rock a basso costo anni Cinquanta di Sam Katzman”. Altri critici notarono la ripresa di elementi di Mean Streets, American Graffiti e Rocky.
La recensione più lungimirante fu quella di Pauline Kael sul “New Yorker”. Molto prima di MTV, Kael riconobbe nella Febbre del sabato sera una nuova specie di musical, notando che “il ritmo sostenuto della musica dance fa sì che il pubblico sia a tempo con i personaggi”. Il critico conservatore William F. Buckley scrisse invece sul “New York Post” che La febbre del sabato sera era “affascinante come la danza rituale di una società aborigena”.
La febbre del sabato sera
vacilla a causa delle sottotrame melodrammatiche, ma grazie alla colonna sonora pervasiva l'intero film sembra una coreografia. E quando Travolta sale sulla pista della 2001, eleva il film – terzo incasso del 1977 dopo Star Wars e Incontri ravvicinati del terzo tipo secondo “The Hollywood Reporter Book of Box Office Hits” – fino alla stratosfera.

(J. Hoberman, "The New York Times", 26 maggio 2017)