Il sorriso di Jeanne

Il sorriso di Jeanne

"Avevano mai incontrato quel sorriso?... Mai!... Che avrebbero fatto se un giorno l'avessero incontrato? L'avrebbero seguito"
(voce narrante)



Durante le riprese e il montaggio del film, mi capitava spesso di mettere da parte la sceneggiatura, riaprire il romanzo e annotare questa o quella splendida frase da salvare assolutamente, cioè da inserire nel commento. Per recitare il ruolo di Jules, avevo ingaggiato l'attore austriaco Oskar Werner: fu eccezionale. L'attore debuttante Henri Serre, alto, magro, dolce e onesto era Jim. L'avevo scelto perla sua somiglianza con Henri-Pierre Roché.
Tutte le volte che mi sentivo preso dal dubbio, Jeanne Moreau mi dava coraggio. Le qualità di attrice e di donna rendevano Kathe - diventata Katherine - reale sotto i nostri occhi, plausibile, folle, smodata, appassionata, ma soprattutto adorabile, cioè degna di adorazione. Nell'arco dei miei vent'anni di cinema, le riprese di Jules e Jim restano, grazie a Jeanne Moreau, un ricordo luminoso, il più luminoso.

François Truffaut




Perché per i personaggi di Jules e Jim ha scelto due attori sconosciuti?
Innanzi tutto a causa di quella tendenza che esiste in certi film di creare un confronto tra divi. Il pubblico non crede nella storia, va a vedere una sfida, va a vedere se Michèle Morgan è più forte di Bourvil. Per ciò che mi riguarda, credo che occorra circondare i divi di visi nuovi. Lo shock sarà più forte. Di fronte a Jeanne Moreau bisognava metter visi nuovi, in modo che il pubblico non andasse a vedere una gara di lotta ma un 'film'.
Oscar Werner lo conoscevo da Lola Montès e Henri Serre l'avevo visto in qualche particina. a teatro, non aveva mai fatto cinema. È veramente un film di personaggi, a tal punto che per l'équipe i due erano diventati Jules e Jim. Tutti avevano la sensazione di conoscerli un po' di più a ogni scena. I personaggi prendevano un rilievo, una vita incredibili, soprattutto quando lavoravamo in esterni. Il fatto di vivere insieme, soprattutto durante l'ultimo mese, è stato molto esaltante.

Non temeva che Jeanne Moreau offuscasse questi partner?
No. Il ruolo le andava a pennello. Tra le donne che hanno un nome nel cinema, lei era l'unica in grado di recitare un ruolo che richiedeva tanta autorità e umiltà allo stesso tempo. Essendo un tema delicato, spesso al limite del cattivo gusto, per far passare certe cose bisognava scegliere un'attrice molto intelligente. Se il film non è fallito, credo lo si debba molto a lei. Ci sono scene che, recitate da un'altra attrice, avrebbero fatto ridere. In effetti ci sono cose che debbono essere dette con autorità per intimidire il pubblico. Davanti a un film in cui si parla di amore fisico, il pubblico diventa subito molto infantile, come un ragazzo nell'età ingrata; e bisogna tenerne conto! Si sa benissimo che una determinata battuta rischia di far ridere, perciò bisogna che quella seguente arrivi velocemente. Allo stesso modo, certe cose fanno ridere se i personaggi le dicono stando a letto. Se, per esempio, il commento diventa delicato, passo rapidamente a una ripresa in esterni, una carrellata sullo chalet fatta da un elicottero, affinché la bellezza del paesaggio soffochi in gola la risata della gente.

Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, a cura di Anne Gillain, Gremese, 1990




C'è qualcosa di eroico nel legame che Jeanne Moreau ha con il cinema. [...] Non c'è mai stato calcolo nelle sue scelte d'attrice, nemmeno negli anni in cui poteva guardare tutto dal piedistallo della diva. Jeanne Moreau si è piuttosto lasciata guidare dal desiderio, sapendo benissimo che il desiderio (al cinema e non solo) non si spegne quando si appanna la bellezza. Perciò a testa alta, magari in piccole parti, oggi affronta i primi piani come a vent'anni, mostrando il suo viso segnato dal tempo come un regalo. Nessuna immagine da preservare, nessun feticcio di se stessa; il presente e il futuro accettati per un patto di fedeltà, anche se non portano più gloria. Il momento magico fu Jules e Jim, che lei volle quanto il suo autore. Uscendo dal cinema, i ragazzi della mia età ricordo che cercavano un punto di identificazione con l'uno o l'altro dei protagonisti maschili. Chi voleva essere Jules e chi sceglieva Jim, perché non si era certi di quale fosse il prediletto di Catherine. Era Jim, con cui lei sceglie di morire? O Jules che conserverà per sempre le loro ceneri ? Qualche spettatore (io, per dire) tentava un'interpretazione irriverente. E se fosse stata lei a dividere con la morte due amici che non poteva separare neanche amandoli insieme? Se dei tre fosse lei la più crudelmente consapevole? È un atto d'amore o di sconfitta il 'suicidio a due', quando resta viva (e soffre) una terza persona? Domande senza risposta, o meglio con una possibilità infinita di risposte e di altre domande: questa è la libertà che Truffaut ci permette, la trasparenza delle sue storie, il coinvolgimento non a senso unico che ci provoca il suo modo di raccontarle.

Gianni Amelio, Il vizio del cinema, Einaudi, Torino 2004




Come critico, François Truffaut mi conosceva più di quanto io conoscessi lui, poiché aveva recensito alcuni film ai quali avevo partecipato. Era molto temuto, lo conoscevo di fama, e quando leggevo le sue recensioni avevo sempre paura di essere maltrattata. Al tempo stesso, però, mi piaceva leggere la sua opinione sui film nei quali avevo recitato. Noi giovani attrici lo trovavamo molto eccitante, per la sua personalità folgorante, perché prendeva a calci le convenzioni e denunciava tutte le stramberie che noi vivevamo nei teatri di posa. Ci incontrammo in un corridoio del Palazzo del Festival, a Cannes. Era il 1957. Io ero con Louis Malle, avevamo appena finito di girare Ascensore per il patibolo. Il nostro rapporto risale ad allora. Mi diede da leggere Jules e Jim, il libro, e cominciammo a incontrarci regolarmente. François era poco loquace, ma questo non impedì che nascesse ben presto tra noi una profonda complicità. Di solito le persone, quando fanno conoscenza, si scambiano un gran numero di ricordi. Noi ci scambiavamo silenzi. Per fortuna c'era la corrispondenza: ci parlammo molto, per lettera. Poi feci un'apparizione nei 400 colpi. E François cominciò a lavorare a Jules e Jim. Ci pensava da molto tempo. Dovevamo incontrarci con Henri-Pierre Roché, al quale François aveva inviato una mia foto, ma Roché morì. Poi cominciò la lavorazione: una costante felicità. Sul set François era totalmente concentrato, come se si fosse rinchiuso su se stesso e sul film; si sentiva che soltanto il film contava, regnava una sorta di gravità, di profondità, e al tempo stesso c'erano continue risate, e un'apertura, una capacità di cogliere tutto quel che poteva accadere durante o a margine delle riprese e di servirsene, di inserirlo nel film. La famosa canzone di Jules e Jim, Le Tourbillon, era un motivo che io canticchiavo continuamente, apparteneva a periodi che avevamo vissuto, Jean-Louis Richard, Serge Rezvani e io, molto tempo prima che si parlasse del film. E François decise di inserirla. Fu l'unica volta in cui disponemmo di un tecnico del suono. E dovemmo attendere giorni e giorni, perché sui Vosgi pioveva in continuazione. Un giorno eravamo tutti molto tesi, c'erano continue crisi di pianto, François era stanco, decidemmo quindi di non girare, e lui mi parlò della scena in camera con Oskar Werner. Quando la girammo, fu parzialmente improvvisata. Come la scena del gioco con la bambina sulla terrazza, come la scena delle smorfie. In Jules e Jim c'era improvvisazione, che mancava invece nella Sposa in nero. In Jules e Jim ci furono movimenti di macchina provocati certamente da me, che ero diventata Catherine.

Jeanne Moreau, Il romanzo di François Truffaut, Ubulibri, 1986