Un'opera seriamente comica

Un'opera seriamente comica

Per me ha rappresentato una svolta fondamentale. Ebbi il coraggio di smettere... di fare soltanto il buffone e di rinunciare alla sicurezza del film di facile comicità. Mi dissi: “Credo che cercherò di fare un film più profondo e di non essere divertente come sono sempre stato finora. E forse emergeranno altri valori che interesseranno e arricchiranno il pubblico”. E il film riuscì molto bene.
(Woody Allen)


Allen drammatico? Certo, e con una finezza psicologica e un'intuizione del linguaggio cinematografico che […] gli hanno permesso di proporsi con uno stile in cui risa e sospiri, 'gags' e tensioni, carezze e graffi si fondono sempre e perfettamente; arrivando in più momenti a forme di cinema 'colto' in cui aleggia se non proprio lo spirito di Bergman (come ha detto invece quella critica americana che ha parlato di 'scene di una relazione' dopo 'scene da un matrimonio') certo l'influenza tecnica e visiva di parecchi suoi film citati intenzionalmente in molti luoghi, non ultimi quelli in cui i ricordi del protagonista bambino si inseriscono nel suo presente, avendolo sempre come spettatore adulto. Un'opera seria, perciò, e seriamente comica. In Italia forse non raccoglierà gli stessi entusiastici consensi con cui è stata salutata negli Stati Uniti perché, per apprezzarla, bisogna conoscere a fondo quell'umorismo 'hiddish' da psicanalisi messo di moda a suo tempo da Philip Roth con il suo 'Lamento di Portnoy' e quelle due mentalità diversissime da cui nascono tutte le divergenze della coppia Allen-Keaton, la californiana, razzistica e wasp di lei, la newyorchese, ebraica, vulnerabile e lacerata di lui. Ma anche senza questa mappa della vita USA il film non lascerà indifferenti. Chi vi cercherà occasioni per ridere, ne troverà (anche se non moltissime), chi vi cercherà spunti di meditazione su se stesso, sui propri casi, sui propri disagi quotidiani, ne troverà quanti ne vorrà. Stupito, questa volta, di avere a sua guida un attore che appena ieri era un comico. Ma fino a che punto Woody Allen, anche ieri, era solo attor comico?
(Gian Luigi Rondi)


A partire da quel momento il cambiamento non fu soltanto una questione di dosaggio, non si trattò di controllare la componente comica del suo cinema, ma di proporre una versione comica (nobilmente comica, certo) di una visione quotidiana del mondo. In pratica, Allen, a partire da Io e Annie, ha ribaltato le sue procedure: nella prima fase un cinema dichiaratamente comico lasciava intravedere – a chi lo volesse - un mondo di pensiero abissale, vertiginoso, comunque serissimo, ma sempre fortemente diluito nella dominante sostanza comica che lo caratterizzava; in seguito il regista ha ritratto un mondo problematico temperato dalla costante presenza e coscienza della commedia che alligna dietro a ogni dramma, a ogni interrogativo, a ogni contraddizione.
(Franco La Polla)


Un'altra forma di allenismo, più forte e duratura, scocca con Io e Annie. In molti individuano una svolta, a coincidere con il film premiato agli Oscar. Allen sembra rendere seria la propria comicità, meno ingenua e meno sciocca; abbandona la demenzialità e lo slapstick (nonostante la famosa scena dell'aragosta); crede fermamente nella propria intelligenza e filtra un certo intellettualismo non voluto ma sgomitante attraverso vicende sentimentali. È fatta: l'allenismo doc, quello che più di ogni altro farà strage di fan e che darà la stura a una poetica il cui stereotipo sarà il proprio valore imperituro, si fa largo non più a suon di battute e gag soltanto, ma con dinamiche da operetta morale. […] Con questo film Woody Allen diventa Woody Allen, senza più alcun scollamento tra privato e pubblico, tra messa in scena e realtà.
(Pier Maria Bocchi)



Una commedia politica

Io e Annie è una commedia sentimentale, ma, sullo sfondo, nascosti tra le pieghe della love story tra Annie e Alvy, si trovano puntuali riferimenti alla politica americana, dagli anni Quaranta (l'episodio di Chaplin che lascia gli Stati Uniti per l'accusa di attività anti-americane citato dal manager discografico interpretato da Paul Simon) sino agli anni Settanta (la battuta di Alvy su Kissinger subito dopo la rottura con Annie). Nel falshback sul suo primo matrimonio Alvy partecipa ad uno spettacolo per la raccolta di fondi per Adlai Stevenson, candidato democratico nelle elezioni presidenziali del 1952 e del 1956. Qui Alvy esordisce dicendo di non essere un comico politico, ma poi passa immediatamente alla satira politica: “Di natura politica ho avuto solo una relazione con una donna dell'amministrazione di Eisenhower... in breve... è stata un'ironia per me... perché io cercavo di fare a lei quello che Eisenhower sta facendo al paese”. Questa scena descrive perfettamente la natura del cinema di Woody Allen: nella sua opera la politica sembra non avervi alcun ruolo, ma in realtà le idee politiche del regista emergono sempre in maniera chiara. Io e Annie è quasi una piccola storia della sinistra americana. Alvy milita per Stevenson, esponente dell'intellighenzia progressista, battuto per due volte da Eisenhower, uno dei presidenti più odiati dagli intellettuali; resta così traumatizzato dalla morte di John Kennedy, che non riesce a fare l'amore con la moglie e preferisce studiare la dinamica dell'attentato di Dallas, propendendo ovviamente per la tesi del complotto; ha una collezione di spille anti-establishment: “Processate Eisenhower... processate Nixon... processate Lyndon Johnson... processate Ronald Reagan”; rimane allibito dal vedere nell'appartamento di Annie la “National Review”, una delle più note riviste conservatrici, che compariva già nel Dittatore dello stato libero di Bananas, in mezzo alle pubblicazioni pornografiche che il protagonista tenta goffamente di acquistare.

(Giaime Alonge)