Dal romanzo al film

Dal romanzo al film

E infine comprendemmo che le ragazze erano proprio donne camuffate,
che capivano l’amore e anche la morte.
Jeffrey Eugenides


La storia è affidata alla narrazione collettiva di un gruppo di maschi sulla trentina che ripercorrono gli eventi della loro adolescenza. C'erano una volta le cinque belle ragazze Lisbon che si sono tolte la vita, segnando indelebilmente la memoria dei ragazzi che le hanno conosciute. Il romanzo è un giallo senza conclusione. I ragazzi – poi diventati uomini – cercano di capire perché le ragazze si sono tolte la vita. Interrogano persone, raccolgono prove e passano al setaccio ricordi e testimonianze oculari; ma l'argomento centrale del libro è davvero questo – perché le ragazze l’hanno fatto? [...] Il romanzo non parla tanto delle vittime quanto dei sopravvissuti, di come ci si sente a essere lasciati indietro. Ed è qui che entra in gioco la memoria. Il libro è elegiaco non solo nel piangere la morte delle ragazze, ma anche nel passare del tempo, nella perdita di quella sconcertante, romantica ed estremamente illusoria condizione di struggimento nota come adolescenza. Gli americani della mia generazione tendono a rimanere adolescenti fino alla mezza età, ed è esattamente quello che fanno i miei narratori. Non riescono ad andare avanti.
Jeffrey Eugenides, dal pressbook originale del film


Il giardino delle vergini suicide è tratto dall’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides. Sofia lo legge e ne rimane profondamente colpita, tanto da decidere di imbastire subito una sceneggiatura per il cinema. Il perché va ricercato nella storia personale della ragazza: Le vergini suicide ruota intorno alla morte tragica di cinque sorelle, che nel racconto rivivono attraverso il ricordo di chi le ha conosciute. Una situazione per alcuni versi simile a quella vissuta da Sofia quando nel 1986 scompare, a soli ventidue anni, suo fratello Giancarlo. Impegnato nella lavorazione del film del padre Giardini di pietra, il giovane approfitta di una giornata libera per imbarcarsi su un potente motoscafo che lo porta al largo. Ma lo scontro fatale con un altro natante lo uccide sul colpo, facendo ricadere sulla famiglia Coppola un dolore fortissimo e inaspettato. […] Sofia dunque scrive velocemente la sceneggiatura. Troppo velocemente: non sa che i diritti per la trasposizione cinematografica del film sono stati acquistati in precedenza dall’americana Muse Productions, che ha già pronta una sua sceneggiatura. Destino però vuole che lo script realizzato per la Muse non soddisfi gli executive della società: troppo violento e sessualmente allusivo. Avuto tra le mani l’adattamento di Sofia, la decisione di utilizzarlo e ingaggiare la ragazza come regista è praticamente unanime.
Maria Francesca Genovese, Sofia Coppola. Un’icona di stile, Le Mani, Genova 2017


Se potessi scrivere un libro, questo è quello che vorrei scrivere. Mi è piaciuto molto il modo in cui Jeffrey ha raccontato il confronto tra età adulta e giovinezza. Il modo in cui è riuscito a essere divertente nei momenti tragici, e le cose inappropriate che accadono, come il ragazzino che lascia la casa dei Lisbon dopo che Cecilia è morta ringraziando i genitori per la festa. Cose che succedono davvero. È così ben scritto, e l’amore ossessivo è sempre piacevole da leggere. Ho molto amato anche il modo in cui parla di qualcosa che non c'è più, che sia un'epoca, una persona o l'innocenza. Mi è sembrato che capisse quella sensazione che tutti conoscono. […] Mentre leggevo ho percepito che era molto cinematografico – così ho cominciato a scrivere come pensavo dovesse essere realizzato. Ho iniziato come se fosse un esercizio sull’adattamento di un libro in una sceneggiatura. Non programmavo di scriverlo interamente, ma una volta iniziato sono andata avanti. E lo facevo nel mio tempo libero e nei weekend perché non lo consideravo lavoro, così non avevo pressioni, perché nessuno doveva vederlo.
Sofia Coppola, dal pressbook originale del film


“Con un libro come questo, nessuno dovrebbe davvero interpretare i personaggi”, rifletteva una volta Eugenides quando gli veniva chiesto dell’adattamento, “perché le ragazze sono viste a una tale distanza. Sono create dall'intenzione dell'osservatore e ci sono così tanti punti di vista che in realtà non esistono come entità materiali. Ho provato a pensare alle ragazze come a un'entità in grado di mutare forma con molte teste diverse. Come un'Idra, ma non mostruosa. Una bella Idra”. [...]
Coppola ha detto che, per lei, Il giardino delle vergini suicide riguarda “quanto profondamente le persone possano influenzarti, e quanto piccole immagini possano acquisire la massima importanza e non andarsene mai". Limitando alla voce fuori campo (di Giovanni Ribisi) la narrazione ricca, stravagante e piena di parole del romanzo, l'autrice riempie il film d'immagini, di sguardi impressionistici e non narrativi sul mondo delle sorelle così com'è. In tal modo, mette a nudo il tragico abisso tra le affermazioni del narratore sulle sorelle (cosa rappresentano, quale potrebbe essere la loro ‘diagnosi’) e l'effettiva esperienza personale delle ragazze. E, se la maggior parte del film consiste nel seguire lo sguardo dei ragazzi, Coppola è anche determinata a mostrarci ciò che non possono vedere, ciò che fraintendono, ciò che semplicemente si perdono. Nelle inquadrature finali, che seguono l’ultimo disperato tentativo delle ragazze di sfuggire alla prigionia imposta dai loro genitori, il divario tra ciò che sentiamo e ciò che abbiamo visto sembra immenso, invalicabile. […] Dal momento in cui vengono presentate, Coppola ci assicura che le sue sorelle Lisbon non sono l'“Idra” di Eugenides, ma cinque distinte giovani donne. Una dopo l'altra, la macchina da presa si ferma sulle ragazze mentre escono dall'auto di famiglia. Mentre ci concentriamo su di loro, i loro nomi lampeggiano sullo schermo: dalle lettere rotonde di Bonnie a quelle piene di graffiti di Mary, dalle stelle sopra le ‘i’ di Cecilia alla barra sotto il nome di Therese e al fulmine heavy-metal sotto quello di Lux. Coppola ci chiede di guardare la specificità di ciascuna sorella oltre il velo della narrazione maschile.

Megan Abbott, The Virgin Suicides: “They Hadn’t Heard Us Calling", www.criterion.com