Un film surrealista, eretico, entomologico

Un film surrealista, eretico, entomologico

Fu il surrealismo a rivelarmi che nella vita c’è un senso morale che l'uomo non può esimersi dal considerare. Per mezzo suo ho scoperto per la prima volta che l’uomo non era libero. Io credevo nella libertà totale dell’uomo ma con il surrealismo ho conosciuto una disciplina da seguire. Questa è stata una grande lezione nella mia vita e anche un gran passo meraviglioso e poetico.
Luis Buñuel


Ma è soprattutto Francisco il trionfo barocco della contraddizione: moralista e feticista, santo e assassino, visionario e lucidissimo, folle e geniale. Buñuel stesso osservava che “il paranoico è come il poeta” e Francisco Galván, capace di gesti imprevedibili, di quei raptus che afferrano i personaggi buñueliani fin dal suo primo film, è un poeta surrealista che si esprime con azioni e performance che sono pura creatività. Quasi sempre esse vengono frustrate nel loro svolgimento effettivo e questo fa di lui (come sarà poi per l’Archibaldo de la Cruz di Estasi di un delitto) un uomo rispettabile e non un assassino. Ma a buttare giù la moglie dal campanile ci prova davvero, anche se poi afferma di aver solo scherzato, e l’ago da materassaio, le forbici, il filo, l’alcol e il cotone li prepara, per cucirle il sesso. Non ci riuscirà, ma la combinazione surrealista di oggetti incongrui l’ha realizzata. Un atto mancato può essere ugualmente crudele e agghiacciante: è la famosa scena in cui, pensando che il suo presunto rivale stia osservandoli dal buco della serratura della stanza attigua, Francisco infila rapidamente un ferro da calza nella toppa: di là non c’è nessuno, ma il brivido che si prova non è meno terrificante. Nel libro egli si limitava ad abbattere banalmente la porta: davvero non c’è paragone, solo nel film lui è un artista.
Alberto Farassino, Tutto il cinema di Luis Buñuel, Baldini&Castoldi, Milano 2000


Él è un film/cerniera nella poetica ereticale buñueliana... l’attacco dello spagnolo alla liturgia della menzogna cattolica e della delinquenza borghese è preciso... Dio/Patria/Famiglia/Esercito/Lavoro... sono le stigmate della dipendenza, della sottomissione... i pastori di anime sono anche i coltivatori dell’immaginario assoggettato... all’occorrenza, borghesi e preti divengono gli assassini santificati di ogni lotta di liberazione. […] Él si riversa la “rappresentazione grottesca dell’esistenza” (Gianni Rondolino) che Buñuel fa ruotare attorno ai temi che più saccheggia... l’amore, la morte, l’erotismo, la blasfemia, la violenza, l’anarchia… […]
Il sarcasmo di Buñuel è velenoso... infrange qualunque ipocrisia e il contraltare tendenzioso di Él trabocca nel ludico, nella festa panica, solleticando gli appetiti libertini di de Sade e le fiammate della sua filosofia danno a quel pagliaccio di Dio quello che è di Dio: uno sputo in faccia alla sua fede. […]
Él non è solo la descrizione perfetta di un caso di impotenza sessuale o un film sull’esasperazione dell’amore e della gelosia... Buñuel fa saltare il cerimoniale ecclesiastico e la mascheratura borghese irridendo, delegittimando i valori sacralizzati del rito gerarchico... l’invito a superare ciò che imputridisce è limpido... senza falsi termini Buñuel si pone – “contra-chrìstanos" – del pattume clerico/borghese e resuscita lo spettro libertario della rivoluzione sociale. […]
Ogni frammento di Él figura la de/sacralizzazione della teologia cristiana... i rituali e i feticci della Chiesa sono analizzati in dettagli scenografici precisi... richiami narrativi/metaforici che procedono su diversi piani di lettura. La Chiesa è lo schermo/luogo di una psicopatia diffusa, dove il decadimento della borghesia è evangelizzato nel cammino comune (criminale) di secolarizzazione all’obbedienza, al culto della fede e della merce.
Pino Bertelli, Luis Buñuel. Il fascino discreto dell’anarchia, Biblioteca Franco Serantini Edizioni, Pisa 1996


Él era per Buñuel un saggio più entomologico che psichiatrico, quale invece voleva essere il romanzo di Mercedes Pinto che, non sorprendentemente, lo aveva interessato. Egli parlava sì, con un certo compiacimento, di “uno studio scientifico di psicopatologia”, “con molte osservazioni prese dalla realtà”, ma aggiungeva: “Il protagonista di Él mi interessa come uno scarabeo o un’anofele”. Certo Francisco è meno un carattere realistico che una caricatura, quasi un burattino che l’espressività non raffinata di Arturo de Córdova rende ancor più rigido e allucinato. Il confronto con il ‘lui’ del libro, e soprattutto con il suo profluvio di emotività in chiave vittimista-femminista, fa capire ancor più l’operazione di oggettivizzazione o di ‘insettizzazione’ operata da Buñuel sul suo personaggio. Diventato non un tiranno che fa piangere come nel romanzo ma al contrario una marionetta di cui si ride, come facevano gli spettatori messicani. E il film stesso non si nega le occasioni di risata: quando alla fine Francisco cerca di aggredire l’amico prete e quattro uomini lo trattengono, c’è anche il comico controcampo del sacerdote bloccato da un gruppo di donne perché non risponda per le rime.
Ma questo non impedisce a Francisco Galván di essere il primo grande eroe buñueliano che i precedenti don Guadalupe e don Carlos solo vagamente prefiguravano. Un personaggio davvero collocato sotto un vetrino da microscopio, anche se questo ha qualche lente deformante, inquadrato e messo a fuoco perfettamente anche nella sua identità sociale. Di antica famiglia di possidenti in declino, di un conservatorismo che è disprezzo per la gente comune, guardata dall’alto in basso nella sua miseria come egli fa dall’alto della cattedrale. La sua ossessione di possesso esclusivo della moglie nasce certamente da quello spossessamento originario che ha subito. L’idea fissa di recuperare i beni di famiglia con cause e avvocati (assente nel libro che anzi attribuiva al personaggio un solido buon senso degli affari) è la prima delle sue allucinazioni. Ma egli crede alla legge. Tiene stretti rapporti con la Chiesa, come Cavaliere dell’ordine secolare del Santo Sacramento, e soprattutto con i preti. Vive austeramente ma dà i ricevimenti mondani cui il rango lo obbliga, nella sua sontuosa dimora circondata da mura come un castello.
Alberto Farassino, Tutto il cinema di Luis Buñuel, Baldini&Castoldi, Milano 2000