I RACCONTI DI CANTERBURY

I RACCONTI DI CANTERBURY

(Italia-Francia/1972) di Pier Paolo Pasolini (111')

Soggetto: liberamente ispirato a The Canterbury Tales di Geoffrey ChaucerSceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Dante Ferretti. Interpreti: Interpreti e personaggi: Hugh Griffith (Sir January), Laura Betti (la donna di Bath), Ninetto Davoli (Perkin il buffone), Franco Citti (il diavolo), Alan Webb (il vecchio), Josephine Chaplin (May), Pier Paolo Pasolini (Geoffrey Chaucer), John Francis Lane (il monaco), J.P. Van Dyne (il cuoco). Produzione: Alberto Grimaldi per PEA. Durata: 111’

L'Inghilterra trecentesca ricreata da Pasolini ispirandosi a otto racconti di Geoffrey Chaucer, interpretato dallo stesso regista. “I rapporti sessuali mi sono fonte di ispirazione anche proprio di per se stessi, perché in essi vedo un fascino impareggiabile [...]. I critici, rimuovendo dai miei film il sesso, hanno rimosso il loro contenuto, e li hanno trovati dunque vuoti, non comprendendo che l'ideologia c'era, eccome, ed era proprio lì, nel cazzo enorme sullo schermo, sopra le loro teste che non volevano capire” (Pier Paolo Pasolini).

Ho scelto quei racconti che erano realistici – realistici, si intenda bene, non ‘naturalistici’ – in senso poetico più che in senso fantastico o mitico. Chaucer si colloca a cavallo fra due epoche. Ha qualcosa di medioevale, di gotico: la metafisica della morte. Ma spesso si ha l’impressione di leggere un autore come Shakespeare o Rabelais o Cervantes. È un realista, ma è anche un moralista e un pedante, e inoltre mostra straordinarie intuizioni. Ha ancora un piede nel Medioevo, ma non è uno del popolo, anche se raccoglie i suoi racconti dal patrimonio popolare. In sostanza, è già un borghese. Guarda già alla rivoluzione protestante e perfino alla rivoluzione liberale, nella misura in cui i due fenomeni si combineranno in Cromwell. Ma mentre il Boccaccio, che era pure borghese, aveva la coscienza tranquilla, con Chaucer si avverte già una sensazione sgradevole, una coscienza turbata e infelice. […]
Ho voluto che il costumista Danilo Donati si sbizzarrisse. La cifra complessiva destinata alla realizzazione degli abiti è stata di cento milioni: sono molti, ma l’ambientazione scenografica di questo film è importantissima perché serve da chiave per interpretare la realtà umana e sociale di quel tempo, ancora divisa nelle tre classi della cavalleria, del clero e del popolo comune, riunite in un gruppo di pellegrini, che nella mia intenzione deve esprimere perfettamente la nazione inglese in una precisa unità di cultura e razza. […]
Voglio divertirmi e divertire. Voglio far rivivere un mondo popolare che si sta perdendo completamente e voglio ridare agli spettatori, attraverso le mie colorite ricostruzioni storiche, il gusto dell’immagine. Implicitamente, poi, io credo che questi miei film finiscano con l’essere anche politici, proprio perché vanno controcorrente alla moda, sbagliata e ipocrita, dei film impegnati e politicamente qualunquisti.
(Pier Paolo Pasolini, 1972)

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