Una riscrittura degli stereotipi razziali

Una riscrittura degli stereotipi razziali

Il primo ostacolo emerse nelle fasi iniziali, quando la Columbia suggerì un attore bianco per la parte del protagonista, che avrebbe poi dovuto recitare in blackface [con il volto dipinto di nero] per il resto del film, sebbene il personaggio sia bianco solo per dieci minuti – una proposta che Van Peebles rifiutò senza mezzi termini. Alla fine riuscì a vincere questa battaglia e ingaggiò per il ruolo l’attore e comico nero Godfrey Cambridge, indicandogli di “recitare come un bianco”, esasperando i suoi movimenti, e in whiteface [con il volto dipinto di bianco]. Le scene iniziali di Watermelon Man dimostrano come Van Peebles sia riuscito a trasformare le tensioni tra la sua visione e quella della casa di produzione in una potente riflessione sui temi razziali. Quando il pubblico lo vede per la prima volta, Jeff Gerber si sta allenando con una bizzarra attrezzatura. Finiti gli esercizi, usa una lampada abbronzante. Le inquadrature di questa sua routine sono inframmezzate con immagini della sua vita di bianco piccolo-borghese: le cornici con le foto dei figli bianchi; un'inquadratura della moglie che indossa scarpe color carne e scalda nel tostapane fette di pane bianco – un'inquadratura successiva del pane abbrustolito preannuncia la trasformazione di Gerber. Questo ritratto iniziale dei rituali quotidiani del mattino illustra il processo che l'uomo deve compiere per raggiungere la 'bianchezza' perfetta, e svela come la mascolinità bianca sia una costruzione che deve essere accuratamente mantenuta. Quando siede per fare colazione in un quadretto da perfetta famiglia americana – moglie, due bambini, bicchieri di sano succo d'arancia – la sua 'bianchezza' esasperata conferisce un tono ironico alla scena. Nel film, man mano che Jeff Gerber abita il suo 'nuovo' corpo di colore, i suoi modi e il suo comportamento diventano visibilmente più naturali e contenuti.
Racquel J. Gates, “The Criterion Collection”, 28 settembre 2021


Watermelon Man diventa sempre più cupo man mano che avanza, spinto dalla musica sfrenata scritta da Van Peebles, che dimostra la sua personalità e sensibilità con la stessa forza della sua regia. "Questa non è l'America, vero?" ulula beffardo nella colonna sonora, mentre Cambridge sopporta un'umiliazione comica dopo l'altra. Il film risponde alla domanda, sostenendo in modo persuasivo che il razzismo e l'ingiustizia sono americani, allo stesso modo in cui lo sono tutti i valori più nobili del paese.
Nathan Rabin, “AV Club”, 18 ottobre 2004


La scelta cruciale di Van Peebles di utilizzare un attore nero truccato da bianco fa diventare il film una metacritica sulla natura della rappresentazione razziale, poiché il trucco che Cambridge indossa all'inizio del film agisce insieme all'interpretazione della sua identità razziale per lanciare una critica pungente all'identità bianca nell'America dei diritti civili. Se Watermelon Man fosse stato fatto seguendo le indicazioni iniziali della Columbia – con Jack Lemmon nel ruolo di un bianco che diventa nero e comprende i propri errori – fondamentalmente sarebbe stata una storia di redenzione bianca attraverso una temporanea incursione nella blackness. Ma l'interpretazione eccessiva di Cambridge, fatta di sorrisi esagerati, risate smodate, e movimenti esasperati, trasforma l'essere bianco in qualcosa di bizzarro e innaturale, e questo è di per sé un risultato di grande forza. Watermelon Man usa il whiteface per sovvertire la logica che prevede che i bianchi siano la norma, con l'effetto, per dirla con Richard Dyer, di “far diventare strani i bianchi", smascherando la struttura di potere che fa diventare il 'bianco' una norma priva di connotati razziali rendendola sinonimo dell'essere americani. [...]
Van Peebles ha ammesso che la sua strategia in Watermelon Man e in altri film è proprio quella di prendere gli stereotipi razziali e usarli per attaccare il sistema che li ha prodotti. Per dirla con le parole del regista: "Ecco come si fa. Prendi gli stereotipi e li usi per prendere a calci in culo gli stronzi".
Racquel J. Gates, “The Criterion Collection”, 28 settembre 2021


Van Peebles scelse Mantan Moreland per il ruolo di cameriere del diner frequentato da Gerber. Famoso per aver interpretato lo stereotipo del nero servile nei film degli anni Trenta e Quaranta, Moreland dovette in seguito lottare per trovare lavoro come attore, proprio perché associato a questi ruoli. Invece di lasciare che fosse dimenticato come un cimelio delle umilianti rappresentazioni hollywoodiane degli afroamericani, Van Peebles decise di "dare una chance a questo fratello". Inoltre, Van Peebles offrì a Moreland l'opportunità di ridicolizzare Hollywood come Hollywood aveva fatto con lui, attraverso quella che Gates chiama la "performance autoreferenziale" di Moreland. Il risultato è una specie di minstrel show [spettacoli in blackface che rappresentavano i neri in maniera stereotipata e offensiva] al contrario: è Cambridge in whiteface a fare battute razziste al gioviale cameriere interpretato da Moreland. Facendo riproporre a Moreland il personaggio per cui era noto, Van Peebles ha potuto creare una satira sulla complicità dell'industria cinematografica nella costruzione della discriminazione razziale americana semplicemente riproducendo nel presente i ruoli stereotipati del passato.
George Derk, “Screen”, Vol. LIX, autunno 2018