La storia del film: Melvin vs Columbia

La storia del film: Melvin vs Columbia

Ci sono voluti dieci anni per avere l’opportunità di fare le cose a modo loro,
e ciò che ho scoperto lavorando per la Columbia
è che il loro modo intralcia il mio.
Melvin Van Peebles



Interessata al prestigio politico dato dall’avere un regista di colore in un momento in cui le spinte in questa direzione si facevano pressanti, la Columbia firmò un contratto per tre film con Van Peebles, con Watermelon Man ad aprire le danze. Per la casa di produzione si trattava di una scommessa sicura su un regista ancora alle prime armi (almeno nel contesto hollywoodiano), che aveva appena ricevuto un premio e il plauso della critica al San Francisco Film Festival […].
La Columbia si era spesa moltissimo per corteggiare il giovane regista, ma le cose cambiarono una volta che Van Peebles firmò il contratto. Se di solito le riprese duravano sessanta giorni, la Columbia ne concesse a Van Peebles soltanto trentuno. Da queste prime restrizioni Van Peebles capì velocemente che lo studio intendeva giovarsi della pubblicità positiva che un regista di colore portava con sé […], ma che non era realmente intenzionata a fornirgli gli strumenti necessari per creare un film di successo. Lo studio, inoltre, non sembrava particolarmente interessato a cosa il pubblico di colore potesse pensare del film. Come Van Peebles raccontò nel 2013, un giorno i dirigenti della Columbia convocarono un’assistente amministrativa di colore, le mostrarono le riprese di quel giorno e le chiesero cosa ne pensasse del contenuto razziale e del tono del film, in un ‘focus group’ improvvisato composto da una sola persona. Senz’altro in soggezione, la donna si limitò semplicemente ad assecondare le affermazioni dei dirigenti. […]
Van Peebles intervenne in modi che lo studio giudicò probabilmente insignificanti all'epoca, ad esempio componendo lui stesso la colonna sonora. E riuscì a capovolgere le decisioni della stessa Columbia usandole contro di loro. Per esempio, le allusioni alla sitcom televisiva americana inizialmente non rientravano nel progetto di Van Peebles, ma erano piuttosto il risultato delle scelte di casting fatte dallo studio: lo scenografo, Malcolm C. Bert, e l'arredatore, John Burton, avevano una lunga esperienza nelle commedie televisive, mentre Scott Garrett ed Erin Moran, che interpretano i figli di Jeff nel film, erano entrambi attori televisivi. Van Peebles accolse questi riferimenti intertestuali e li ribaltò attraverso un uso ingegnoso della regia, del montaggio e del sonoro, offrendo una versione vistosamente distorta del sogno americano: i numerosi e bizzarri primi piani dei rituali mattutini dei Gerber e l’attenzione eccessiva per gli elementi della ‘tipica’ famiglia americana trasformano le scene iniziali in una parodia deliziosamente insolita della famiglia americana bianca e tradizionale. Per certi versi, questo aspetto di Watermelon Man anticipa il film horror di Jordan Peele del 2017, Scappa – Get Out. […]
Altre volte, anticipando obiezioni da parte della Columbia, Van Peebles decideva semplicemente di mentire o di omettere informazioni importanti, come fu per il finale del film, uno dei punti di maggiore contrasto tra il regista e lo studio. La sceneggiatura prevedeva inizialmente che il protagonista si risvegliasse alla fine del film e si rendesse conto che era stato tutto un sogno. Questo finale, si rese conto Van Peebles, avrebbe fatto sì che tutta l’esperienza di Jeff come uomo di colore venisse letta come un incubo, e si rifiutò di prenderla in considerazione. Pensò ad un’altra conclusione, in cui Jeff non solo rimane nero, ma si unisce anche a un gruppo rivoluzionario di colore. Stando ai racconti di Van Peebles, invece di aprire subito uno scontro sulla questione, il regista riferì alla Columbia che avrebbe girato entrambi i finali e che avrebbe poi lasciato allo studio l’ultima decisione, salvo poi aspettare che i set venissero smantellati e gli attori congedati prima di mostrare qualunque versione, e ammettendo, solo alla fine, di aver girato soltanto uno dei due finali. Si trattava di una manovra rischiosa, ma Van Peebles indovinò correttamente che lo studio non avrebbe voluto spendere altri soldi per ricomporre cast e set soltanto per girare il finale desiderato. “Ognuno ha il suo portafoglio d’Achille”, ha spiegato il regista.
Racquel J. Gates, “The Criterion Collection”, 28 settembre 2021