Realtà e/è allucinazione

Realtà e/è allucinazione

La mia visione di che cos’è la realtà è molto soggettiva.
David Cronenberg



Oltre che un film, Videodrome è una Weltanschauung, la straziante, complessa, malinconica e furente radiografia di un mondo che sembra condannato a vivere nella forma dell’allucinazione e in cui gli individui paiono poter essere programmabili come un apparecchio di videoregistrazione. Cronenberg vi mescola le suggestioni che gli arrivano da Burroughs (soprattutto quelle contenute nel breve scritto intitolato La rivoluzione elettronica) e da MacLuhan, riecheggia qualcosa delle posizioni di Guy Debord e del situazionismo e fonda il tutto sulla base del suo consolidato e pessimistico materialismo.
Gianni Canova, David Cronenberg, Il Castoro, Milano 1993


Con Videodrome, Cronenberg sperimenta qualcosa di nuovo che in seguito ha riformulato per Il pasto nudo: un film che scivola, senza preavviso, nelle allucinazioni del protagonista. In Videodrome, a differenza di quanto accade nella sua fusione con Burroughs, Cronenberg comunque quasi abbandona una trama complessa, avvincente e intrigante, dopo circa quaranta minuti dall’inizio, per un inesorabile punto di vista in prima persona che non ha soluzione di continuità. Quando Max comincia a perdere ogni senso della realtà, ossia la capacità di mantenere il controllo della sua situazione, anche il film volutamente si disintegra, insieme al suo turbato protagonista.
Chris Rodley, Il cinema secondo Cronenberg, Pratiche, Parma 1994


Cronenberg applica anche al linguaggio (al cinema) quei processi di contaminazione e confusione che mostra all’opera sul piano dei corpi. E fa di Videodrome, in tal modo, quasi il paradigma di uno stile che si fonda sempre, dall’inizio alla fine, sull’instabilità enunciativa.
Videodrome è, per ammissione dello stesso Cronenberg, un film ‘in prima persona’: cioè un film che rompe con l’abitudine dello spettatore di considerare la macchina da presa come un ‘narratore onnisciente’. In Cronenberg non è così. Di fronte a Videodrome non è possibile attribuire alle immagini un aprioristico statuto ontologico di verità. Perché la narrazione, basata sull’incessante cambiamento dei punti di vista, non consente mai a nessuno di stabilire con certezza se ciò che si vede è un’allucinazione, un sogno o una ‘realtà’. Cronenberg, insomma, rimette radicalmente in discussione la nozione di ‘realtà’ così come si manifesta sullo schermo del cinema. [...]
Perché Cronenberg non esplicita mai in che tipo di narrazione ci troviamo, né quale sia il punto di vista attraverso cui stiamo ‘vedendo’: è un incubo del personaggio? Sta facendo davvero ciò che lo vediamo fare o sta soltanto sognando di farlo? Agisce o sogna di agire? O siamo noi che ci illudiamo che agisca o che sogni di agire? Insistente, ubiqua e diffusa, questa instabilità della ‘focalizzazione narrativa’ finisce per essere il vero elemento perturbante di Videodrome e di tutto il cinema di Cronenberg. Non sappiamo mai chi sta narrando, perdiamo i confini tra sogno e realtà, viviamo in uno stato di continua ‘sospensione’ tra i nostri livelli di coscienza e quelli dei personaggi. [...]
Videodrome, insomma, come ha scritto acutamente Serge Grünberg, “insinua il dubbio davanti alla verità delle immagini, della narrazione, dei personaggi”. Spiazza e confonde. E in tal modo inquieta. Non perché mostra il possibile sviluppo degenerativo del nostro futuro di spettatori, ma perché ci fa ‘sentire’ già all’opera, qui e ora, durante la visione di Videodrome, quanto instabile sia il nostro rapporto fiduciario con le immagini, quanto già infetto sia il nostro sistema percettivo e quanto possano i media ‘programmarci’ a priori, facendo leva sulla nostra inevitabile complicità, per indurci a decodifiche aberranti ed eterodirette di ciò che vediamo sugli schermi e sui teleschermi della nostra vita. Videodrome è un film di un pessimismo radicale. Con il suo stile fluido e ‘classico’, col suo montaggio invisibile, con l’intreccio che sembra incatenare logicamente gli eventi, per poi far scontrare la logica della narrazione con il codice disorientante dell’allucinazione, immerge lo spettatore in un gelido universo da incubo, senza possibili soluzioni né vie d’uscita.
Gianni Canova, David Cronenberg, Il Castoro, Milano 1993


Prima di Cronenberg c’era la vecchia tradizione (il mito della ninfa Eco, William Wilson di Edgar Allan Poe, Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde ecc.) del doppio, del sosia, del ritratto ‘più vero del vero’; ma dove l’intervento di Cronenberg si rivela determinante è nel rinnovamento di questa tradizione: nel racconto o nella fiaba tradizionali, c’è sempre un protagonista che si confronta con la propria immagine, la quale, il più delle volte, finisce per vampirizzarlo. Tenendo conto della nostra realtà, Cronenberg, con grande abilità, instilla il dubbio ontologico circa lo statuto dell’immagine o della replica. Dunque, non si tratta più di una realtà tridimensionale e biologica (l’essere umano) di fronte a un semplice riflesso, ma di due posture bidimensionali e rigorosamente etologiche (in Videodrome i due protagonisti, O’Blivion e Max Renn, sono definiti fin da subito come mere apparenze, come creature televisive, a tal punto che si scoprirà che il professore esiste solo in forma di nastro magnetico!), perdute in un dedalo, esaurite dalle loro metamorfosi successive.
Serge Grünberg, in La bellezza interiore. Il cinema di David Cronenberg, a cura di Michele Canosa, Le Mani, Genova 1995


Cronenberg, per tutta la durata del film, assume il punto di vista malato di Max, realizzando un film in prima persona. Dunque, quando la realtà cambia, cambia anche la realtà del film, e con essa tutte le regole. È un ‘film-punto di vista’ e la realtà per il personaggio è quella del film. Il pubblico vede ciò che produce il cervello di Max; quindi, anche lo spettatore è sottoposto all’azione del virus, che lo priva della capacità di distinguere le dimensioni percettive. Vi è un progressivo cedimento del reale a beneficio di un ibrido, frutto della commistione con la fantasia [...]. Ogni immagine di Videodrome può essere messa in dubbio, poiché è la manifestazione visibile dell’attività del virus che infesta il cervello di colui che l’ha prodotta.
Cronenberg realizza dunque con Videodrome la piena compenetrazione tra due livelli differenti di realtà e, nello stesso tempo, tramite l’utilizzo del punto di vista, dà vita al totale collasso percettivo tanto nel cervello di Max quanto in quello dello spettatore. Quest’ultimo è impossibilitato a una lettura lineare del film, poiché il regista utilizza il medesimo registro visivo per entrambi i piani di realtà. Quando iniziano le allucinazioni del protagonista? Quali immagini sono allucinatorie e quali non lo sono? Queste domande non possono avere una risposta certa e nemmeno la pretendono.
Claudio Bartolini, VideoCronenberg, Bietti, Milano 2012