Una Londra vittoriana/lynchana

Prima avevo fatto solamente Eraserhead, e per me che da Missoula, Montana, mi ritrovavo a Londra per mettere in scena un dramma vittoriano con il meglio del meglio a mia disposizione era veramente durissima.
(David Lynch)

 

 

Anche a Londra ci sono tanti posti differenti, ed è per questo che mi piaceva. Captavo quel che c’era di inglese nell’aria, ma per il film traevo ispirazione e idee più dai libri su Londra che dalla città in sé, poiché dovunque andassi ero fuori dal ‘territorio’ di The Elephant Man. Poi un giorno mi trovai a passeggiare in un ospedale abbandonato e improvvisamente qualcosa di lieve, di impalpabile, penetrò dentro di me: non solo stavo vivendo quell’epoca, ma ne avevo consapevolezza. […]
E poi la Rivoluzione industriale. Hai presente delle immagini di esplosioni, grandi esplosioni? Mi hanno sempre ricordato i papillomi, le escrescenze sul corpo di John Merrick: somigliavano a delle lente esplosioni che partivano dalle ossa. Non so con sicurezza quale ne fosse la causa, ma le eruzioni coinvolgevano persino l’apparato osseo, gli stessi tessuti, affiorando attraverso la pelle e provocando quelle crescite tumorali che esplodevano lentamente. In questo senso l’idea delle ciminiere, della fuliggine, delle industrie che circondavano quel corpo e quella carne fu per me un altro motivo d’ispirazione.
Gli esseri umani sono come delle piccole fabbriche che generano una quantità di prodotti. Il concetto di qualcosa che cresce all’interno, tutti quei fluidi, quei ritmi e quelle mutazioni, e ancora quelle sostanze chimiche che in qualche modo catturano la vita, emergono, si dividono e si trasformano in qualcos’altro… È incredibile.
(David Lynch, Io vedo me stesso, a cura di Chris Rodley, Il Saggiatore, Milano 2016)

 

 

Il bianco e nero di Elephant Man non ha nulla di elegante, di 'camp' e di 'rétro': anzi aderisce all'idea del fumo, della sporcizia, della miseria. Una moltitudine di dettagli grandi e piccoli introdotti probabilmente da Lynch ci ricordano infatti, nel corso del film, quali erano all'epoca le fonti di energia, gli strumenti chirurgici, l'illuminazione, i sistemi di riscaldamento e quale atmosfera determinavano. Vediamo Treves che opera un operaio ustionato dalle macchine e incide la ferita con un ferro arroventato; in strade nebbiose uomini lavorano con pesanti macchine per martellare il suolo; la fiamma della lampada di una lanterna magica brucia durante la conferenza di Treves. E ancora l'illuminazione a gas delle sale dell'ospedale e la grande caldaia dell'edificio. Anche gli incubi di Merrick sono ossessionati da immagini di officine buie in cui gli uomini lavorano come schiavi...
Tuttavia la forza di queste immagini sullo schermo sta nell'assenza di toni veristi nella ricostruzione. Le fiamme e il fumo vivono nello sguardo di Lynch e quindi anche nel nostro.
(Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000)

 

 

Per me è stata una delizia lavorare in bianco e nero; ho una mia teoria balorda sulle storie ambientate nell'epoca vittoriana: siccome quella è stata davvero l'alba dell'era fotografica, credo fermamente che un pubblico che veda un film vittoriano con la fotografia in bianco e nero la accetti inconsciamente come l'atmosfera originale [...]. La Londra degli anni Quaranta dell'Ottocento era piuttosto tetra. Normalmente se si gira in modo neutro è molto difficile rendere il tutto tetro e trasandato come dovrebbe essere, ma secondo me guardando The Elephant Man si capisce che ci siamo riusciti. […] In pratica non c'è un trucco magico, mi limito a sistemare le luci sul set finché non ho l'illuminazione giusta. Pensando in particolare a The Elephant Man, cerco di visualizzare la scena. Se mi trovassi a Londra nel 1840 in quel periodo dell'anno, da dove verrebbe la luce? Probabilmente non ce ne sarebbe molta. Secondo: se ci fosse, la luce sarebbe mischiata con un sacco di fumo proveniente dai camini accesi e dalle schifezze che ci bruciano dentro, dunque metti insieme tutte queste cose finché l'atmosfera che crei sul set non è quella della Londra vittoriana del 1840.
(Freddie Francis, David Lynch. Perdersi è meraviglioso, Minimum fax 2012)

 

 

La macchina è una presenza cupa che punteggia l'intero film di Lynch, proponendosi come una figura molto più complessa di una semplice quinta scenografica che si aggiunge alle strade e ai pub affollati, agli animali e alle bancarelle, allo scopo di rievocare il mitico East End londinese. Dietro gli uomini, le loro amenità e le loro tragedie, si muovono senza sosta macchine mostruose e anonime che sfruttano il corpo della città e delle masse: una modernità spietata cui Lynch contrappone l'umanità di Merrick e di chi lo protegge. Il film è attraversato da un immaginario di vapori e fumi dai camini, cumuli di carbone, fiamme, suoni metallici. C'è un piccolo film nel film, onirico ('lynchiano', potremmo dire paradossalmente, in un'opera piuttosto classica): l'incubo di Merrick. L'inquadratura passa dal corpo ansante del protagonista al copricapo appeso alla parete, l'occhio della camera stringe ed 'entra' nella feritoia, esplorando un mondo buio, fatto di tubi e ingranaggi, dove i barriti degli elefanti e il volto urlante della madre si confondono con il rimbombo e gli sfiati dei pistoni. L'Uomo Elefante non vagheggia qui “strani uccelli” e “fiori selvatici”, come accade nello scritto di Treves, ma sogna lavoratori, simili ad automi, che muovono ritmicamente gli ingranaggi, ormai parti organiche – le braccia, le schiene lucide, i gomiti – della grande macchina.
(Gabriele Mina, Elephant man, l'eroe della diversità, Le Mani 2010)

 

  

Qualcuno si è infastidito per il modo in cui il film ritrae le classi popolari – pronte a irridere rozzamente la deformità dell'eroe, e a eccitarsi a guardarlo ecc. Tuttavia il film non le giudica. Le tratta come Dickens: la durezza e la grossolanità attribuite ad alcuni personaggi vanno lette in questa chiave. La gente che va a vedere l'uomo-elefante non è particolarmente malvagia, è come tutti gli altri, come noi. La sceneggiatura istituisce un parallelo costante fra la curiosità distinta e morbosa dei benpensanti e quella più diretta del popolo, mostrando come siano fatte della stessa pasta. In una scena molto bella, che mostra ancora una volta – attraverso l'interpretazione di Wendy Hiller – come il cinema inglese sia l'unico in Occidente a offrire un'immagine degna, sensata e non demagogica delle classi popolari e della gente semplice, la capo-infermiera protesta davanti a Treves, con tutto il suo buon senso e la sua compassione, contro il corteo perverso di gente perbene avida di sensazioni. Ma tutto lo scarso personale femminile dell'ospedale è ritratto con umanità e tenerezza.
(Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000)