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Keaton surrealista
Sherlock Jr. segna l'inizio di un acceso dibattito, che continua ancora oggi, sul carattere surrealista dei film di Buster Keaton, al quale hanno preso parte registi, filosofi e drammaturghi.
Nel 1924, anno di uscita del film, René Clair scrisse che per il "pubblico surrealista" Sherlock Jr. rappresentava un modello paragonabile a ciò che per il teatro aveva rappresentato Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello.
L'uso che Keaton faceva del sogno e dei raccordi - di cui andò sempre molto fiero - fu definito rivoluzionario da Antonin Artaud e Robert Aron, che nel suo saggio del 1929 intitolato Films de révolte sottolineò come il surrealismo di Keaton fosse "superiore" a quello di Man Ray e di Luis Buñuel, poiché Keaton era riuscito a conquistare la libertà espressiva rispettando le regole del cinema narrativo. Lo stesso Buñuel, che dagli inizi del 1930 programmò i film di Keaton al Cineclub Español di Madrid, ne ammirava in particolare l'assenza di sentimentalismo, la capacità di trasformare gli oggetti e l'uso del sogno.
Negli anni Sessanta, quando i suoi film tornarono in sala, il surrealismo di Keaton fu nuovamente oggetto di considerazione critica: se il regista greco Ado Kyrou definì Sherlock Jr. "uno dei sogni più belli della storia del cinema", il regista, critico e drammaturgo surrealista Robert Benayoun spinse ben oltre i parallelismi tra l'opera di Keaton e il surrealismo. In due articoli pubblicati nel 1966 su "Positif", Benayoun indica alcune questioni estetiche che accomunano Keaton all'opera di René Magritte e Salvador Dalí, ai film di Luis Buñuel e ai quadri e alle sculture di Marcel Duchamp, Giorgio de Chirico e Francis Picabia. Secondo Benayoun, Keaton condivide inconsciamente con questi artisti l'interesse per il 'meccanico' e l'imperturbabile equilibrio tra "serietà e comicità".
Ovviamente nelle interviste Keaton si diceva interessato "solo a far ridere", ma - come osserva Walter Kerr - questo non lo rende un teorico del cinema meno brillante, soprattutto in Sherlock Jr.: "nel suo vertiginoso film-dentro-un-film illustra i principi della continuità e del montaggio in maniera più vivida e precisa di quanto siano mai riusciti a fare i teorici del cinema. Ma l'analisi non sta nella testa di Keaton. Sta nel film, è al film che lavorava, e la teoria prendeva forma dal corpo, dalla macchina da presa, dalle dita, da un paio di forbici".
(Cecilia Cenciarelli)
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