Il cinema e la boxe: la costruzione di un epos

Il cinema e la boxe: la costruzione di un epos

Sin dai propri albori, il cinema, avendo intuito le enormi capacità narrative e attrattive del pugilato, si diede da fare per immortalare due uomini in calzoncini e guantoni nell’atto di prendersi a pugni a bordo di un ring. Due cosiddette arti, la settima e la nobile, molto spesso l’una a servizio dell’altra, per mostrare al pubblico non tanto la mera disciplina sportiva, quanto la storia di due uomini in chiave drammaturgica. E dunque non bisogna sorprendersi se il pugilato è da sempre lo sport più ‘raccontato’ sul grande schermo, tanto da creare una sorta di sotto-genere: il cinema di boxe.
Ciò accade, infatti, dal lontano 1894, quando Thomas Edison mise per la prima volta due pugili davanti a un primitivo dispositivo di ripresa. I due boxeur, Michael Leonard e Jack Cushing, che si affrontarono per sei riprese da un minuto (come la durata della bobina), incrociarono i guantoni su un ring ridimensionato per necessità artistiche, ovverosia per farlo entrare nel campo di ripresa. A quanto si sa, questa è la prima vera rappresentazione di un incontro di boxe. […]
Questo spettacolo […] se portato all’eccesso, porta con sé qualcosa di magico: lo scontro tra due uomini, la cui drammatica e magnetica incertezza può trasformarsi in tragedia. Il grande schermo amplifica all’eccesso questa sfida e, come sappiamo, nei film il match appare non a caso sempre più violento con il sangue che sgorga copiosamente dalle ferite e dal naso o con le smorfie di dolore dei pugili enfatizzate al massimo. È quanto accade per esempio nella serie dei film Rocky, dove la violenza assurda, iperbolica dei match, volendo essere altamente spettacolare, spesso rischia di risultare poco credibile. Accade sotto certi versi pure in Toro scatenato, con il sangue che giunge fino al pubblico fuori dal ring e con il rumore dei colpi accentuato. Riducendo drasticamente i cosiddetti tempi morti – cosa che accade di regola in tutti i film – si enfatizza il k.o. Il combattimento diventa molto spesso il climax del film, il momento cruciale, quello ‘della vita’, quello da cui tutto dipende. La chance di capovolgere un’intera carriera, un’intera vita. È questo dunque un significato simbolico, universale.

Francesco Gallo, Il cinema racconta la boxe: gli eroi del ring sul grande schermo, Ultra, Roma 2016


Quanto al documentario, emerse subito il valore simbolico del ‘faccia a faccia’ tra due avversari non solo decisi a superarsi, come in tutti gli altri sport, ma in cui la vittoria dell’uno non poteva non passare attraverso la demolizione (fisica) dell’altro. Ciò che gli appassionati non si stancavano di vedere e rivedere era lo spettacolo dell’annientamento d’un uomo da parte di un uomo, culminante nella fase del k.o., anche se il risultato dell’incontro era ormai ampiamente noto. Solo l’avvento della tv sarà in grado di sostituire, in un certo senso, l’avvenimento con la sua trasmissione in simultanea […], mostrandone in diretta tutte le fasi e la designazione del vincitore, ma a parte questo, senza che sia possibile sapere in anticipo se il match sarà interessante o deludente. Salvo casi speciali, insomma, la televisione ridurrà a routine lo spettacolo del pugilato, mentre il cinema era ancora in grado di rispettarne l’eccezionalità.

Alessandro Cappabianca, Boxare con l'ombra. Cinema e pugilato, Le Mani, Genova 2004