Réponse de femmes

Réponse de femmes

Soggetto e sceneggiatura: Agnès Varda. Fotografia: Jacques Reiss, Michel Thiriet. Montaggio: Marie Castro, Adrée Choty, Hélène Wolf. Suono: Bernard Bleicher. Produzione Sylvie Genevoix, Michel Onorin. Durata: 7’

Restaurato nel 2015 da Ciné-Tamaris presso i laboratori Éclair, con il sostegno del CNC



Agnès Varda sul film


Per la rivista “F. comme Femmes”, Sylvie Genevoix e Michel Honorin chiesero a me e ad altre registe di girare sette minuti su Qu’est-ce qu’être femme?, cosa significa essere donna? Ridussi il soggetto a Notre corps, notre sexe, il nostro corpo, il nostro sesso. In sette minuti bisognava fare presto e non andare per il sottile. Feci un ciné-tract. Scrissi un testo per dieci-undici donne diverse tra loro. Girammo in un monolocale molto illuminato e all’esterno, in un cantiere del quartiere, con un gruppo di uomini, passanti, muratori, impiegati, un sarto e Guy Cavagnac. Quando il film andò in onda, Antenne 2 ricevette lettere di protesta. Come si osava mostrare all’ora di cena, o poco dopo, una donna nuda, in piedi, vista di fronte, incinta, che si sbellica dalle risate? Era la moglie dell’operatore capo, Jacques Reiss, incintissima e radiosa, nuda e danzante. “Non è uno spettacolo adatto ai bambini”, scrivevano. Proposi allora di rispondere con una lettera tipo:
“Signora o Signore, Alla Sua lettera del...,la nostra risposta è: al contrario! Distinti saluti".

Agnès Varda, Varda par Agnès, 1994



La domanda “Cosa significa essere donna?” è stata posta a sociologhe, avvocatesse, storiche, ecc., ma anche a tre cineaste: a Coline Serreau, a Nina Companeez e a me. Bisognava rispondere in sette minuti. Io ho detto: si parla sempre della condizione femminile e del ruolo della donna, io voglio parlare del corpo della donna, del nostro corpo. Ho dunque chiesto di poter parlare del corpo e di mostrarlo a nostro modo per esibirlo. Trattative con la direzione, un primo piano del sesso sì ma... Alla fine i primi piani sono stati tagliati prima della messa in onda. Ma avevo ottenuto di poter ricomporre e completare il ciné-tract dopo la trasmissione e di distribuirlo nel circuito commerciale. [...] Non pongo in termini problematici il fatto di essere donna. È un fatto che, sebbene nel corso degli anni sia diventato un modo di riflettere, non sempre implica il possedere idee chiare o applicabili. È difficile trovare la propria identità femminile nella società, nella vita privata, nei rapporti con il proprio corpo. [...] Anche se di fatto femminista lo sono sempre stata (e tale mi sono sempre considerata per le mie scelte, le mie idee e soprattutto per i miei rifiuti), ho imparato molto su me stessa e sul femminismo grazie alle ‘donne del movimento’, le radicali americane, e poi le francesi dopo il maggio ’68

“Cinéma 75”, n. 204, dicembre 1975



Non si tratta di parlare della condizione femminile, ma di scoprire la donna dall’interno, quasi fisicamente. Come reagisce a quello che la società chiede al suo corpo, come è venduta, aggredita. Il mio simbolo è la foto di una donna per metà velata e per metà nuda. Perché l’idea del ciné-tract è nata da questa ambivalenza che ci viene imposta: due scelte contraddittorie e paradossali dell’Occidente. Da un lato ci viene detto: “Copriti, sii pudica, sii moralmente velata, non parlare del tuo sesso, non affermare i tuoi desideri fisici. Sii madre, padrona di casa, sposa perfetta”. E dall’altro lato si chiede alla stessa donna, a quell’altra metà: “Mostra le gambe per vendere collant, mostra le spalle per vendere profumi. Mostra il corpo per vendere auto”.
Intervista di Alya Bouhadiba