L'incipit e lo specchio (perturbante)

L'incipit e lo specchio (perturbante)

È sulla prima, vera, immagine diegetica del film che vorrei richiamare l'attenzione. Nella sequenza iniziale (che mostra i due protagonisti nell'idillio dell'ambiente familiare, pure solcato da squilibri e presagi) passa per lo più inosservata. L'interesse si concentra su altri aspetti: l'ambientazione Biedermeier, l'armonia originale della coppia. L'inquadratura ci mostra Hutter davanti a uno specchio, intento ad annodarsi il cravattino – allegro, radioso. Lo stato di felicità è ripreso e rilanciato dalle immagini successive, in cui lo vediamo osservare Ellen dalla finestra, cogliere per lei dei fiori in giardino, irrompere nella sua stanza per offrirle un bouquet improvvisato e accomiatarsi affettuosamente prima di recarsi al lavoro. Il personaggio sprigiona una contentezza esuberante, incontenibile quasi, che perfettamente si lega con la sua condizione cinetica e con la sua stessa raffigurazione fisionomica, espressione di vitalità, energia, vigoria. Anche quando corre a incontrare Ellen, e poi l'abbraccia e la bacia più volte, il suo trasporto è troppo vivace, impetuoso. È vero che la situazione s'inquadra nella cornice Biedermeier scelta dal film per l'ancoraggio storico della vicenda (deliberatamente retrodatata rispetto a quella del romanzo da cui prende spunto), come set figurativo, che accentua i tratti di – esteriore – armonia e serenità, e come milieu sociale (la sfera privata in quanto luogo di realizzazione di tali istanze). Murnau cerca una superficie quanto più ordinata e armoniosa proprio per poterla far funzionare come contraltare, o meglio sintomo, di uno stato di disordine e squilibrio tanto più profondi. Ma la caratterizzazione di Hutter sembra oltrepassare questo stesso programma.

L'eccesso finisce col produrre incertezza, per mettere in allarme lo spettatore. Hutter (il dispositivo fisionomico, ripeto, gioca un ruolo nevralgico) ci appare come un ragazzone non cresciuto, un adolescente immaturo. Sembra ancora al di qua della fase puberale, fermo a uno stadio pre-sessuale. E c'è palesemente qualcosa che manca in quella famiglia. Quando il protagonista porge il mazzo di fiori alla moglie, la reazione della donna (a prima vista, almeno: quanti spettatori ne sono rimasti colpiti) appare del tutto inaspettata. Ellen trasferisce ai fiori la natura di un essere vivente (“Perché li hai uccisi... i bei fiori...”, dice la didascalia) e, con un movimento ancora più inatteso, ne fa il sostituto di un bambino. Il gesto con cui li accarezza e li stringe al seno è inequivocabile, e dolorosamente inequivocabile è lo sguardo, rivolto dapprima alla creatura che non può essere compensata, e poi a Hutter. È un figlio che manca alla coppia. La scena iniziale dello specchio ci si rivela in tutta la sua importanza ed eloquenza.

Nel saggio sul perturbante (che viene pubblicato nel 1919, due anni prima delle riprese del film) Freud, com'è noto, individua tra le situazioni che sono all'origine dell'Unheimliche, accanto a “figure di cera, pupazzi, automi”, al motivo del sosia, a quello della “ripetizione di avvenimenti consimili”, la relazione con apparecchi ottici (gli occhiali, il cannocchiale), e associa l'inquietudine prodotta da tali strumenti con l'angoscia della castrazione, con il “complesso di evirazione infantile”. Il contatto con tali dispositivi è posto in rapporto con la paura dell'accecamento, la quale non sarebbe altro che un “sostituto della paura dell'evirazione”. Il testo di Freud prende spunto, sappiamo, dallo studio di Otto Rank sul doppio. Tale figura, messa in evidenza in un ampio spettro di fonti letterarie (metodo ripreso successivamente da Freud), è rintracciata nel motivo del sosia, della statua di cera, dell'ombra e trova nello specchio il dispositivo di base attraverso cui il processo di duplicazione può emergere: “Ci imbattiamo sempre in un'immagine che somiglia minuziosamente al protagonista: nel nome, nella voce, nell'abito, e che quasi 'rubata da uno specchio' (Hoffmann), nella maggioranza dei casi si fa avanti proprio attraverso lo specchio”. Il motivo del doppio è collegato quindi al narcisismo. “L'incapacità di amare e una vita sessuale anomala” ne sono i suoi corollari.

Lo specchio, che ha la funzione inaugurale che abbiamo visto, segnando da subito la figura di Hutter, ci segnala dunque la presenza di processi di sdoppiamento e al tempo stesso può alludere a un malessere, a un disagio nella sfera sessuale, e a una distorta relazione con la figura femminile. Possiamo collocare allora l'apparentemente innocua scena d'avvio nel segno della difficoltà di una relazione piena, matura, con l'altro sesso da parte del personaggio maschile. O, sul versante freudiano (includendo lo specchio tra gli apparecchi ottici del saggio sul perturbante), nel segno della perdita di virilità, dell'impotenza. Nell'un caso e nell'altro ci troviamo di fronte a un ostacolo che blocca la relazione di Hutter con Ellen e che nello stesso tempo lascia intuire una parte segreta, in ombra della personalità di lui. Nella lettura di Murnau il vampiro non è che la materializzazione del lato notturno, oscuro di Hutter, celato dietro la figurazione ideale, radiosa e vitale della superficie. Nosferatu è in lui fin dall'inizio; la brama del vampiro per Ellen è la realizzazione di un desiderio che la parte diurna di Hutter non riesce a realizzare.

(Leonardo Quaresima)