Antologia critica

Nosferatu è un nome malefico che evoca le rosse lettere dell'inferno –  le sue sillabe sinistre, 'fer', 'eratu' e 'nos', hanno echi rossastri e terrificanti come il film in questione (che palpita di angoscia), un capolavoro dell'horror e dell'incubo
(Jack Kerouac, “New Yorker Film Society Notes”, 9 gennaio 1960)

 

 

Con questo film, al quale sono già stati dedicati tre mesi di lavoro, si vuole tentare, con mezzi artistici e tecnici nuovi, di rendere il cinema capace di tradurre temi di un Hoffmann o di un Edgar Poe. I nomi di questi scrittori non valgono solo come un generico paragone, perché la Prana-Film non si propone di cercare il facile effetto dei romanzi del terrore; al contrario, si tratta non di eliminare l'effetto con una storia priva di interesse, ma di evidenziarlo decisamente mediante una favola piena di senso. […]
Questo film, alcune riprese del quale sono state effettuate negli Alti Tatra, presenta, stando alle fotografie, una serie di scene meravigliose che, lungi dall'essere soltanto terrificanti, sono al contrario inframmezzate da parecchi quadri incantevoli, pittoreschi e deliziosi; ciò che potrebbe essere troppo realistico è mitigato dalla trasposizione dell'azione all'epoca Biedermeier.
(“Der Film”, n. 42, 1921)





Oggigiorno i poteri 'magici' del film sono decisamente più grandi che dieci anni fa; si può esprimere (con una forza ben maggiore che nel teatro, ad esempio) ciò che è inquietante e terrificante, ci si può abbandonare a vere orge dell'immaginazione come solo poterono concepirle il cervello di un poeta o quello di un pittore. I fantasmi di un Félicien Rops, di un Edgar Poe, di un E.T.A. Hoffmann possono diventare viventi – viventi in tutto l'orrore di queste creature lontane dalla vita. E proprio lì si trova il nocciolo del nuovo stile cinematografico, questa irrealtà cosciente, ricercata, la rinuncia volontaria ad ogni 'imitazione della vita'. […] Un tempo si credeva di poter fare entrare il fantastico nel cinema grazie a una scenografia di un espressionismo sfrenato. Ci si è, però, accorti che questi tentativi non erano che una tappa sul cammino del nuovo cinema artistico; sembrava, inoltre, sicuramente possibile – a patto di utilizzare completamente le ricchezze di una tecnica più elaborata – inserire l'intero film in quella sfera dell'occulto e del mistico che sola può permettere al gioco delle immagini di conseguire un valore estetico conservando il proprio effetto. Si potrà vedere prossimamente il primo film di una giovane casa di produzione che si è prefissa il compito di promuovere il 'film degli intellettuali'. Non significa certo tradire un segreto dire che è la casa di produzione Prana-Film che tenta di realizzare questo 'nuovo stile'. Le riprese di Nosferatu – è il titolo di questo film della Prana – sono quasi terminate. È F.W. Murnau che ha curato la messa in scena, con una potenza di creazione artistica assai particolare.
(“Bühne und Film”, n. 19, 1921)





Murnau ha dimostrato il suo talento registico in Aurora circa tre anni fa, ma in questo film si rivela un abile artigiano con una profonda conoscenza della regia ma anche della fotografia. L'inquadratura del sole alle prime luci dell'alba riempie gli occhi. Un'altra, tra le tante di incredibile bellezza inventiva, mostra una goletta che naviga tra le acque increspate fotografata in modo tale da dare l'illusione del colore e da suggerire un mistero enigmatico ancora più sconcertante del movimento furtivo degli attori
La scena del funerale nelle strade deserte della città dove i corpi delle vittime della pestilenza sono trasportati nelle bare sollevate dai portatori è quantomeno inusuale. Gli edifici vuoti e diroccati fotografati in modo da suggerire la desolazione disperata causata dal vampiro è di un simbolismo estremamente efficace.
(“Variety”, 25 dicembre 1929)




Questo film appassionante, qualunque interpretazione se ne voglia dare, è comunque assai superiore al romanzo da cui è stato tratto e ai molti Dracula ad esso ispirati di recente. Se Nosferatu è espressionista, lo è essenzialmente per il soggetto. Fu realizzato sopratutto in esterni, e le scenografie (poco numerose) di Albin Grau sono più realistiche che deformate, meno fantastiche comunque di molti ambienti naturali: il castello nei Carpazi, o le tre case vuote di una città anseatica, scelte come sedi di Nosferatu. La coppia che dovrebbe essere romantica è maldestra; goffa, fredda. Con la truccatura eccessiva, gli artigli, il cranio calvo, le lunghe orecchie appuntite, il modo di camminare a sbalzi, la lunga sagoma nera, Nosferatu crea intorno al suo personaggio una vera e propria 'sinfonia dell'orrore'. Il film comincia veramente quando l'impiegato, tipo abbastanza bizzarro, s'inoltra nella foresta e “passato il ponte, i fantasmi gli vengono incontro”; una carrozza misteriosa corre a ritmo accelerato lungo strade sobbalzanti e lo porta al castello del Conte Orlok. Sequenze celebri: Nosferatu che porta sulla spalla una lunga bara; le bare piene di terra e di topi; il vampiro che esce dallo scafo del veliero; la peste che uccide l'equipaggio; la nave che entra nel porto di Brema; il pazzo che inghiotte le mosche; Nosferatu che si dissolve al canto del gallo.
Il film ebbe un successo enorme in Germania e anche in Francia dove entusiasmò i surrealisti. Fu invece giudicato sotto certi aspetti ridicolo in Inghilterra e negli Stati Uniti dove doveva tuttavia creare tutto un genere, la serie dei Dracula.
(Georges Sadoul, Il cinema: i film, Sansoni, Firenze 1968)




Con Nosferatu, gli esterni reali riprendono importanza. Se il regista gira nelle cittadine medioevali sulle rive del Reno o vicino al Baltico, lo fa soltanto per ritrovare nelle strane facciate delle case o nelle lande deserte il senso del bizzarro, l'aspetto sinistro delle cose, un universo di solitudine e di desolazione; per animare il mondo inorganico, dissolvere i corpi nelle tenebre; per esprimere insomma il sovrannaturale per mezzo della natura stessa. Non si tratta più del fantastico di un ambiente strano, dello sdoppiamento dell''io', del peso delle ombre; non si tratta più di Hoffmann o Chamisso, ma di Hölderlin, Novalis o Jean Paul; della notte dell'anima, dell'angoscia metafisica nel suo potente orrore.
(Jean Mitry, Storia del cinema sperimentale, Milano, Mazzotta, 1971)




Uno dei cinque o sei film fondamentali della storia del cinema e, senza dubbio il film capitale del cinema muto. Finché il cinema esisterà e si proietteranno dei film, è verosimile che si continuerà a fantasticare su Nosferatu, ad ammirarlo, a studiarlo a interpretarlo. Sul piano formale, il film si allontana dall’espressionismo e lo trascende: prima d’ogni altra cosa per l’importanza che vi ha la Natura, per l’impressionante varietà di esterni reali che ne accrescono il romanticismo magico. Murnau s’abbandona totalmente al suo gusto della polifonia e del contrappunto, sul piano drammatico e cosmico. Nosferatu è prima di tutto un poema metafisico nel quale le forze della morte mostrano la vocazione – una vocazione inesorabile – ad attirare a sé, aspirare, assorbire le forze della vita, senza che nella descrizione di questa lotta intervenga alcun manicheismo moralista.
(Jacques Lourcelles, Dictionnaire du cinéma. Les Films, Robert Laffont, Paris 1992).