Il commissario Gabin

Il commissario Gabin

L'intraprendente produttore Jean-Paul Guibert era riuscito ad avere da Georges Simenon un'opzione su tutta la serie di Maigret e i diritti di due titoli: Il commissario Maigret e Maigret e il caso Saint-Fiacre. Il fatto che fosse Gabin a interpretare il celebre personaggio facilitò molto la trattativa: lui succedeva a Pierre Renoir, Harry Baur, Charles Laughton e Albert Préjean. Per l'occasione, e con lo stile che gli era abituale, andò lui stesso a scegliersi il costume alla Belle Jardinière e, ricordandosi di suo nonno Moncorgé e dell'immagine di 'uomo onesto' che gli era rimasta di lui perché reggeva i calzoni con cintura e bretelle, fece indossare a Maigret gli stessi panni.

André Brunelin, Gabin, Arsenale editrice, 1988.

 

Ho imparato ad amare gli uomini per quello che conservano della loro infanzia e Gabin è uno di questi. C'è negli occhi di questo mostro sacro, una freschezza che non inganna e, quando occorre, una bontà che è l'unica virtù che nemmeno un attore, per quanto bravo, può recitare. Si dicono molte cose su Gabin, sono quasi tutte sbagliate. Quando è in scena il minimo incidente, il più piccolo rumore lo bloccano e lo fanno impennare come un puledro: le sue reazioni sembrano sproporzionate rispetto al motivo e allora si tira fuori il suo pessimo carattere. Chi parla così vuol dire che non conosce l'importanza della concentrazione per una persona timida e dimentica che un attore che si dà cede una parte di se stesso per arricchire le altre, e questo lo rende più povero e vulnerabile. Questo duro è un ipersensibile, quest'uomo tranquillo è un inquieto, la sua sicurezza è un tremito interiore che domina a fatica e questa è la ragione stessa del suo enorme talento. Nessuno più di lui sa quando una parola è di troppo, quando il gesto va al di là delle intenzioni. Quando è impacciato da una frase del copione, è la frase che è sbagliata perché il tratto dominante di quest'uomo rude, spesso brutale, ma mai approssimativo, di questo figlio del popolo dal modo di parlare colorito ma mai volgare, è il pudore.

Jean Delannoy, Intervista alla "Tribune de Genève", 15 maggio 1959.

 

In una foto scattata quando aveva nove anni Gabin è impressionante: ha già un volto da adulto ma conserva la sfrontatezza timida del suo personaggio giovanile, col risultato che la fotografia sembra frutto di un fotomontaggio e l'immagine costituisce un unicum. Vedendola si capiscono tante cose del suo futuro e del suo passato. Il giovanissimo Jean-Alexis Moncorgé si intuisce profondamente radicato nella Francia proletaria e rurale che ha forgiato il suo corpo e la sua mente: una lezione di vita che diventerà per lui al tempo stesso un alibi e una caratteristica di fondo, senza la quale il Jean Gabin che noi conosciamo non esisterebbe. Così come le sollecitazioni parigine e furbesche del piccolo spettacolo ballato e cantato - ereditate di peso dal padre, detto 'Gabin', Jean non voleva lavorare in teatro, ma fare il macchinista delle ferrovie - hanno contribuito profondamente a dar vita al suo gestire ed al suo parlare. E anche uno dei segreti della sua fascinazione. Si pensi al 'caso Maigret'. In tutta la sua carriera egli incarnò solo tre volte il personaggio inventato da Simenon: nel 1958 interpretando Maigret tend un piège (Il commissario Maigret) e Maigret et l'affaire Saint-Fiacre (Maigret e il caso Saint-Fiacre); e cinque anni dopo dando vita a Maigret volt rouge (Maigret e i gangster). Eppure, lo spettatore medio lo ricorda come un Maigret tipico, a dimostrazione del fascino straordinario che Gabin esercitava quando incarnava una figura accettata e sollecitata dal pubblico. Nel pensare a quello che il suo personaggio ha rappresentato per almeno quarant'anni di cinema francese, e intendo qui alludere alla immensa quantità e qualità di implicazioni smosse nel corso di un'avventura divistica percorsa con una sorta di recalcitrante devozione, si rimane sbalorditi e quasi spaventati. Egli è stato se non tutto, quasi tutto e il contrario dì tutto. Il mauvais garçon della prima consacrazione, il personaggio molteplice della parte centrale della sua carriera, ora tragico, ora buffonesco, ora furbesco, e infine l'ultimo Gabin, che offre sottigliezze di ogni genere.

Claudio G. Fava, L'affaire Gabin, Bergamo Film Meeting 2010

 

I romanzi di Simenon, in teoria, basati come sono sulla creazione di atmosfere e di stati d'animo paiono essere totalmente antitetici a un'idea di cinema essenzialmente di sceneggiatura e di recitazione, ma nel caso dei Gabin-Simenon sarebbe riduttivo, se non fuorviante, liquidare i film tratti dai suoi libri come meri pretesti per un "palcoscenico da mattatore". E più corretto parlare di un felice caso di incontro tra attore e personaggio, in cui la sostanziale somiglianza fra i due fa dimenticare le eventuali differenze, con buona pace di quanto affermava '1'esegeta gabiniano' Jacques Siclier quando affermava che Gabin non era Maigret ma un personaggio corrispondente a quello che era diventato l'attore nel cinema francese. Al contrario, non pensiamo di esagerare se affermiamo che con l'incontro fra Gabin e Maigret ci troviamo davanti a uno di quei rari casi nel cinema in cui personaggio e attore si trovano fra loro in completa sintonia, come se stessero cantando in coro, perfettamente intonati, lo stesso pezzo musicale. Non a caso, Claude Mauriac scriverà che "désormais le mythe Maigret et le mythe Gabin se confondent au point de ne plus se distinguer".

Arturo Invernici, Georges Simenon... mon petit cinéma, Bergamo Film Meeting 2003