L'infanzia, Mark Twain e la regressione

L'infanzia, Mark Twain e la regressione

La tradizione di storie per l'infanzia è vittima di un malinteso: per la maggior parte dei commentatori, l'infanzia sarebbe l'età delle meraviglie. Secondo Freud e Melanie Klein sarebbe invece il tempo degli incubi e i grandi scrittori dell'infanzia, per chi sa leggerli, confermano questo punto di vista: anche Il mago di Oz si apre sul racconto delle frustrazioni della sua piccola eroina.
Mark Twain va ancora più lontano in questo senso e bisogna parlare di questo scrittore perché La morte corre sul fiume ne è impregnato. In Tom Sawyer, Twain racconta la storia di due ragazzi, Tom e Huck, che durante una notte avventurosa, sono testimoni di un assassinio, una sorta di scena primitiva per ragazzi troppo curiosi. Tom assiste al processo dell'assassino, lo denuncia, è tormentato dal rimorso e alla fine viene perseguitato dall'assassino in fuga. In Huckleberry Finn ritroviamo Huck che, abbandonato da un padre indegno, è raccolto da persone caritatevoli, poi viene allontanato da loro da suo padre che cerca un tesoro nascosto da dei ladri e scoperto da alcuni ragazzi. Huck, rapito da suo padre, fugge sul fiume grazie ad un canotto ed è là che vive la maggior parte delle sue avventure. Davis Grubb ha evidentemente letto queste pagine e se n'è ispirato. La principale originalità di La morte corre sul fiume è di avere ricostruito la storia in un modo molto più sistematico, molto più vicino al mondo dell'infanzia.
Una delle mani del pastore Harry Powell si chiama “Love” e l'altra “Hate”: un bambino è come queste mani, sa solo amare o odiare, non conosce i sentimenti intermedi; non può comprendere che questo padre o questa madre che adorava fino ad un istante prima, sia divenuto all'improvviso così detestabile. Gli si prospetta un'ipotesi: non è la stessa persona, è avvenuta una sostituzione. Questo romanzo familiare è dappertutto nel film, dove il vero padre, Ben Harper, ha un doppio diabolico, Harry Powell, e dove la madre legittima, Willa Harper, ha un doppio angelico, Rachel Cooper.
La forza della narrazione deriva dal fatto che ci è presentata in gran parte dal punto di vista del piccolo John. Egli si è liberato nel modo peggiore del suo complesso d'Edipo perché suo padre – un ladro e un criminale – è stato arrestato sotto i suoi occhi e impiccato. Ha quindi ereditato tre donne: sua madre, la sua sorellina Pearl e una bambola il cui ventre cela un tesoro. Ma il fantasma del padre ritorna con Harry Powell per sedurre la madre, sorprendere il segreto di Pearl e rubare il tesoro. […]
La regia sottolinea fortemente l'universo poetico della regressione. Da una parte il rifiuto appassionato, frenetico, del personaggio maschile e paterno, i cui richiami alla ragione sono sempre vissuti come mostruose imposture e la cui personalità costituisce “quasi una figura alla Maldoror” come scrive Robert Benayoun, che nota d'altronde che Laughton, interprete di Nerone, di Quasimodo e di Enrico VIII, doveva trovarsi a suo agio ad evocare questa creatura fantasmatica. […] Laughton stesso, con delle creazioni come quella del dottor Moreau, aveva dei rapporti con la tradizione gotica, lontana origine anche del suo film. Fu lui a volere il bianco e nero per La morte corre sul fiume. Sviluppò delle scene fra adulti che non sono viste dal punto di vista dei bambini (poiché questi non vi assistevano) ma che, tratte dal romanzo, tendono a donare alla sua storia l'andamento di un racconto criminale, dove l'incoscienza della vittima è pari all'accanimento dell'assassino; l'ipocrisia di questo personaggio, che sfrutta la religione per i suoi misfatti accattivandosi la simpatia degli abitanti del villaggio, dà vita ad una critica sociale alla maniera di Fritz Lang.


Jacques Goimard, Plus noir que vous ne pensez, “Cinéma l'Avant-scène”, n. 202, 15 febbraio 1978