La dialettica servo-padrone

La dialettica servo-padrone

 

Per me Il servo è la storia di gente di origini diverse prese nella stessa trappola, è la storia di questa trappola: la casa e la società in cui vivono. Per me il film è semplicemente un film sulla servitù, servitù della nostra società, della nostra epoca, del padrone e del servo.
Joseph Losey

 

La relazione sociale e dialettica tra servo e padrone è risolta nel marxismo democratico, a sfondo socialista attraverso il salvataggio (o quasi) sia della figura del servo sia di quella del padrone. Questa è la lettura fenomenologica che fanno i marxisti in genere ma anche Joseph Losey, quando realizza Il servo. In questa trasposizione filmica, il problema del rapporto tra servo/padrone si trasforma in elemento psicologico.
Quando Tony, appartenente a un’antica casata inglese assume Barrett, questi rapidamente capisce la situazione di oggettiva debolezza psicologica del padrone e la sua profonda incapacità di gestire le cose del suo mondo con efficace essenzialità. L’ambiguo rapporto che si instaura tra i due non è solo di sudditanza o dominanza a livello psicologico e sociale, ma anche sessuale. In alcuni casi si evidenzia nel Servo una tensione tra i due protagonisti che sottende a un rapporto ben più stretto rispetto a quello lavorativo o di amicizia. Allude in maniera neanche molto velata a un legame di tipo omossessuale. Lo scandalo che seguì il film non solo è connesso al ribaltamento dei ruoli, quindi a un rovesciamento di classe metafora di una ribellione proletaria, ma anche al tema delicato dell’omosessualità che viene affrontato all’inizio degli anni Sessanta in uno stato, quello inglese, in cui era previsto il carcere per rapporti, come quello tra Tony/James Fox e Hugo Barrett/Dirk Bogarde, definiti "osceni".
Il film è una raffinata e ipnotica sinfonia di specchi, stanze, pareti, oggetti e corridoi. Il dominio sull’ambiente determina il potere (di classe). Imporre un vaso di fiori oppure subirne la rimozione può essere fondamentale per marcare la conquista o la perdita di un territorio che è fisico, psicologico, morale e di classe. Il film è basato sul concetto di servilismo, come modo di vita, come difetto morale di una stirpe, e anche, come suggerisce Losey, come la storia di Faust, o quella di Dorian Gray, o di una grande passione omosessuale. La polivalenza non riduce l’intensità: vi è calore e orrore, ma non è un film pessimista. Ha ragione Losey a insistere su questo punto: egli ama la vita e gli uomini. Il pessimismo è la regola della non soluzione, un futuro oscuro che si addensa; nel Servo invece il teorema ha una sua limpida vena didascalica che si appoggia fra due fili, il sordido e l’elegante.
Maurizio Porro, Joseph Losey, Moizzi, Milano 1978

 

Il film tratta della degradazione attraverso i rapporti di servo-padrone, attraverso la servitù, come Losey dice, in tutte le sue forme.
Servo e padrone non sono manicheisticamente diversi, l'uno il male e l'altro il bene (come qualcuno ha detto parlando di Barrett, il servo, come di una figura diabolica che s'insinua nel l'interno della ricca casa borghese a distruggerne le basi): Barrett è un 'servo' quale i padroni già avuti l'hanno fatto, ipocrita, astuto, che prenderà via via il sopravvento su Tony – il padrone – solo in quanto questi non corrisponde, debole qual è, al tipo di padrone che Barrett rispetta (all'inizio dice a Tony di aver servito presso Lord Barr, calcando sul 'lord' per mettere in luce il dislivello tra il nobile che ha servito e il borghese che ora serve). Si vedano i suoi rapporti con Susan, la quasi-fidanzata di Tony che s'indovina borghese di nuova formazione, arrivista, arrogante, senza gusto, per cui Barrett non nasconde il suo disprezzo, ma che – nei cinque minuti finali – lo riporta bruscamente alla sua condizione di servo (lo schiaffo), che egli peraltro accetta con una reazione di istintivo rispetto. D'altronde se Barrett ha un carattere complesso, Tony non è né un padrone angelico né totalmente un debole. Reagisce anch'egli ambiguamente alla sua posizione e si direbbe che la causa della sua debolezza sia infine in una mancanza assoluta di senso di responsabilità, in una facilità di vita, abitudine all'agio, che allontanano da lui qualsiasi impegno definito che possa interessarlo a lungo. Più che loro, è la società tutta in cui rapporti di questo tipo esistono a essere messa in causa: la corruzione di fondo è nell'esistenza del rapporto di servitù, e non nel singolo servo o nel singolo padrone. […]
Ho visto, a Venezia come sugli Champs-Élysées, reazioni nel pubblico che assiste a Il servo, che dimostrano quanto Losey abbia raggiunto il suo scopo: risatine di disagio, proteste ad alta voce, e non poca gente che abbandona lo spettacolo prima della fine. Mi pare infatti che se in un termine solo si può condensare – come Losey ha fatto per il contenuto – la forma, lo stile del film, questo potrebbe benissimo essere: "frustrazione". Lo spettatore non partecipa alla vicenda, non può mai essere portato a immedesimarsi nella parte del servo o in quella del padrone, e si trova in uno stato di continua (e spesso irritante) costrizione a una partecipazione non sentimentale, ma razionale.
Goffredo Fofi, Introduzione a Losey, "Quaderni piacentini", gennaio-febbraio 1965


Tony è padrone per titolo, da quattro generazioni, tanto remissivo e debole quanto pronto ad illudersi in fantomatici progetti di disboscamento della giungla. Barrett presenta, sin dall’inizio, maggiori complessità: è il servo, per ruolo e tradizione, ma i suoi modi raffinati contraddicono in parte il suo stato. "In fondo è un essere umano", dice Tony a Susan. Quando, più tardi, Susan cerca di provocarlo ("Lei usa il deodorante? Crede di essere intonato all’arredamento? Cosa vuole lei da questa casa?"), Barrett risponde: "Io sono il servo". Ma quando, nel finale, Tony gli dice "Tu sei solo un servo", lui replica "Il servo? Io non sono il servo di nessuno".
Non è un caso che Barrett manifesti una sorta di sprezzante superiorità verso Susan, che, al di là delle dichiarazioni d’amore, vede in Tony la prospettiva di un rispettabilissimo matrimonio. Non è un caso che sia Susan ad uscire sconfitta dallo scontro: paga con ciò anche un divario di cultura (quando Barrett le presenta una bottiglia di Beaujolais, dicendo "It’s a good bottler", Susan non trova di meglio da dire che "A good what?"). Non sono ovviamente possibili superamenti, né in senso marxiano, né in senso hegeliano. "Dov’è la dialettica del padrone e del servo, quando il padrone è sedotto dal servo, quando il servo è sedotto dal padrone?", direbbe Baudrillard.
Giorgio Cremonini, Gualtiero de Marinis, Joseph Losey, La Nuova Italia, Firenze 1981


La figura dell'intrusione, peculiare del 'teatro della minaccia' di Pinter, domina Il servo fin dalla prima sequenza (l'arrivo di Barrett, sornione e inquietante, nella casa vuota) e ricorre, quale movenza di una precisa strategia, in altri momenti […].
L'intrusione si configura come il movimento insinuante che conduce alla graduale, inesorabile appropriazione di un'identità (Mountset e il proprio censo di 'padrone') da parte di un'altra (il 'servo'), lungo un processo di insidiosa erosione che si attua anche tramite la presa di possesso fisica degli spazi che appartengono alla sfera privata di Tony, come il bagno e la camera da letto. Il velenoso processo di sostituzione si svolge intorno (e grazie) a un elemento volutamente occulto: l'inconscia attrazione omosessuale nutrita da parte del padrone per il domestico, che affiora nella sequenza del gioco a nascondino, quando la reazione passiva del giovane Mountset, all'irrompere di Barrett nel suo 'nascondiglio', rivela il turbamento e la soggezione del sedotto nei confronti del seduttore. Questa sequenza, che sigilla i giochi puerili e spettrali scambiati sulle scale tra i due uomini, come in una morbosa regressione all'infanzia, arriva al termine di una sottile rete di trasgressioni delle forme e delle convenzioni cui Barrett sarebbe tenuto nei confronti di Mountset. Forme e convenzioni vengono progressivamente destituite di senso dal domestico, che depaupera Tony dei suoi crismi di casta per rivestirsene egli stesso, compiendo le premesse racchiuse nelle prime immagini, dove il privilegiato appare come il più debole e vulnerabile (quando dorme inerme su una sdraio) e il subordinato come il più dotato di astuzia ed energia.
I conflitti sociali che stavano fermentando nella Gran Bretagna dell'inizio degli anni Sessanta non sono calati da Losey e Pinter in un dialettica astratta e didascalica, ma in una torbida scacchiera di inganni e sopraffazioni, in un gioco al massacro dove le peculiarità di arroganza, cinismo e indifferenza dell'esponente della classe dominante si trasferiscono, accresciute in densità e ferocia, al membro della classe tradizionalmente sfruttata. Come sempre nei migliori film di Losey, le tinte dell'ambiguità, che avvolgono questo perverso trapasso dei poteri come la silenziosa tensione erotica che intercorre tra i due uomini, colorano il ventaglio delle pulsioni, delle derive autodistruttive, del mistero e delle miserie dei personaggi.
Roberto Chiesi, The Servant, Enciclopedia del Cinema, Treccani 2004