'Il servo' secondo Joseph Losey

'Il servo' secondo Joseph Losey

Idea e sceneggiatura

Mentre lavoravo a Roma su Eva, Dirk Bogarde mi telefonò dicendo che esisteva una sceneggiatura tratta dal Servo di Harold Pinter, a cui era stata commissionata da Michael Anderson. In realtà io avevo proposto a Dirk il romanzo Il servo esattamente dieci anni prima. Presi contatto con Harold che conoscevo già. Era una sceneggiatura molto disuguale, ma assolutamente brillante. Alcune delle scene chiave esistevano già – la casa di campagna, la partita di pallone – ma la sceneggiatura non era terminata. Harold era ancora sconosciuto come sceneggiatore, anche se aveva adattato per lo schermo la sua commedia The Caretaker (Il guardiano), diretta da Clive Donner. Leslie Grade, associato col mio agente Robin Fox, disse che avrebbe prodotto Il servo, a condizione che lo girassi per cinquecentomila dollari. Acquistammo per dodicimila dollari i diritti a Michael Anderson, ed era molto caro, perché lui era ben lungi dall'aver pagato tanto ad Harold.
Poi ho cominciato a lavorare con Harold. Ho scritto molte note su quel progetto; poi ci fu una riunione con Dirk, il suo manager, Harold, il suo agente ed io al Conaught Hotel. Mi scontrai con Harold, che era tutto salvo che modesto, perché non era ancora certo di essere Harold Pinter. Lui dichiarò: "Non ho l’abitudine di scrivere seguendo le parole che mi vengono date, e non mi piace farlo". Temeva che io cercassi di attenuare il suo tema. Il manager di Dirk invece aveva paura che mi mettessi a fare, così disse, "un film completamente omosessuale" che potesse discreditare Dirk, che era ancora un grande idolo del cinema inglese.
Fu una serata assai pesante durante la quale tutti quanti si ubriacarono abbondantemente, tranne me, che per fortuna ero in uno dei dei periodi in cui non bevevo. Se quella sera non fossi stato completamente sobrio, non ci sarebbe mai stato Il servo, perché verso le tre e mezza del mattino io dissi ad Harold Pinter: "Mi dia le mie note che ha lì in mano", gliele strappai via e poi aggiunsi: "Torni a trovarmi domani a mezzogiorno e mezza, berremo un bicchiere e ripartiremo da zero. Ricomincerò la sceneggiatura con lei, pagina per pagina". Ed è quello che abbiamo fatto. E dopo quella prima serata di discussioni abbiamo lavorato assieme per oltre quattordici anni senza grossi conflitti.

 

Musica

Ero in ottimi rapporti con John Dankworth. Lui non aveva mai lavorato per il cinema, tranne che per Sabato sera, domenica mattina. Era un po’ ingenuo nei confronti del cinema. Io ero un discreto conoscitore di jazz, e lui è riuscito a cogliere quello che cercavo di esprimere.
Il mio primo incontro con lui per Giungla di cemento era stato meraviglioso. Abitava al terzo o quarto piano di una catapecchia, e ci si arrivava per una scala buia dove si camminava sopra delle vecchie scatole di conserva e dei topi. Non aveva nessuna reputazione come musicista di cinema, non aveva neppure nessun successo come musicista di jazz. Così abitava in quel minuscolo appartamento, due o tre stanze in cima a un vecchio edificio. La sera in cui ci sono andato, lui mi lanciò le chiavi dalla finestra, e io mi son messo ad arrampicarmi su per quella scala.
John era lì con sua moglie Cleo Laine, che avrebbe interpretato la canzone mentre lui la suonava al piano. Mi fecero sedere su un divano. La presentazione della canzone li rendeva nervosissimi; mi misero in mano un bicchiere di gin. Iniziarono la canzone, e in quel momento il divano sprofondò e io caddi all'indietro spandendomi addosso il gin. Mi vennero in soccorso e poi continuarono la canzone, che ho adorato e che adoro tuttora.
È Thieving Boy in Giungla di cemento. In quel film volevo una partitura jazz nello stile di Count Basie, ed è quello che ho ottenuto. Ne Il servo è anche del jazz, ma molto diverso, molto più cool. Oggi non ne sono più certo, ma mi sembra che la musica di apertura è un sestetto di tromboni. È una musica molto più sofisticata. […] Si sente una sola canzone, un solo disco, che suona nella casa: la canzone di Cleo Laine. Leave it alone, it’s all gone (Non pensarci più, tutto è finito), con le parole di Harold Pinter. John Dankworth, il compositore, si lamentò molto per il fatto che Harold non era un vero paroliere. Noi pensavamo che fosse un film sull’ossessione, e che Leave it alone, it’s all gone fosse l’ossessione. Ma ci sono tre arrangiamenti differenti di quella canzone. Il primo è molto semplice, il secondo è più complesso, e il terzo è davvero difficile alla fine, è atonale. E viene cantata in modi differenti.

 

Fotografia

Era molto difficile lavorare con uno specchio convesso, perché rifletteva praticamente tutto il set, e tutto dipende dal posto in cui mettete le luci. Ma per quello che riguarda i riflessi negli specchi ed i grandi movimenti di macchina circolari, ne Il servo nulla si può paragonare alle difficoltà che aveva affrontato Di Venanzo su Eva. Perciò dal punto di vista tecnico, mentre era un grosso problema per Douglas, io ero incoraggiato a chiedere l’impossibile per il fatto che l’avevo già realizzato con Di Venanzo. Prima de Il servo Slocombe aveva passato dei brutti momenti, non aveva lavorato per molto tempo. Mi ha fatto molto piacere lavorare con lui e con Chic Waterson, il suo operatore. La loro fotografia aveva molto carattere. Il servo fu un vero successo per loro, e in seguito Douglas non ha mai smesso di lavorare. Così in alcune occasioni in cui avrei potuto prenderlo, lui era sempre occupato, tranne che per La scogliera dei desideri. E Chic lavora tuttora con Slocombe, tanto che non sono mai riuscito ad averlo, tranne che in Per il re e per la patria, e ringrazio il cielo d'averlo avuto su quel film.

Montaggio

Nessuno all’infuori di me ha tagliato nulla del Servo. Il mio montatore Reginald Mills e anch’io trovavamo il film troppo lungo. All’origine durava due ore e venti, e in conclusione dura due ore e due minuti circa. Alcune sequenze erano leggermente ripetitive, soprattutto a causa del lavoro di Harold. Scriveva in modo molto personale, ma succedeva che una scena somigliasse ad un'altra. Così di quello che ho girato ne ho tagliato quasi venti minuti, inclusa una sequenza che è una delle migliori che abbia fatto in tutta la mia vita, sulla vita privata del servo prima che arrivasse nella casa, quando abitava con il gestore d’una pensione familiare a sud di Londra. Ho tagliato anche una o due scene ripetitive verso la fine – una cena con Tony e qualche altro momento.

 
Scenografia

Molte cose furono fabbricate per Il servo, perché l'interno della casa era stato interamente costruito ed organizzato. Ma lavoravamo soprattutto con degli ambienti reali e delle situazioni reali che adattavamo ai nostri scopi. Fu a quell'epoca che mi sono messo a parlare esattamente di disfare la realtà per ricostruirla, scegliendo gli elementi che permettessero al pubblico di vedere ciò che noi volevamo che vedesse. […] Quelle case sono fatte così, ma non del tutto. Abbiamo dovuto cambiare un po’ l'architettura per ottenerla. Volevo una scenografia in cui, dalle cantine all’ultimo piano, che è la trappola finale, ci fosse un’entrata e un’uscita in ogni ambiente. Così è come una spirale che termina in alto con una trappola nella camera di Vera, e che in basso termina con una trappola che dà su Royal Avenue sotto la neve. Era stato tutto preparato con molta cura, ed è una riuscita notevole di Richard MacDonald. Senza dubbio la sua migliore scenografia.

 

Accoglienza

Il film è stato piacevole da fare: tutti quanti si volevano bene. Quando fu finito, i produttori cominciarono ad avere delle preoccupazioni. Dicevano: "Sa, non è commerciale, non andrà bene", e naturalmente il film è andato bene. E anzi per me fu l'inizio di una nuova carriera e di una nuova vita. Fu anche l'inizio di una carriera per Sarah Miles e per James Fox, la prima volta in cui Richard Mac Donald ottenne un vero riconoscimento, e una svolta nella carriera di Dirk Bogarde, senza parlare del riconoscimento del direttore della fotografia, Douglas Slocombe. […] Devo molto a Dirk, a Leslie Grade, a Robin Fox, a James Fox e ad Harold, per avermi permesso di ritrovarmi dopo Eva. In effetti quando è uscito, Il servo è stato molto sottovalutato. È andato in concorso a Venezia, dove non ha ottenuto nessun premio, niente. Anzi, è stato molto attaccato, e io sono rimasto molto deluso. Ma quando venne proiettato a Parigi e a Londra ha ottenuto dei buoni risultati.

Joseph Losey in Michel Ciment, Il libro di Losey. Un dialogo autobiografico, Bulzoni, Roma 1983