“È molto artistico ma non è commerciale”: i produttori contro Godard

“È molto artistico ma non è commerciale”: i produttori contro Godard

Il montaggio del film era terminato alla fine dell'estate del 1963 e il film stava per essere selezionato dalla Mostra di Venezia, in settembre. “Ho mostrato il film a Ponti. Gli è piaciuto, l'ha trovato un po' più normale di quello che faccio di solito. Ma questo non era anche il parere degli americani: 'È molto artistico – hanno dichiarato più tardi a Parigi – ma non è commerciale e bisogna cambiarlo'. Ponti mi ha chiesto allora di aggiungere una scena, non sapeva come dovesse essere, io nemmeno, semplicemente non potevo e gli ho detto: 'Ritiro la mia firma e fate ciò che volete'. È passato del tempo, alcuni mesi dopo gli americani si sono lamentati di stare perdendo soldi. Nella camera del loro palazzo – dovete sapere che i clichés più frusti talvolta sono veri – quasi piangevano per ottenere due scene in più e in una di queste si dovevano vedere Michel Piccoli e Brigitte Bardot nudi. Volevano una scena d'amore che aprisse il film e che, in un certo senso, spiegasse e giustificasse il disprezzo.
In fondo, gli americani si sono resi conto che avevano pagato Brigitte Bardot più cara rispetto a quello che forse avrebbe fatto loro guadagnare, in un film 'speciale' adattamento di un romanzo difficile. I problemi non sono derivati da Brigitte Bardot – che fin dall'inizio ha assunto tutti i rischi che aveva preso e mi ha sempre sostenuto – ma da ciò che lei rappresenta oggi nel cinema e nell'industria. Detto questo, quando ho telefonato agli americani che avevano la 'loro' scena, erano molto contenti, era come se avessi fatto loro un regalo di Natale...” (Godard, 1963).
Dopo una serie di discussioni violente e di scambi di raccomandate durante tutto il mese di ottobre, Godard girò effettivamente tre sequenze supplementari. Si tratta della prima sequenza del film […] con il celebre dialogo amoroso amoroso fra Camille e Paul, di un susseguirsi di inquadrature di breve durata e infine di una scena che rappresenta Camille e Prokosch in una camera della villa di Capri: Camilla distesa su un letto, Prokosch la guarda mentre lei si rimette i vestiti (una sequenza che non figura nel montaggio definitivo). In effetti le concessioni accordate da Godard alla produzione americana gli hanno permesso di reintegrare delle scene previste a livello di sceneggiatura, poi ulteriormente abbandonate.
Su “Le Monde”, Yvonne Baby domandò a Godard se rimpiangesse di avere girato la sequenza iniziale: “Per nulla. La scena di nudo non era qualcosa che stonasse nel film, che non è erotico, al contrario. Che Brigitte Bardot venga mostrata così all'inizio della storia era una cosa possibile, è normale perché, in quel momento, lei è ancora quell'attrice che, sullo schermo, si spoglia: non è ancora Camille, la sposa toccante, intelligente e sincera dello sceneggiatore Paul Javal che in un'altra scena – è una coincidenza – dice più o meno queste parole: 'Nella vita si vedono le donne vestite e al cinema le si vede nude'. In altre condizioni, avrei rifiutato questa scena, ma qui, l'ho fatta in un certo colore, l'ho illuminata in rosso e blu perché divenga altra cosa, perché abbia un aspetto più irreale, più profondo, più grave che non semplicemente Brigitte Bardot su un letto. Ho voluto trasfigurarla perché il cinema può e deve trasfigurare il reale”.

(Michel Marie, Le Mépris. Jean-Luc Godard, Synopsis-Nathan, Paris 1990)




Godard riesce – è nelle avversità che dà il meglio di sé – a trasformare la “valenza sexy o erotica” e le “pose in stile “Playboy” in un'audacia formale inventiva e pudica, tanto da creare una delle più belle scene d'amore al cinema. Rispetta le consegne della produzione: mostrare la Bardot nuda, proporre allo spettatore-voyeur il corpo di BB nella sua posa più celebre, sul ventre, le natiche emblematiche offerte agli sguardi – ma non “i seni che ballano” – parodiando l'inquadratura dove l'attrice è allungata nella stessa postura in Piace a troppi. Ma rovescia l'imposizione commerciale e pubblicitaria per elevare un inno al corpo femminile in una forma erotica e poetica. Il desiderio è messo a distanza dalla durata dell'inquadratura, dai filtri cromatici, rosso, bianco e blu, che rendono questo corpo quasi irreale, mentre il lirismo di questo poema d'amore è sottolineato dalla musica che Georges Delerue compone per il film, il celebre tema di Camille ispirato al musicista di Truffaut da una visione romantica di Brahms. Questo corpo diviene quello di una dea antica o dell'Eva originaria, scultorea anche se descritta nella singolarità delle sue membra e esaltata con feticismo dall'enumerazione verbale dal movimento della macchina da presa a fior di pelle.

(Antoine de Baecque, Godard. Biographie, Grasset, Paris 2010)




Godard naturalmente non riconobbe l'edizione italiana ma si può supporre che forse, sotto sotto, la vicenda non gli fosse troppo dispiaciuta: essa non faceva che prolungare la storia del film stesso. Già prima delle riprese vi erano state divergenze con la produzione a proposito del cast (Godard aveva suggerito Frank Sinatra e Kim Novak, Ponti voleva imporre la sua classica coppia Loren-Mastroianni) e in seguito, una volta accordatisi su Brigitte Bardot, erano state richieste a Godard delle scene di nudo (le stesse poi tagliate) che egli aveva accettato di girare solo dopo molti mesi e molte insistenze. Ma Godard si era 'vendicato' di tutto in anticipo, facendo dire a Lang: “Un produttore può essere amico del regista, ma Prokosch non è un produttore, è un dittatore” e mostrando questi volgarmente soddisfatto solo davanti, appunto, alla scena di nudo. Eppure il cinema è anche Prokosch, che si presenta negli studi semiabbandonati di Cinecittà declamando: “Questo posto era popolato di re e regine, guerrieri e amanti... e ora vi costruiranno botteghe e drogherie”. Cinico e sprezzante (“Quando sento parlare di cultura metto mano al libretto degli assegni”) egli è tuttavia, anche nell'incarnazione fisica e atletica che ne dà Jack Palance, un combattente che cerca di fermare la fine del cinema, o la sua morte nella modernità. Ma il cinema è anche Brigitte Bardot, la star (durante le riprese Jacques Rozier gira il documentario Paparazzi sull'assedio cui i fotografi napoletani la sottopongono anche durante le riprese), che Godard si diverte a trasformare, a vestire e rivestire di colori diversi, a cui fa pronunciare una sfilza di parolacce solo per far vedere – come essa vuol dimostrare al marito – che si può farlo deliziosamente, senza divenire per nulla volgari. La sua Camille, totalmente depsicologizzata rispetto al personaggio di Moravia, astratta e contraddittoria come l'Angela di La donna è donna, è una statua di carne colorata, come quelle che Lang ha filmato per la sua Odissea. Poiché il cinema, naturalmente, è soprattutto Fritz Lang, citazione incarnata, mito classico che non può che voler far sopravvivere i miti, per cui il cinema è lasciare le cose come stanno, filmare il cielo e il mare. Certo, di fronte alla solare positività di Fritz Lang e al fascino della sua persona, il personaggio di Paul, con le ambiguità che gli sa dare Michel Piccoli, con i suoi compromessi da intellettuale-servo e le sue grossolanità affettive, risulta impacciato e poco simpatico. Godard scrive che “è un personaggio di Marienbad che vuol recitare la parte di un personaggio di Rio Bravo ed è il primo a sottolinearne le goffaggini. Eppure non si può dire che Javal sia una figura negativa. Egli è semplicemente un uomo moderno, che fra incertezze errori e compromessi cerca comunque di vivere il suo tempo. I suoi confusi tentativi di attualizzare l'Odissea sono patetici ma sinceri. Forse il più simile all'astuto e ambiguo Ulisse è proprio lui. Tutti gli altri vivono nel mito: il mito della classicità e del cinema classico per Lang, il mito della sicurezza per Prokosch (porta sempre con sé un libriccino da cui legge frasi celebri, citazioni di citazioni). Le Mépris mette in scena attraverso questi personaggi il difficile rapporto fra classicità e modernità nel quale lo stesso Godard si dibatte. E la stessa geografia del film ne risulta strutturata. Gli studi di Cinecittà si oppongono agli esterni assolati di Capri (ma alcune scene sono girate in realtà a Sperlonga), il moderno appartamento romano, luogo delle discussioni, delle finzioni e del compromesso contrasta con il paesaggio in cui ogni scelta è naturale, in cui l'Odissea, semplicemente, senza intellettualismi, è l'unico film da fare.

 (Alberto Farassino, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano 2002