Godard sul film

Godard sul film

Il disprezzo è basato su cose essenziali: il mare, la terra, il cielo. I miei personaggi non sono più in accordo con la natura come lo erano gli Antichi, ma ho trattato il paesaggio come un personaggio, dandogli altrettanto spazio che agli attori. Il mio scopo principale è stato questo ritorno al classicismo, alla serenità. Il disprezzo è stato filmato in inquadrature molto lunghe (in tutto sono appena 150) e i totali, in cui gli attori sono come 'persi' nel décor, hanno una parte importante nel montaggio. Ho utilizzato solo i colori fondamentali, il rosso, il blu, il bianco, il verde... E sempre in toni molto puri. Non bisogna credere che si riuscirà in un'imitazione della pittura semplicemente pasticciando coi colori, sarebbe insensato. Bisogna filmare le cose con semplicità. [...] Fritz Lang è il coro antico. È molto importante per me che nel film il regista Fritz Lang si chiami Fritz Lang, ma d'altronde non facevo del cinéma-vérité. Lang rappresenta tutto il cinema. Dovevo ritrovare tutto il cinema classico, da Chaplin a Griffith, fino ai cliché nel caso. Il disprezzo è un film sul cinema.

(Jean-Luc Godard, intervista in “Les Lettres Françaises”, 25 dicembre 1963)




Mi sarebbe piaciuto fare Il disprezzo con Kim Novak, mantenendole il suo aspetto completamente passivo, come in Vertigo. Questo aspetto passivo, placido, che corrisponde al personaggio del romanzo. Un personaggio molle. Il suo mistero è la sua indolenza. Sarebbe stato più insopportabile. Una scena di ménage coniugale per un'ora e mezza. [...] Venendo dopo Les Carabiniers era necessario che Il disprezzo andasse in un'altra direzione, e in questo la Bardot mi ha aiutato. È meno atroce, più musicale. [...] È un film visto dall'alto. E il personaggio di Lang segna abbastanza bene questa distanza, questa altezza. Il disprezzo è un po' il contrario di Eliana e gli uomini. Eliana è Venere tra gli uomini. Il disprezzo sono gli uomini scissi dal mondo.

(Entretien avec Jean-Luc Godard, 12 settembre 1963, in Jean Collet, Jean-Luc Godard, Seghers, Paris 1963)




Ogni personaggio parla del resto la propria lingua, il che contribuisce a dare, come in The Quiet American, la sensazione sentimentale di gente perduta in un paesaggio straniero. Altrove, scriveva Rimbaud; quindici giorni, aggiunge, molti toni più in basso, Minnelli; soltanto due qui: un pomeriggio a Roma, una mattina a Capri. Roma è il mondo moderno, l'Occidente. Capri il mondo antico, la natura prima della civiltà e dei suoi nevrotici. Insomma, Il disprezzo avrebbe potuto essere intitolato “Alla ricerca di Omero”, ma quanto tempo perduto per scovare la prosa di Proust sotto quella di Moravia; e del resto non è questo il soggetto.
Il soggetto del Disprezzo sono delle persone che si guardano e si giudicano, per poi essere a loro volta guardate e giudicate dal cinema, rappresentato da Fritz Lang che interpreta se stesso; insomma, la coscienza del film, la sua onestà. (Ho girato io le inquadrature dell'Odissea che lui ha girato nel Disprezzo, ma, dato che io interpreto la parte del suo aiuto regista, Lang dirà che si tratta di inquadrature girate dalla seconda unità.)
A ben riflettere, oltre che la storia psicologica di una donna che disprezza il marito, Il disprezzo mi appare come la storia di naufraghi del mondo occidentale, di scampati al naufragio della modernità, che sbarcano un giorno, come gli eroi di Verne e di Stevenson, su un'isola deserta e misteriosa, il cui mistero è inesorabilmente l'assenza di mistero, cioè la verità. Mentre l'odissea di Ulissse era un fenomeno fisico, io ho girato un'odissea murale: lo sguardo della macchina da presa su dei personaggi alla ricerca di Omero al posto di quello degli dei su Ulisse e i suoi compagni. Film semplice e senza misteri, film aristotelico, libero dalle apparenze, Il disprezzo prova in 149 inquadrature che nel cinema, come nella vita, non c'è niente di segreto, niente da delucidare, non c'è che da vivere – e da filmare.

(Jean-Luc Godard, Le Mépris, “Cahiers du cinéma”, n. 146, agosto 1963; tr. it. in Jean-Luc Godard, Il cinema e il cinema, a cura di Adriano Apra, Milano, Garzanti, 1971)