Antologia critica

Antologia critica

Il disprezzo offre a Godard, per la prima volta, la possibilità di parlare direttamente del mondo del cinema, delle relazioni ambigue intrattenute fra un produttore, un cineasta, uno sceneggiatore e una diva […]. Come ha confidato lo stesso Moravia a Enzo Siciliano, il suo romanzo è ispirato a una disavventura accaduta nella vita dello scrittore Vitaliano Brancati, che il romanziere ha incrociato durante un'esperienza comune, perché ha assistito da vicino alla preparazione di Ulisse, girato da Mario Camerini nel 1953 con Kirk Douglas e Silvana Mangano. Brancati, che lavorava per il cinema in modo esclusivamente mercenario, allo scopo di poter offrire una casa a sua moglie, si è visto lasciare da questa proprio il giorno stesso in cui è riuscito ad acquistarla. Ecco un secondo aspetto del romanzo che interessa Godard: l'anatomia del fallimento di una coppia. Come, bruscamente, ciò che era amore si trasforma in indifferenza, e peggio ancora, in 'disprezzo' per l'altro... Quali sono i meccanismi improvvisi ma irrimediabili del disamore? Per Godard cineasta […] da lungo tempo affascinato dai legami fra il denaro e l'arte, come per Godard marito di Anna Karina, quest'uomo che sente la moglie sfuggirgli, Il disprezzo rappresenta allora un doppio soggetto di interesse, quasi autobiografico. […]

(Antoine de Baecque, Godard. Biographie, Grasset, Paris 2010)




Il disprezzo
possiede la semplicità e la ricchezza di una tragedia. Ma al centro dell'infelicità della coppia moderna, e della scrittura di Jean-Luc Godard, ci sono il frammento, l'istante, la rottura. Da sempre la coppia si era retta su una durata imposta dalla sacra istituzione del matrimonio. La sua forzata chiusura provocava tensioni estreme che crescevano da una scena all'altra, da un atto all'altro, fino a sfociare in esplosioni di urla e di rabbia, obbedendo a una drammaturgia violenta perfettamente rappresentata dall'opera di August Strindberg. Ma la vita moderna brucia i tempi e sconvolge la durata. La coppia ha conquistato maggiore libertà, istituendo diverse modalità di crisi. Niente più urla e piatti rotti. Tutto avviene in modo più sotterraneo, più filtrato. Dopo Viaggio in Italia di Rossellini, al quale Il disprezzo è chiaramente ispirato, Godard istituisce una nuova drammaturgia della coppia: ora si tratta di seguire, come in un reportage, l'avvenimento che si svolge davanti ai nostri occhi. In questo modo Godard situa la prima scenata al centro del film e la fa durare una trentina di minuti. Paul si sente in colpa e desidera che sua moglie si sfoghi violentemente, in modo da potersi discolpare. Ma Camille rifiuta di compiere un atto che per lei significherebbe irrimediabilmente una rottura di coppia. Dopo tutti i tentativi di sfuggire a un chiarimento, la scena si chiude con una semplice frase tagliente, fatale, definitiva: “Paul, je te méprise”.
Poiché il cinema è diventato il testimone della nostra vita, la macchina da presa ha sostituito le antiche divinità, ormai ridotte a figure di cartapesta che, nel corso del film, ritornano più volte a scandire il procedere della tragedia. La macchina da presa diviene allora un dio che ci guarda già a partire dai titoli di testa. Essa osserva il percorso del destino non più dal punto di vista della fatalità e del determinismo, ma da quello dell'alea e dell'evento fortuito, registrando per sempre una successione di istanti non prevedibili, affidati al caso come alla libertà di ciascuno.
Il disprezzo
propone una riflessione su ciò che è accaduto a Ulisse, cioè all'uomo occidentale, non al termine di un viaggio durato un decennio, ma dopo tremila anni di Storia. In cosa consiste la sua conoscenza, da quali ambigue certezze è offuscata? Si tratta quindi di una storia dei tempi; e il cinema, luminosa invenzione del ventesimo secolo, è destinato a divenirne il testimone e, soprattutto, il narratore. Il guercio Fritz Lang è il successore del cieco Omero. E Godard è il loro scrivano. Nella sua ossessione di possedere, di controllare tutto, Paul cerca di impossessarsi del tempo; ma si tratta di un tempo che ha perduto valore e qualità, di un tempo meramente quantitativo, frammentato e acquistabile (esattamente come il corpo di Camille). La tragedia dell'uomo occidentale moderno nasce dal fatto che egli vuole salvaguardare la purezza qualitativa (la durata eterna dell'amore assoluto) in un mondo divenuto semplicemente quantitativo. Egli è smarrito; il dubbio e l'ansia sono divenuti la sua sorte quotidiana. Il tempo è denaro. E grazie al denaro Paul si illude di poter possedere l'amore di Camille. Prokosch, inebriato dal proprio illusorio potere che ama esibire, manifesta la propria ricchezza tramite ciò che oggi la simboleggia: la velocità. Ma questa accelerazione del tempo finirà per distruggerlo insieme a Camille.
Di fronte alla cosmica immensità del mare, la lotta incessante di Ulisse assume l'aspetto patetico di un peplum italiano. Una carrellata laterale percorre lo schermo panoramico e finisce per conservare soltanto cielo e mare, aria e luce, spazio-tempo intatti per sempre. Allo stesso modo vuole conservarsi intatta Camille/Penelope. Alla parola esplicativa che distrugge, manda in frantumi il senso del mondo, lei oppone un'opacità ostinata, un silenzio supremo, l'animalità del proprio essere. Camille non ha senso, ma è senso. Il suo corpo non appartiene a nessuno ‒ poiché lei concede soltanto la propria immagine ‒ ma fa parte dell'intero universo: esso si muove all'interno dell'inquadratura, si sposta nello spazio, indifferente al trascorrere del tempo, inalterabile. Materia prima, scultura mobile, colore puro (giallo, blu, rosso), esso è trattato come un oggetto d'arte moderna, oggetto che l'imprudenza, che l'impudenza di Paul/Ulisse distruggerà. In una frazione di secondo, come il fulmine di Zeus, il disprezzo colpirà l'infelice Paul. Ogni tentativo di riconciliazione sarà inutile. Il disprezzo è un film perfetto: classico, moderno, realista e romantico. Ma la versione italiana, ripudiata da Godard, è accorciata di una ventina di minuti, provvista di musiche diverse dall'originale, alterata cromaticamente e sottoposta a un doppiaggio demenziale.

(Jean Douchet, Il disprezzo, Enciclopedia del cinema, Treccani, 2004)




Un film che non assomiglia a nessun altro di questo periodo del suo cinema, il suo film più rotondo, più oggettuale, quello che più assomiglia ad una maestosa scultura colorata che si sosterrebbe tutta sola nell'aria, in perfetto equilibrio nella pura luce mediterranea. Le costrizioni che hanno pesato su Godard durante la realizzazione del Disprezzo gli hanno permesso di fare un film meno frammentario dei precedenti, con minor negatività all'opera. Un film-scultura più vicino a Brancusi che a Tinguely. Poco dopo Il disprezzo, Godard riprende a sua volta il paragone di Alain Resnais fra il cinema e la scultura e afferma che si ha torto a paragonare sempre il cinema alla pittura, laddove, dice, che “il cinema somiglia di più sia alla scultura che alla musica. Ossia a qualcosa di immobile, di solido, e al tempo stesso a qualcosa che sta passando e che è assolutamente inafferrabile”, che sarebbe una definizione quasi perfetta del Disprezzo.

(Alain Bergala, Godard au travail. Les années 60, Cahiers du cinéma, Paris 2006