La genesi del film

La genesi del film

Le riprese

Quanto ci divertimmo! The Warriors fu deciso e organizzato in quattro e quattr’otto. Fino a poco prima stavamo lavorando tutti insieme su un altro progetto, un western, con Larry Gordon e Frank Marshall come produttori, e Walter come regista. Io avrei dovuto fare l’assistente alla regia di Walter. Io e lo scenografo eravamo in giro per location in Colorado, quando loro tre tornarono a Los Angeles, mentre io restai con lo scenografo. Dopo qualche giorno ricevemmo una telefonata da Walter: “Tornate a Los Angeles. Il progetto è annullato. Stiamo per andare a New York, faremo un altro film”. New York è la mia città: ero emozionato all’idea di tornarci. Sul set aleggiava una specie di follia organizzata: girammo parecchio di notte, una notte dietro l’altra. Per sessanta giorni fu come vivere un’altra vita: lavoravamo tutta la notte, tornavamo in hotel e andavamo a dormire. Quando ci svegliavamo era già pomeriggio, facevamo colazione – Frank, Walter e io, tutti i giorni... Che favola. Davvero un gran divertimento.
Neil Canton, in Walter Hill, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan, Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo, Torino 2005

The Warriors fu girato sempre in vere location, con l’eccezione di una scena, che riprendemmo in un teatro di posa. In quell’occasione fu costruito un set apposito per la scena della lotta in una toilette della metropolitana. Se giri una scena in una vera location puoi usare a ragion veduta il termine ‘realistico’; quel che fai per renderla stilizzata è espandere, inserire un po’ qui un po’ là alcuni dettagli che la rendano tale. […] Decisamente, secondo i parametri di ‘buona fotografia’ dei produttori di pellicola, come Eastman Kodak e l’industria del settore in generale, posso dichiarare che parte della fotografia del film era ‘cattiva fotografia’. Nel mio libro Every Frame a Rembrandt arrivo anche a dire che esiste una cosa come la buona ‘cattiva fotografia’ e, viceversa, la cattiva ‘buona fotografia’. Hai una ‘buona fotografia’ quando tutto è esposto nel modo giusto, l’immagine è ben composta e inquadrata. Tutto è a fuoco, bello nitido. Tutto è visibile. I colori sono assolutamente vividi, perfetti. Poi ti sorge un dubbio: tutta questa perfezione fa bene al film? Inoltre, durante le riprese di un film, capita anche di trovarsi davanti a situazioni in cui la ‘buona fotografia’ è semplicemente irrealizzabile, perché non c’è abbastanza luce, o sufficienti dettagli. Sono quelle le situazioni in cui ti metti alla prova; è il momento di rovistare nel cilindro, usare i trucchi del mestiere e la creatività artistica – come esasperare i colori esistenti, o persino inserire nell’inquadratura luci in punti anomali, bagnare la strada in modo da creare riflessi di luci e colori. Nessuno di questi stratagemmi ricade sotto la categoria del ‘realistico’, ma apporterà uno stile particolare alle inquadrature e al film.
In The Warriors ho usato tutte queste tecniche. […] La realtà di una situazione dev’essere sfumata nell’irrealtà. Pensa, per esempio, alla sequenza d’apertura, con l’inquadratura del treno della metropolitana che arriva in stazione: tutto quello che si vede sono i finestrini del treno, perché erano gli unici particolari illuminati. Poi entrano in campo le banchine, e hanno un colore bluastro, irreale. Tutto venne esaltato solo perché era già così, di partenza, e non avrei potuto fare alcunché per correggerlo: allora, invece di tentare di aggiustare le cose, sono andato nella direzione diametralmente opposta, e le ho esasperate. Ecco da dove viene l’aspetto stilizzato della fotografia di The Warriors.
Andrew Laszlo, in Walter Hill, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan, Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo, Torino 2005

Una cosa che piace a Walter è girare con obiettivi a focale lunga. Una cosa che invece non gli piace è fare troppi ciak. Prima prova la scena, così che tutti sappiano quello che ci si aspetta da loro. Alcuni registi amano fare quindici o venti ciak. Walter no, e non è neppure detto che pretenda sempre dei ciak perfetti. Piazza le macchine da presa in due punti diversi, così da avere due diverse angolazioni e coprire tutta la scena. E gira poco non per capriccio, ma perché altrimenti gli attori si stancano e si annoiano; lui invece li vuole pronti. Alcuni hanno bisogno di cinque o sei ciak per scaldarsi, per dare il meglio: in quei casi Walter fa delle prove un po’ più lunghe, in modo che quando dice “Azione!” sia buona la prima. Alcuni registi vogliono che ogni inquadratura sia assolutamente perfetta, oppure vogliono riprese perfette da ogni angolazione, pur sapendo che non useranno mai tutto il girato; Walter è più: “So che quella parte è venuta esattamente come volevo, mentre l’altra, dalla seconda angolazione no, ma non è necessario utilizzarla”. Lo fa per salvaguardare la ‘freschezza’ della performance. Lui lavora bene così, perché ha le idee molto, molto chiare. L’altra cosa meravigliosa di Walter è che è sempre presente. Ed è estremamente disponibile. Alcuni registi con cui ho lavorato si limitano a dirti: “Questo è quello che voglio. Ora vado nella mia roulotte, chiamatemi quando avete finito”. Walter invece è già lì. È uno della squadra.
Neil Canton, in Walter Hill, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan, Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo, Torino 2005

Comunque non andai molto d’accordo con lo Studio per tutto il progetto. […] Sono state riprese molto difficili. Era un’estate molto umida e successe di tutto, alcune volte per colpa nostra. Tu abiti a New York, quindi sai che d’estate le notti sono piuttosto corte; il sole sorge presto, e il contratto sindacale ci imponeva un’ora intera per il pranzo. Per gli standard di Hollywood quindi facevamo sempre la metà del lavoro di una giornata normale. Per giunta piovve parecchio; fu l’estate newyorkese più piovosa in non so quanti anni. Poi Deborah [Van Valkenburgh] cadde e si ruppe il polso, quindi dovevamo riprenderla in modo che non si vedesse la fasciatura. Ci cacciarono da un paio di location, e questo causò dei ritardi. Lo Studio inoltre ci teneva il fiato sul collo, malgrado fosse una produzione piuttosto modesta. Larry fece un gran lavoro per consentirci di andare avanti: ogni notte giravamo il film, e ogni giorno lui lo passava al telefono a litigare con lo Studio. Quel che faceva lui valeva quanto quello che facevamo noi. Quando poi il film uscì fece un sacco di soldi: in questi casi lo Studio torna subito a volerti bene.
Walter Hill, in Walter Hill, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan, Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo, Torino 2005

Walter voleva che Orson introducesse il film e spiegasse le radici della storia, che affondavano nella tragedia greca – precisamente L’Anabasi. Frank e io conoscevamo Orson e Walter mi incaricò di chiedergli se fosse interessato. Orson aveva visto Hard Times e , The Drivere aveva commentato: “È un giovane regista di straordinario talento”. Infatti rispose che sarebbe stato felice di partecipare al film. Ma la Paramount ci mise i bastoni tra le ruote. La voce di Orson doveva introdurre il film, inserirlo nella giusta prospettiva, magari ritornare più avanti, in alcuni punti – Walter non ne era ancora sicuro, pensava di fargli fare anche altre cose. Di sicuro voleva Orson per la narrazione iniziale, perché desse al film un peso che lo avrebbe reso speciale. L’idea della voce di donna alla radio arrivò dopo: l’attrice è morta da poco, credo. Ebbe molto successo nel mondo del teatro newyorkese.
Neil Canton, in Walter Hill, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan, Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo, Torino 2005


Un’accoglienza contrastata

The Warriors uscì il 9 febbraio 1979 in 670 sale senza proiezioni anticipate o campagne promozionali e incassò 3,5 milioni di dollari nel weekend di apertura. Il fine settimana successivo il film fu collegato a episodi di vandalismo e a tre omicidi, due in California e uno a Boston. Questo tipo di impatto spinse la Paramount a rimuovere le pubblicità dalla radio e dalla televisione e gli annunci sulla stampa furono ridotti al solo titolo del film, con il rating e le sale. Circa duecento cinema presero altro personale di sicurezza. A causa di questi problemi, i proprietari delle sale vennero sollevati dai loro obblighi contrattuali nel caso non volessero proiettare il film, e la Paramount si offrì di pagare i costi per la sicurezza aggiuntiva e i danni dovuti al vandalismo.
Dopo due settimane senza incidenti, lo Studio aumentò gli annunci pubblicitari per approfittare della recensione entusiasta di Pauline Kael sul “New Yorker”. […] Alla sesta settimana di programmazione, The Warriors aveva incassato 16,4 milioni di dollari, superando di gran lunga il budget stimato di 7 milioni di dollari.
Ma il film venne stroncato da molti critici. Nella sua recensione per il “Chicago Sun-Times”, Roger Ebert afferma che, nonostante l’abilità cinematografica di Hill, il film è poco plausibile, con uno stile manieristico che priva i personaggi di profondità e spontaneità: “A prescindere dall’impressione che dà la pubblicità, questo non è nemmeno lontanamente un film d’azione. È un’opera d’arte. È un balletto di violenza maschile stilizzata”.
Gary Arnold del “Washington Post” scrive: “il dinamismo di Hill non salverà The Warriors dall’essere considerato dalla maggior parte degli osservatori neutrali come un’orrenda follia".
Nella sua recensione per “Newsweek”, David Ansen scrisse: “Un altro problema sorge quando i membri della gang aprono la bocca: i loro dialoghi banali stridono con lo schema visivo iperbolico di Hill”. Frank Rich, della rivista “Time”, afferma che “sfortunatamente, la pura e semplice dimensione visuale non è sufficiente a sostenere il film, che si trascina da una rissa all’altra. The Warriors non è abbastanza vivace da essere un divertimento a buon mercato o abbastanza riflessivo da essere serio”.
Yurick espresse il suo disappunto, ipotizzando che il film spaventasse la gente perché “fa appello alla paura di una rivolta demoniaca da parte della gioventù lumpen, sregolata”, attraendo molti adolescenti perché “colpisce una serie di fantasie collettive”.
Il Presidente Ronald Reagan era un fan del film e telefonò persino all’attore principale, Michael Beck, per dirgli che lo aveva proiettato a Camp David e che gli era piaciuto.
Nel corso degli anni, The Warriors ha acquisito lo status di film di culto, insieme a un riesame del suo status da parte di una nuova generazione di critici cinematografici. “Entertainment Weekly” l’ha posizionato 16° nella sua lista dei “50 più grandi film cult”. La rivista l’ha anche classificato al 14° posto nella lista dei “25 film più controversi di sempre”.
Emanuel Levy, Warriors: From Provocative Film to Cult Item, emanuellevy.com, 14 agosto 2013