CIMINO RACCONTA IL FILM

CIMINO RACCONTA IL FILM

Tutta l’energia che ho speso per Heaven’s Gate aveva un solo fine: portare sullo schermo, con le migliori immagini e i migliori suoni possibili, l’America della fine dell’Ottocento, cercando di raggiungere il maggior grado di veridicità. Gli anni in cui si svolge il film sono anche quelli in cui si diffonde la fotografia: si tratta quindi di un periodo molto ben documentato. Ogni cosa che si vede nel film trova riscontro in una fotografia del periodo, dai particolari degli abiti all’aspetto della pista di pattinaggio. Questo sforzo di ritrovare la verità ha portato gli attori a impegnarsi, prima delle riprese, in una sorta di Università del West, dove hanno preso le lezioni più disparate: sparare col fucile o con la pistola, andare a cavallo, condurre il carro, radunare le mandrie, andare sui pattini a rotelle (ci sono state più fratture qui che non nei corsi di equitazione). Kristofferson e Isabelle Huppert hanno anche preso lezioni di valzer, per la disperazione del coreografo: a quanto diceva lui, Kristofferson non aveva il minimo senso del ritmo. Una cosa che mi colpì in particolare, guardando le foto dell’epoca, era la grande quantità di persone, la vera e propria esplosione demografica in corso, specie per l’arrivo di masse di emigrati, la nascita velocissima di città molto popolose: è un aspetto che ho voluto assolutamente portare nel film. Quando si vedono in una stessa inquadratura 2.000 persone, 200 cavalli, 200 carri, una locomotiva dell’epoca, è tutto vero: col digitale non puoi raggiungere la stessa veridicità, lo stesso suono.
Il film dunque racconta un episodio reale della storia americana, basandosi su documenti precisi: è la cosiddetta guerra di Johnson County, dove nel Wyoming i ricchi proprietari di bestiame assoldarono dei killer per sterminare i contadini immigrati, accusati di furto. Ero affascinato dall’idea di portare alla luce questo episodio, in cui degli americani uccidevano altri americani, in cui all’entusiasmo e all’incanto per la giovane nazione si mescolava un sentimento di depressione, di sconfitta degli ideali, di precoce consapevolezza; ed ero anche così ingenuo da credere che altri avrebbero provato il mio stesso interesse. Non sapevo che mi avrebbero odiato. Così sono passato dal trionfo di The Deer Hunter alle critiche devastanti rivolte a Heaven’s Gate, che hanno portato alla mutilazione immediata del film dai suoi originali 325 minuti a una versione di poco più di due ore.

(Michael Cimino, intervista realizzata a Bologna il 17 febbraio 2003)





Uno dei problemi più difficili è stato mettere assieme un numero sufficiente di artigiani in ciascuna categoria di produzione.
A un certo punto avevamo quattro squadre di costruzione al lavoro, due nel Montana (una ad est del Continental Divide, l’altra ad ovest, ambedue su terreno montuoso), un’altra a Denver (alla costruzione del treno che fu poi trasportato nel Montana e nell’Idaho), e una quarta squadra, la più grande, a Wallace, nell’Idaho, dove si costruiva il set più importante, la città di Casper. Oltre a questi c’erano i cow boy (che raggiungevano le 80 o 90 unità), più il regolare organico di produzione. Penso che il totale si aggirasse sui 400. Abbiamo avuto problemi enormi nel trovare così tante persone dotate e competenti, specialmente quando si trattava di specializzazioni in cui non c’è stata attività negli ultimi tempi: costruttori di ruote, sellai, gente capace di costruire carri. Il numero di quel tipo di artigiani sta diminuendo, e si stanno anche disperdendo perché non sono più concentrati nell’area di Hollywood. È un problema che affligge un po’ tutta la nuova Hollywood, anche in altri generi, come la fantascienza e gli effetti speciali. I produttori devono sempre affrontare la possibilità di dover assumere personale ormai non più attivo per fare lavori speciali.

Nel Montana il tempo era talmente variabile che spesso nello spazio di una sola giornata ci poteva essere il sole, nevicare, piovere, fare caldo e gelare. A volte sembrava anche che le quattro stagioni si susseguissero nel corso di una mattinata. Nevicò per la maggior parte di giugno, luglio e agosto, e fu incredibilmente caldo in ottobre e novembre. Si poteva avere trovato il luogo più incredibilmente bello e avere il rischio che il cielo diventasse nuvoloso. Le nuvole si muovono col vento che le soffia, mentre il sole è lassù nel punto più perfetto oltre la montagna, e la montagna ti fa aspettare, e tu ti siedi lì e devi decidere se girare con la luce che non c’è, o aspettare che migliori, il che potrebbe anche non succedere. Quando si devono rispettare dei limiti di tempo e di soldi, e si hanno centinaia di persone attorno, bisogna prendere decisioni del genere tutto il tempo.

La città si chiamava Sweetwater ed era stata costruita sulle sponde del Two Medicine Lake, che si trova appunto nel Glacier National Park. È lì che abbiamo costruito un insediamento di emigranti, completo di chiesa, pista di pattinaggio, tende varie, bar e ristoranti. Per proteggere l’ambiente naturale del Parco si dovette posare l’intera città, strade comprese, su di una piattaforma sollevata di un metro dal suolo: non era possibile costruire direttamente sul terreno e il lavoro fu complicato e difficile. Naturalmente, alla fine delle riprese dovemmo smantellare tutto, e riportare il luogo allo stato in cui era prima del nostro arrivo.

Il copione richiedeva un albero di notevoli dimensioni, e il cortile dell’unico college di Oxford che soddisfacesse alle nostre esigenze ne era privo. Fortunatamente riuscimmo ad accordarci con la direzione del college per sistemarvene uno. Ma ci serviva di dimensioni tali (15-20 metri) da superare largamente quelle concesse dai regolamenti britannici sui trasporti stradali. Così l’albero dovette venire segato in centinaia di pezzi e rimontato con viti e tiranti sul luogo della scena. Lo si dovette numerare tutto, pezzo per pezzo, e per tenerlo in piedi occorsero circa 40 tonnellate di cemento. Fu proprio un lavoro imponente, e ci vollero diversi mesi per trasportarlo sul luogo e rimontarlo tutto.

(“American Cinematographer”, n. 11, novembre 1980)



La storia del West in generale è stimolante, rigurgita di avvenimenti, è una continua fonte di fascinazione. L'episodio di questa piccola guerra, quando mi ci sono imbattuto, mi ha affascinato, non so bene perché. Forse perché era soprattutto la morte stabilita formalmente sulle liste, ufficializzata dal governo centrale e da quello federale. Ciò che mi ha sempre interessato è di capire come si prendono delle decisioni che porteranno alla morte di persone. MacNamara, Kissinger e gli altri, questo gruppo seduto intorno a un tavolo che prende decisioni politiche sul Vietnam: più bombe? Più truppe? Le loro decisioni comporteranno sempre la morte di migliaia di persone. […] un gruppo di uomini seduto intorno a un tavolo, nella suite di un hotel, mentre consumano la colazione o il pranzo, mangiano cibi prelibati e raffinati, discutendo molto tranquillamente del numero di persone da uccidere….

(“Cahiers du Cinéma”, n. 337, 1982)