Un esordio fra Bresson e Hitchcock (verso la nouvelle vague)
Nel 1940, all'inizio dell'occupazione, la famiglia di Malle si stabilì a Parigi, dove Louis e i suoi fratelli vennero mandati a scuola dai gesuiti, prima di entrare nel collegio dei carmelitani a Fontainebleau. [...] Più tardi Malle seguì i corsi di Scienze politiche alla Sorbona, e quelli di cinema all'IDHEC, l'Institut des Hautes Études Cinématographiques. Al termine del primo anno all'IDHEC Malle venne assunto dal comandante Cousteau, e dopo tre anni a bordo della Calypso la sua carriera di cineasta si poteva dire avviata. Un breve incontro con Jacques Tati, e poi la collaborazione con Robert Bresson, precederanno il suo debutto nella fiction, che avvenne con Ascensore per il patibolo.
Poiché Henri Decaë, il suo capo operatore, aveva lavorato ai primi film di Claude Chabrol e di François Truffaut, venne associato, sia dalla critica sia dalla cronaca mondana, a questi ultimi. I collaboratori dei "Cahiers du cinéma" lo salutarono come uno di loro, e Truffaut fece l'elogio di Les amants e Zazie nel metrò. Ma, al contrario di Godard o Truffaut, i suoi film non attiravano la massiccia attenzione della critica, e si vedeva in lui un tradizionalista più che un iconoclasta. A dire il vero, le frequenti controversie sollevate dai suoi film hanno a che fare più con il soggetto che con il modo di trattarlo; sarebbe quindi più giusto vedere in questo artigiano meticoloso un innovatore della tradizione più che un suo acritico seguace.
Tra i cineasti della sua generazione, molti si sono perduti per strada, e spesso assai in fretta. Tra il 1959 e il 1963, settanta registi francesi girarono il loro primo film, ma la maggior parte di essi si fermò a questo punto. In un articolo intitolato Nouvelle Vague or Jeune Cinema ("Sight and Sound", inverno 1964-1965), il critico Gilles Jacob scriveva profeticamente: "Tra questo germogliare di talenti nuovi e disuguali si è prodotta una selezione naturale, e oggi è possibile fare una specie di bilancio: un regista di statura internazionale, Resnais, che lascerà certamente il suo nome nella storia; un altro, Godard, esasperante e incline all'autocompiacimento, ma che possiede uno stile e un universo propri ed è forse il più dotato della giovane generazione; altri sette - Astruc, Demy, Franju, Malle, Marker, Truffaut, Varda - che non hanno probabilmente ancora espresso tutte le loro potenzialità; e infine registi che rappresentano ancora degli interrogativi - Jessua, Rozier, Sautet, Enrico, eccetera - perché, quale che sia il talento dell'autore, il primo film è obbligatoriamente, se non autobiografico, almeno estremamente personale, quasi una confessione".
(Philip French)
Quando realizzai Ascensore per il patibolo scelsi deliberatamente di partire da un libro che era un thriller, consapevole di fare qualcosa che sarebbe stato venduto all'industria cinematografica come un film di serie B. Naturalmente, ero molto ambizioso, e il fatto di lavorare con Roger Nimier, anziché con gli sceneggiatori che mi erano stati raccomandati, rivelava tutte le speranze che riponevo nel film. Adesso, quando rivedo il film, mi rendo conto che riuscii - poiché esisteva una trama, che però era solo una specie di ossatura - a introdurre certi temi che, senza dubbio a livello inconscio, erano per me così importanti da ricomparire in seguito nel mio lavoro. Ma volevo anche fare un buon thriller. Il buffo è che ero davvero diviso tra l'enorme ammirazione per Bresson e la tentazione di fare un film alla Hitchcock. Così, in Ascensore c'è qualcosa dell'uno e dell'altro. In molte scene, specialmente all'interno dell'ascensore, cercai di emulare Bresson. [...] Al tempo stesso imitavo Hitchcock nel tentativo di fare, forse con un po' di ironia, un thriller che funzionasse bene. La suspense, i colpi di scena... chiaramente, dal punto di vista stilistico, a parte il fatto che era il mio primo lavoro e quindi pieno di goffaggini, ero più vicino a Bresson. Così mi trovavo in mezzo ai due. Oltretutto, volevo ritrarre la nuova generazione... attraverso i personaggi dei ragazzi (quei ragazzi di periferia che allora erano chiamati blousons noirs perché indossavano tutti giubbotti di pelle nera), e descrivere una nuova Parigi, andando oltre la Parigi di René Clair narrata tradizionalmente dai film francesi. E volli anche mostrare uno dei primi edifici moderni di Parigi. Inventai un motel... ce n'era solo uno in Francia e non era vicino a Parigi, e così dovemmo girare in Normandia. Non mostrai una Parigi del futuro, ma in fin dei conti una città moderna, un mondo già disumanizzato. Non ero consapevole, con Ascensore per il patibolo, di fare qualcosa di personale; lo consideravo piuttosto un esercizio.
(Louis Malle)
Ascensore per il patibolo rappresenta un esercizio di rilettura del noir. Considerate le influenze cinematografiche dichiarate da Malle, teoricamente si potrebbe interpretare il film come una decostruzione bressoniana di Hitchcock. Dopotutto, Ascensore - al livello più evidente - affronta temi hitchcockiani, ma ignora la tendenza così diffusa nel thriller e nel film di suspense di procedere velocemente ed efficacemente alla risoluzione e all'epilogo, e invece utilizza una lenteur tipica del cinema di Bresson. Si tratta di un approccio problematico, che può condurre a etichettare l'inerzia come un difetto, quando invece - se si evita un approccio o interpretazione stilistica - appare evidente che il ritmo serve ad approfondire e arricchire i temi della narrazione.
(Nathan C. Southern, Jacques Weissgerber)
Nel film si intrecciano varie suggestioni poliziesche. Dal giallo di stampo classico, che fa leva sul più convenzionale dei moventi, al racconto d'enigma alla Boileau & Narcejac; c'è persino l'espediente della camera chiusa dall'interno che fa tanto preistoria del poliziesco (Gaston Leroux). Malle non ha paura di sporcarsi con il genere, nel senso che l'intrigo non è un pretesto per una sperimentazione linguistica. Il suo scopo è la suspence. Solo che per raggiungerlo esce in strada a e applica ai personaggi - specie a Jeanne Moreau (Florence) - una specie di tecnica del pedinamento che da una parte serve a definire meglio un personaggio disorientato, dall'altra apre la scena al contesto. Una Parigi non fittizia irrompe nelle inquadrature quasi senza controllo. Florence cammina e tutto ciò che la circonda accade senza che il regista possa intervenire. Rifiutando spesso di ricorrere alle riprese in studio e lavorando con una troupe leggera, quasi mimetizzata fra la gente, Malle davvero anticipa la libertà espressiva che i teorici della Nouvelle Vague identificheranno nella caméra stylo e in una manciata di 'dogmi' quali il suono in presa diretta, la macchina da presa instabile, il ritorno ad una verità impedita dal lavoro negli studi e dall'esaltazione spettacolare della finzione. È chiarissimo come in Ascensore per il patibolo la messa in scena si faccia linguaggio, non ha dunque la sola funzione di illustrare il testo letterario di riferimento. Ed è la stessa consapevolezza estetica che sarà alla base della Nouvelle vague.
(Mauro Gervasini, Cinema poliziesco francese, Le Mani, Recco 2003)
Malle è interessato soprattutto al comportamento dei personaggi, la sua messinscena trova il proprio stile attraverso l'attenzione particolare riservata agli oggetti (tutto ciò che riguarda i tentativi di fuga dall'ascensore di Julien ricordano Un condannato a morte è fuggito) e la rappresentazione di personaggi che si abbandonano all'erranza propria dei film della Nouvelle Vague. All'uscita del film la critica 'referenziale' citerà i nomi di Roger Vadim (la disinvoltura), Robert Bresson (i primi piani) Alexandre Astruc (il lato intellettuale), sottolineando anche un'economia del racconto e un'abilità all'americana simile a quella di Jean-Pierre Melville.
(René Predal)
Oggi possiamo constatare che Louis Malle ha conosciuto pochi fallimenti clamorosi. Fin dall'esordio ha saputo amministrare piuttosto bene la sua carriera; anche se la varietà dei suoi soggetti e l'assenza di uno stile omogeneo hanno spesso sconcertato i critici, la sua opera possiede una rara coerenza, di cui egli stesso non era inizialmente consapevole. A questo proposito, si impongono tre riflessioni.
In primo luogo, dopo II mondo del silenzio e Ascensore per il patibolo, Malle ha seguito un duplice percorso, o piuttosto ha mescolato due generi, il cinema di fiction e il documentario. Una peculiarità, questa, che risalterà solo nel 1970, al momento dell'uscita dell'originalissima serie di L'India fantasma.
In secondo luogo, Ascensore per il patibolo contiene, seppure in forma embrionale, la maggior parte delle tematiche e delle preoccupazioni che saranno trattate in modo più approfondito in seguito: un disprezzo venato di attrazione per l'ipocrisia della classe borghese, il jazz, il suicidio, il mondo degli adulti visto da una gioventù permeata di una pericolosa innocenza, uno sfondo politico sul quale si evolvono i protagonisti e che si riflette nel loro comportamento, individui prigionieri del loro destino, il potere distruttivo della passione carnale, l'arte di cogliere una determinata società nell'esatto momento in cui sta cambiando, il bisogno di disorientare e sconcertare, il rifiuto di dare direttamente un giudizio morale. Uno dei pochi elementi che mancano in quel film è l'anticlericalismo.
Infine, nel 1958 Louis Malle ha rilevato la Nouvelles Éditions de Films, società fondata da Jean Thuiller, per produrre il film di Bresson Un condannato a morte è fuggito, poi Ascensore per il patibolo e Les Amants. Questa piccola società, con sede a Parigi in rue du Louvre, ha coprodotto la maggior parte dei film di Malle. [...] Vi sono solo tre film di cui Louis Malle non fu totalmente responsabile: Vita privata, l'episodio William Wilson, realizzato per Tre passi nel delirio e Crackers. Riconoscere quindi nella sua opera una progressione e un'evoluzione continua costituisce un omaggio alla carriera di un uomo che è stato artefice del suo destino in un modo che non si riscontra spesso nel cinema.
(Philip French)