This Is the End: il Vietnam di Coppola

This Is the End: il Vietnam di Coppola

Apocalypse Now non è un film sul Vietnam; è il Vietnam
(Francis Ford Coppola)

Apocalypse Now è un film contro la guerra del Vietnam? Quasi tutti coloro che vi furono coinvolti, da Francis in giù, erano contro la guerra. Tutti tranne me - sono militarista e anarchico, per assurdo che possa sembrare. Non che io fossi per la guerra. Ma ero dalla parte dei soldati americani che l'hanno combattuta, e volevo che il film riflettesse questa posizione.
(John Milius)

Per me, un film politico non è un film che discute di politica, è un film che cambia lo spirito della gente su un determinato argomento.
(Francis Ford Coppola)

 



Apocalypse Now
è incontestabilmente il film sulla guerra del Vietnam. L'opera di Coppola si pone, di fatto, quale termine di paragone di ogni altra pellicola prodotta sul conflitto vietnamita e si presenta come l'interpretazione più affascinante e più complessa che la cinematografia americana abbia dato del Vietnam. [...] Per comprendere le ragioni che hanno fatto sì che Apocalypse Now assurgesse a paradigma, bisogna fare un passo indietro e osservare le caratteristiche stilistiche generali della magmatica materia del Vietnam movie. Questa massa di film, da un punto di vista formale, può essere divisa in due grossi blocchi: da un lato vi sono le pellicole che tentano un approccio realistico all'argomento, dall'altro quelle che invece danno della guerra del Vietnam una rappresentazione onirico-allegorica. Il primo gruppo, che trova il proprio tipo ideale in Platoon, è quello quantitativamente più consistente e comprende pellicole anche molto diverse tra loro, drammi psicologici come Streamers e apologhi politici come Nato il quattro luglio. Il secondo si riduce sostanzialmente a tre film: Il cacciatore, Apocalypse Now e Full Metal Jacket. Queste opere, nonostante le differenze che le separano, sono accomunate da una trattazione antirealistica della materia. Tale impostazione stilistica, attraverso metafore e citazioni colte, le conduce al di fuori dei limiti angusti del Vietnam movie per organizzare un discorso più ampio sull'esperienza bellica in quanto tale e sulla natura della civiltà occidentale. [...] A nostro giudizio, sono questi i film più significativi realizzati sul Vietnam, e lo sono perché l'iperbole e l'allegoria si presentano come gli unici mezzi per sfuggire sia alle insidie (di natura estetica) della rappresentazione realistica di una guerra che fu trasmessa in diretta televisiva, sia al didatticismo del cinema politico. [...] Se è stato proprio Apocalypse Now a diventare il film per antonomasia sulla guerra del Vietnam, è perché Coppola, all'interno della triade citata, è stato il regista che ha portato alle estreme conseguenze quella scelta stilistica che, come si è visto, accomuna i tre autori. Quella di Coppola è l'opera che opta in maniera più radicale per una rappresentazione della guerra in chiave milico-onirica. Apocalypse Now inscrive il tema del Vietnam all'interno di uma fitta rete di rimandi di natura letteraria e cinematografica che trascendono il soggetto stesso e concorrono a creare una struttura estremamente stratificata.

(Giaime Alonge, Tra Saigon e Bayreuth. Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, Tirrenia Stampatori, 1993)




Il Vietnam è lontanissimo: questo è il principale rimprovero che fanno al film sia Stanley Kubrick, che in Kurtz vede una specie di King Kong (e non ha tutti i torti), sia Brian De Palma, che vi vede Attila (e nemmeno lui ha torto). Volendo si potrebbe parlare anche del Minotauro. Date qualcosa di reale a Coppola e lui lo tramuta in mito. Pertanto, non pare così opportuno muovergli questa accusa. Dopotutto, Apocalypse Now racconta forse meno del Vietnam di quanto riesca a fare il melodramma di Michael Cimino, Il cacciatore, uscito prima ma lanciato soltanto in seguito? O del manicheo Platoon di Oliver Stone? O ancora dell'astratto Full Metal Jacket girato a Londra da Kubrick? Apocalypse Now è un viaggio in cui la percezione fluttuante appare offuscata dalle droghe, ma descrive una delle tante realtà della guerra: quella della confusione. "Soldato, tu lo sai chi comanda?" ripete Willard sfinito, fino a quando un soldato risponde "Certo", senza aggiungere altro. Non comanda più nessuno, l'esercito è stato decapitato, l'America ha perso il proprio asse portante. Ogni colonnello (come Kilgore) si comporta da tiranno e Kurtz non ne è altro che la mostruosa caricatura, un dio scolpito vivente. Lo Stato Maggiore si trova a Saigon, mangia bene, vive civilmente, si tiene lontano dalla realtà della giungla. È questo il senso della lunga scena in cui a Willard viene affidata la sua missione.

(Stéphane Delorme, Francis Ford Coppola, Cahiers du Cinéma, 2007)