Sul set di Amarcord

Sul set di Amarcord

L'avvocato riminese Luigi Titta Benzi, l'amico d'infanzia di Fellini rimasto tale per tutta la vita, considera Amarcord una fotografia di gruppo della sua famiglia, con al centro papà Ferruccio. Colui che Titta stesso, vanamente sollecitato dall'autore, avrebbe dovuto impersonare ma non se la sentì. Del tutto simile alla sua è la reazione dell'intera cittadinanza, che in un'affollata anteprima, si reca a identificare, fra l'entusiasmo generale, tipi realmente vissuti e situazioni autentiche. È proprio la reazione che Federico temeva e che ha fatto di tutto per evitare: a cominciare dalla decisione di non girare nemmeno un metro di pellicola sull'Adriatico (vale per Amarcord e anche per tutta l'opera dell'autore), ma di ricostruire l'intero panorama. A cominciare dal borgo ideato ed eretto a Cinecittà a cura di Danilo Donati, inglobando molti elementi riminesi e per il resto inventando a ruota libera.
Fellini ha scritto il copione a quattro mani con il poeta Tonino Guerra, nato a Sant'Arcangelo di Romagna distante pochi chilometri da Rimini, e intrecciando quindi memorie comuni.  Ai giornalisti, attento a non rilevare segretidi bottega, il regista annuncia che sta girando un film di fantascienza intitolato L'uomo invaso: e quando per vie traverse si viene a sapere che il titolo vero è Amarcord, l'interessato corregge la grafia in Hamarcord e lo presenta come l'avventura di uno scienziato svedese.
Tra un giochetto e l'altro il lavoro procede con ritrovata allegria e il risultato si annuncia promettente. Al posto di Titta Benzi, nel ruolo del padre Fellini sceglie un figurante poco noto, Armando Brancia, sua moglie sarà la grande attrice napoletana Pupella Maggio e il giovane Titta andrà a Bruno Zanin, in seguito scritturato anche da Giorgio Strehler per le Baruffe chiozzotte. Sandra Milo, prevista per Gradisca, si ritira all'ultimo momento e viene sostituita da Magali Nöel. Le riprese si svolgono nell'estate del 1973.
(Tullio Kezich)


Rimini (e il Rex) ricostruiti a Cinecittà

Rispetto a Roma, con Amarcord eravamo più lontani con la memoria, e la memoria abbellisce anche le cose più brutte. E un viaggio nel passato, visto con occhio critico, e il fascismo è visto con un occhio ironico. In un'intervista a Enzo Biagi, parlando del fascismo Fellini disse: “Se non siamo cresciuti tutti cretini è un miracolo”. La parte predominante di Rimini, le due piazze, il corso, la chiesa e il passaggio notturno del Rex, della Mille Miglia, il raccordo anulare fino al blocco di auto davanti al Colosseo, nonché la stazione da dove arriva il gerarca fascista per festeggiare il 21 aprile, sono state ricostruite a Cinecittà. La sagoma del Rex fu costruita come un puzzle, migliaia di pezzi realizzati in un teatro di posa e poi incollati sul fondale della piscina di Cinecittà. Le uniche cose vere del Rex erano il fumo dei fumaioli, direzionato da ventilatori, le lampadine dei pavesi e degli oblò e un getto d'acqua che io osai mettere davanti alla prua per dare l'impressione del movimento della nave. Quando Federico l'ha vista, mi ha chiesto preoccupato: “Non sembrerà vera?”. Gli risposi: “No, stai tranquillo, darà solo l'emozione del movimento”. La cinepresa che inquadrava il passaggio del Rex era posizionata su una grande piattaforma con sopra sistemate le sezioni di alcune barche sulle quali erano seduti i personaggi del film per assistere e festeggiare il passaggio della fantastica nave. Per dare l'impressione del movimento, la piattaforma carrellava nella direzione opposta a quella del Rex con tutto il suo carico, cinepresa e sezioni di barche con dentro alcuni personaggi. Lo stesso artificio lo abbiamo usato in misura più vasta nella partenza della nave nel film E la nave va. L'imbarco per la serata del passaggio del Rex l'abbiamo girato a Fiumicino, stavamo girando un tramonto e gli ho detto: “Federico, abbiamo il sole dalla parte sbagliata! A Rimini non tramonta in mare”. “Sto qui per quello!”, mi ha risposto.
(Giuseppe Rotunno)








Gli attori

Ero arrivato a Roma da Lipari, dove, dopo la fuga da casa, ero vissuto alcuni anni fabbricando collanine, sulle tracce di un’avventuriera a cui avevo prestato centomila lire senza riaverle indietro, erano soldi che mi servivano per comprare il materiale per il mio lavoro, filo e perline. I suoi figli lavoravano come comparse, quindi li avevo seguiti a Cinecittà sperando di essere preso anch’io per un western, ma nonostante i miei capelli lunghi mi avevano scartato. Ero deluso, arrabbiato, quando vidi la fila interminabile davanti alla porta dello Studio 5. Mi misi in coda anch’io per vedere il grande Fellini. Lui entrò, con certe madonne addosso, scontento di tutte quelle facce che gli sottoponevano per i provini. Io avevo una consuetudine di visioni, preveggenze. Cose strane, che non capivo. Oggi credo siano fenomeni isterici, qualcosa che succede a persone cui il dolore ha acuito la percezione e che non hanno più i muri, sono trasparenti. Quando ho visto Fellini devo avergli mandato un messaggio come a dire 'prendimi' e ho provato una grandissima emozione, come se mi avesse 'trovato'. Come se lui avesse visto chi ero sotto le maschere che portavo. Vivendo sulla strada, dovendo sopravvivere, ero diventato Zelig.
(Bruno Zanin)




Telefonate su telefonate per avermi in Amarcord! Però io ero riluttante. Lui che diceva: “Vieni, ti troverai come in famiglia!”. Il provino viene un incanto. Rincaso in fretta perché avevo fatto tutto di nascosto da mio marito, che era contrario. Federico mi accompagna fino alle scale di Cinecittà. Mi decido a raccontarlo a mio marito. Apriti cielo, un casino! Non voleva e non voleva... Persino una mia amica intercede per me, io ci tenevo a quel film, dopotutto avevo avuto tanta cattiva stampa per anni, con la storia del processo, delle decine di cause, anche se non c'entravo per niente, quell'immagine mi rimaneva appiccicata addosso... Non ci fu nulla da fare. Mio marito disse che mi amava troppo per rischiare di perdermi, che ce l'aveva messa tutta per staccarmi da quel mondo e non concepiva che mi ci riavvicinassi... Dovetti telefonare a Fellini e dirgli che non potevo fare il film. Lui mi inviò cento rose rosse con un biglietto affettuoso e disperato...
(Sandra Milo)

Aveva un cuore grande così. Faceva venire sul set tanti amici, gente che conosceva in strada, personaggi anche stravaganti dì cui amava circondarsi. Sul set di Amarcord c'era un'anziana signora, elegante, sempre in disparte. Un giorno gli chiesi chi fosse, e lui mi raccontò che era stata una grande diva del muto, ma che ora ottantenne non lavorava più e per questo luì la faceva partecipare. Ma era capace anche di odiare: è capitato diverse volte che il protagonista del suo film non gli andasse a genio. Poi, non voleva che si imparassero le battute a memoria. Eravamo molto legati con Federico e Giulietta, ogni volta che venivo a Roma dormivo da loro. Spesso Federico prendeva gente qualunque per le strade di Roma. Mi ricordo di uno che stava sempre a Piazza del Popolo e si chiamava Capitano e seguiva le riprese. Erano pronti a girare dopo un'ora e mezza di prove per mettere a punto la partenza della carriola con il cavallo dopo la morte della madre di Titta. Federico dice: “Bene a me piace così!”. Nel silenzio prima del ciak si sente la voce di Capitano: “...E a me per niente!”.
(Magali Nöel)


Pur avendo lavorato in passato con altri registi di talento, devo ammettere che essere diretti da Fellini è un'esperienza unica. Mi ha veramente affascinato grazie alla sua comunicativa e umanità; credo di aver imparato molto di più in questi giorni sul set di Amarcord che in tutta la mia carriera.
Neppure Fellini sapeva se lo zio fosse matto o saggio. Oppure lo sapeva troppo bene e non voleva dirmelo, per lasciarmi libero di inventare e perché mi illudessi di recitare a soggetto. Fellini è un personaggio unico, un uomo squisito. Io ero reduce da un'ulcera perforata, che mi aveva portato faccia a faccia con la morte. Risentirmi vivo, impegnato nel lavoro, spalla a spalla per otto giorni con Fellini, è stato il modo migliore di ricominciare a vivere e di ritrovare energie, entusiasmi, progetti, di ricominciare a lavorare serenamente.
Avevo rifiutato il ruolo di Amarcord. Prima perché stavo male, poi per incoscienza mia. Ho letto il copione, e ho visto che c'era soltanto una battuta. “Voglio una donna”. Dico: “E il resto? Io, che vengo da una lunga malattia, vorrei rientrare con una cosa almeno...”. Lui ha detto: “Però, se non la fa Ciccio, questa cosa, io la taglio”. Dopo tre mesi mi ha ritelefonato, proprio lui in persona, per dirmi: “Ti pregherei di venire a Cinecittà. Teatro 5”. E allora? Lo faccio. Ci vado. Ha cominciato a invitarmi ogni giorno. “Vieni qui, mangiamo insieme”. Lui aveva due camere, bagno e cucina al Teatro 5, ci dormiva, si faceva cucinare, ci mangiava. E Bevilacqua era il suo factotum, il suo elettrodomestico, come lo chiamavo io. Bevilacqua gli faceva pure il bagno. Così ho finito per accettare la parte.
Un giorno mi hanno lasciato sull'albero. Quest'albero di Amarcord non era un albero vero, era un albero costruito, quindi per salire era una tragedia. “Attenzione, non me lo rompete!”. Se io stavo seduto sull'albero, non potevo più scendere, se qualcuno non mi aiutava. Noi giravamo a cavallo tra il giorno e la notte. Quindi bisognava far presto. Rotunno, mentre io stavo sopra l'albero, dice a Fellini: “Federico, qua non ce la facciamo, il cielo è tutto rosso”. “Così dici?... Allora, signori, a domani”. Alla parola: “Signori, a domani” tutti se ne vanno, elettricisti, macchinisti, tutti scappano. E io vedo da lontano che tutti se ne vanno via e io rimango sull'albero. Cosa faccio? C'era un contadino. Dico: “Pasquale, ma cosa fanno? Se ne vanno? E io?”. “Che ne so, tu stai là. La scena è per domani, forse”. Allora io dall'albero comincio a gridare: “Voglio una scala, voglio una scala”. Così mi hanno sentito e mi hanno fatto scendere. Perché, se non c'era la scala, io sarei rimasto tutta la notte lì.
(Ciccio Ingrassia)





La luce di Amarcord

L'atmosfera creata con la luce era dolce, più ovattata, più distante, più affettuosa, è vista con un occhio più tenero, a volte critico, ma mai severo. Durante la preparazione di Amarcord, Federico mi disse più volte: “Ho un'idea per il film”, senza mai spiegarmi quale fosse, finché all'ennesima sua dichiarazione chiesi: “Spero mi vorrai dire la tua idea prima che cominciamo a girare”. Mi guardò con affetto e mi disse: “Vorrei fare un film come i quadri di Graziolina”. Il progetto della fotografia di un film deve avere una grande elasticità, non deve perdere le sue prerogative, altrimenti non ce la fai a seguire la regia anche nei suoi cambiamenti. Con Fellini, per esempio, usavamo pochissime parole, convenute sin dai nostri primi incontri: barzot (leggermente sotto tono), very barzot (sottotono), black (nero), che servivano per mettere più o meno in evidenza, abbassare o aumentare la densità luminosa secondo le necessità del personaggio. Ci sono molti personaggi che appaiono e scompaiono senza una ragione logica ma salvaguardano l'efficacia del racconto, e solo il regista può decidere se e quando può accettare dei suggerimenti; mettere in ombra la faccia di un personaggio necessita del suo consenso. Spiego sempre al regista quello che si vedrà sullo schermo. L'occhio è automatico, si apre e si chiude secondo la densità luminosa che riceve. La fotografia ha una visione obiettiva, stabilita dal diaframma e non si vede di più o di meno di quello che viene fotografato.
(Giuseppe Rotunno)



L'uscita e il trionfo internazionale

Amarcord esce in Italia il 18 dicembre 1973 ed è un successo quasi senza riserve. L'aggettivazione dei critici è più cordiale del solito: il film è definito affabile, simpatico, semplice, delicato, equilibrato, pulito, sereno, elegiaco, adulto, esuberante, civile. Si parla di un album di ricordanze, di summa, di realismo magico, di artista giunto al vertice dell'arte sua. C'è qualche nota discordante che riguarda l'usura del mondo poetico, le ripetizioni, l'insistenza caricaturale, la volgarità; ma sono rilievi di minoranza. L'8 maggio 1974 il film inaugura, fuori concorso, il Festival di Cannes. Fellini e la Masina sono presenti alla serata, aperta da un omaggio di Jean-Claude Brialy all'Accademico di Francia René Clair, 76enne presidente della giuria, di cui il celebre Entr'acte (1924) viene proiettato prima di Amarcord. La serata è un successo memorabile e il giorno dopo un giornale definisce Fellini “parente di Molière, Balzac, Daumier, Goya e Pagnol”. Eccellente anche l'accoglienza del pubblico francese al film, che esce subito in programmazione normale. […] La notizia che Amarcord ha ottenuto l'Oscar per il miglior film straniero arriva nelle prime ore del 9 aprile 1974: è il quarto Academy Award di Fellini dopo quelli tributati a La strada, Le notti di Cabiria e 8 1/2. Impegnato nella preparazione di Il Casanova, oltre che scettico sull'assegnazione del premio, Federico non ha voluto andare a Los Angeles: la statuetta viene ritirata dal produttore Franco Cristaldi. Fellini va invece a New York in agosto, con Tonino Guerra e Giulietta, per l'uscita americana del film: un trionfo su tutta la linea.
(Tullio Kezich)