Il film secondo la regista e secondo la critica

Il film secondo la regista e secondo la critica

Non si tratta di un affresco psicologico né realista nel senso tradizionale dei termini. È piuttosto l'immagine di un certo modo di capire e di vivere la propria vita attraverso la storia volutamente esagerata di queste due ragazze che, per così dire, non sono se stesse. In quanto esseri umani, non sono disposte ad accettare, dare e creare la loro vita e il loro mondo, e quindi la vita ed il mondo degli altri. Vivono da parassiti, e non solo nei riguardi dei loro simili, ma anche, ed è essenziale, nei riguardi di se stesse. Di fatto non hanno passato, poiché non hanno mai provato nulla, ed ognuno può intrecciare ed immaginare il loro passato a suo modo... Se ci sforziamo di descrivere questo modo di vivere e questi rapporti, è prima di tutto perché noi, e con noi gli spettatori, possiamo capire e vivere la loro realtà -queste illusioni e queste disillusioni, questa verità della menzogna. Non è nostra intenzione criticare queste due ragazze, che sono tanto stravaganti quanto insulse, si tratta per noi di criticare un tal genere di vita, di cui ognuno di noi porta più o meno gli elementi della propria vita, tipica o comune. Si tratta quindi di una specie di necrologia alla superficie di un certo tipo di vita, del pericoloso bisogno di prestigio che l'Uomo prova in sé e che lo porta a posare fino alla morte, all'impossibilità di essere se stesso, e quindi all'impossibilità di essere felice. Queste riflessioni esplorano la disperazione dell'uomo che non ha neanche tentato di cercare il significato della sua vita.
Věra Chytilová, in “Positif”, n. 81, 1967


Storia di due ragazze di nome Maria, Le margheritine è una metafora della distruttività della natura umana applicata alla civiltà moderna in generale e al sistema comunista in particolare. Le ragazze, piccole demolitrici irriverenti e imbronciate capaci di esercitare una forza devastatrice, rappresentano in chiave satirica la crisi contemporanea dei valori e una visione grottescamente deformata del futuro. Una bruna e l’altra bionda, nelle loro apparizioni pubbliche le due sono intercambiabili. Il subbuglio maniacale che causano è presentato con un’estetica giocosa e un gusto sofisticato mettendo in contrasto le immagini documentarie e le manifestazioni più incivili del mondo moderno. La totale distruzione perseguita dalle ragazze è provocata dalla noia e dal desiderio di cambiamento: le due Marie ambiscono a un mondo di assoluta libertà e fantasia e del tutto privo di scrupoli. La regista Věra Chytilová si rifiuta di risparmiare le sue protagoniste e fa letteralmente a pezzi le loro controparti maschili. L’autrice rispetta solo i sentimenti autentici, il vero lavoro, e usa creativamente una forma di ironia aggressiva per giungere a un finale moralizzante. La sua visione drammatica non poteva funzionare senza il contributo di collaboratori di talento: Pavel Juráček, che partecipò alla sceneggiatura, Ester Krumbachová, cosceneggiatrice, costumista e scenografa, e Jaroslav Kučera, direttore della fotografia. Kučera alterna bianco e nero, immagini a colori e virate, mentre il montaggio si ispira ai principi del montaggio intellettuale, del montaggio delle attrazioni e del collage visivo. La musica d’accompagnamento ironizza e in parte patetizza l’azione. La critica degli anni Sessanta non vide nel pessimismo di Chytilová una profonda esigenza morale, e nel 1966, in seguito all’intervento di 21 parlamentari, il film fu ritirato dalle sale a causa del suo presunto messaggio nichilista, anche se fu nuovamente distribuito l’anno successivo. Con la sua follia Le margheritine offrì al pubblico una straordinaria protesta artistica e una sensazione di disagio morale, com’era negli intenti della regista. Circolò nei cinema d’essai anche dopo la ‘normalizzazione’ come un raro esempio di libero pensiero.
Briana Cěchová, Catalogo Cinema Ritrovato 2013, Edizioni Cineetca di Bologna, Bologna 2013


Mentre nel film Qualcosa d'altro la regista sintetizzava l'autenticità del documentario con elementi del film di finzione, la pellicola successiva, Sedmikrásky (Le margheritine, 1966), per quanto riguarda il genere era stata concepita dalla regista, in una stilizzazione estrema, come una parabola, di sicuro sganciata dalla realtà “in maniera surreale”, ma che a essa reagisce con il proprio messaggio ideologico come una ‘moralità’ estremamente attuale. Questa posizione sarà per la Chytilová anche in seguito più che tipica, senza riguardo per l'aspetto formale dei film o per gli attori professionisti o non professionisti
La trama delle Margheritine assomiglia in sostanza a un assurdo nonsense. Le due ragazze, delle quali non verremo a sapere nulla di più preciso, decidono di distruggere e di svilire tutto ciò che è intorno a loro, e questo progetto di distruzione totale - condotto come un gioco divertente e temerario in cui tutto è permesso – è portato a compimento con coerenza fino alla loro stessa rovina.
Il compito delle attrici non professioniste, che erano state scelte con riguardo soprattutto alla loro indole, alla innata voglia di giocare, all'esibizionismo e all'inclinazione per le bravate più folli, era quello di eseguire totalmente le istruzioni riguardanti le azioni devastatrici, il che significava divenire malleabili ‘bambole per giocare’, che si lasciavano condurre dalla regista come marionette coi fili: questa predisposizione dei personaggi veniva del resto già segnalata nel prologo del film, dove le due Marie (l'identità dei loro nomi, presenti soltanto nella sceneggiatura, sta a significare fin dall'inizio che si tratta in sostanza di personaggi identici, due versioni di uno stesso tipo) iniziano a muoversi a scatti e a camminare a piccoli passi incerti, come guidate da fili invisibili nelle mani di un burattinaio. Lo scricchiolio dei cardini di legno nella colonna sonora non faceva che confermare questa evidente similitudine.
L'eccentricità dell'aspetto esteriore delle due ragazze (gli occhi truccati da vampiro, i vestiti stravaganti) corrisponde al loro comportamento alquanto insolente e fuori luogo: con malcelata voluttà esse commettono azioni comunemente giudicate scandalose, si divertono malignamente a danno delle vittime prescelte, si sbellicano dalle risate sia a spese degli altri che di se stesse. Tutti i faux-pas e le esibizioni sfrenate erano naturalmente ascritte a queste figure dalla volontà esterna della loro creatrice. Si pretendeva da loro che si abbandonassero a ogni mascalzonata con una spontaneità libera da pensieri e preoccupazioni, e con una gioia che derivava dalla loro depravazione ‘stupendamente perfetta’. Il tema della rivolta liberatoria dei personaggi del film è stato quindi paradossalmente realizzato come un ordine dettato ‘dall'alto’ ed eseguito passivamente.
I dialoghi e qualsiasi intervento parlato si limitavano alla più elementare comunicazione, alla descrizione di una situazione o alla semplice constatazione, ma anche in questa maniera di parlare risuonava l'autocompiacimento dell'esibizione sonora: le ragazze si esprimono con cura nei toni di uno slang attinto dalle strade di Praga, e il loro linguaggio assomiglia al blaterare senza senso di un bambino viziato.
L'artificiosità marionettesca dei personaggi è ulteriormente completata dalla composizione delle inquadrature e dalla magistrale fotografia. Le due monelle, esse stesse in un continuo movimento che non si concentra su nulla, sono inserite nelle composizioni delle inquadrature (nello stile del collage o dell'assemblage) come oggetti d'arte viventi, realizzando inoltre performance artistiche una sul corpo dell'altra (body art).
Dovendo caratterizzare questo modo non professionistico di recitare, che le protagoniste forse intendevano come un meraviglioso happening sui generis, appare fondamentalmente problematica la loro partecipazione ai ruoli, poiché accettarli significava diventare in parte un oggetto artistico vivente, in parte un grottesco 'giocattolo' coi fili, manipolato dalla volontà delle autrici-registe (la Chytilová e la co-autrice Ester Krumbachovà). La sola attiva e libera collaborazione delle due attrici non professioniste consisteva nella partecipazione al rituale di un gioco, che però non giocavano già più da sole, ma era, per così dire, giocato insieme a loro.
“Io non ho nulla contro gli attori. Al contrario. Considero la loro professione come una delle più belle”, ha detto la Chytilová. “Penso però che nel cinema, tanto per l'attore professionista quanto per l'attore non professionista, sia decisiva solo la sua personalità di essere umano. E questo l'elemento determinante per l'ingaggio. All'interno del film un individuo deve essere un elemento del tutto credibile, tanto per la sua conformazione interiore quanto per quella esteriore, sia quando la sua recitazione è già il risultato di un'interpretazione cosciente, sia quando è il risultato di una reazione lineare a una provocazione. Penso che ognuno dei cosiddetti attori non professionisti sia un potenziale attore (di cinema) e si tratta solo di stabilire che cosa vogliamo da lui e in che modo riusciamo a ottenerlo”.
Stranislava Přádná in Nová vlna. Cinema cecoslovacco degli anni ’60, a cura di Roberto Turigliatto, Lindau, Torino 2004