L'Atalante

L'Atalante

(Francia/1934) di Jean Vigo (89’)

Soggetto: Jean Guinée [Robert de Guichen]. Sceneggiatura: Jean Vigo, Albert Riéra. Fotografia: Boris Kaufman. Montaggio: Louis Chavance. Scenografia: Francis Jourdain. Musica: Maurice Jaubert. Interpreti: Michel Simon (père Jules), Dita Parlo (Juliette), Jean Dasté (Jean), Gilles Margaritis (il venditore ambulante), Louis Lefebvre (il mozzo), Raphaël Diligent (Raspoutine), Maurice Gilles (impiegato della compagnia), Fanny Clar (la madre di Juliette). Produzione: J.L. Nounez, Gaumont-Franco-Film- Aubert

Restaurato in 4K nel 2017 da Gaumont in collaborazione con Cinémathèque française e The Film Foundation con il supporto di CNC presso i laboratori L'Immagine Ritrovata e L'Image Retrouvée a partire da nitrati originali di prima generazione




Spremuti e premuti da 35 anni di visioni e da pochi secondi di infinita e sfinita memoria, dieci film. Proiettati in un futuro anche solo di un attimo, come forse sempre dovremmo immaginarcelo, se ancora fossimo capaci di amare. L’Atalante di Vigo, allora, perché sublima proprio la lotta del cinema contro la morte dentro la morte, riinventando la sosvrimpressione come atto d’amore tra immagini. E perché la lieta fine non è lieta e non è fine, la follia dell’amore coniugale vista dall’alto come solo il cinema o un dio…

(Enrico Ghezzi, Cento film in dieci minuti, “il manifesto”, 21 giugno 1994)




L’Atalante
contiene tutte le qualità di Zéro de conduite e altre ancora quali la maturità, la maestria. Vi si trovano, riconciliate, due grandi tendenze del cinema, il realismo e l’estetismo. Ci sono stati nella storia del cinema dei grandi realisti come Rossellini e dei grandi esteti come Ejzenštejn, ma pochi cineasti si sono provati a fondere le due tendenze quasi fossero contraddittorie. Per me L’Atalante contiene nello stesso tempo À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro, 1960) di Godard e Le notti bianche (1957) di Visconti, vale a dire due film incomparabili, che sono certamente l’uno agli antipodi dell’altro, ma che sono anche quanto di meglio si è fatto in ciascuna delle due direzioni. Nel primo si tratta di accumulare frammenti di verità che combinati assieme condurranno a una sorta di favola moderna; nel secondo invece si parte da una favola moderna per ritrovare alla fine del viaggio una verità globale. Infine ritengo che spesso si sottovaluti L‘Atalante vedendovi un piccolo tema, un tema ‘particolare’ in opposizione al grande tema ‘generale’ trattato in Zéro de conduite.
L’Atalante
affronta in realtà un grande tema, raramente trattato dal cinema, l’esordio nella vita di una giovane coppia, le difficoltà di adattarsi l’uno all’altra, con all’inizio l’euforia dell’accoppiamento (ciò che Maupassant chiama “il brutale appetito fisico ben presto spento”), poi i primi scontri, la rivolta, la fuga, la riconciliazione, e finalmente l’accettazione dell’uno da parte dell’altra.

(François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 2003)




Lo schema della produzione era lo stesso di Zéro de conduite. Nounez metteva il denaro liquido; la Gaumont forniva gli studi e la pellicola e sì’incaricava della distribuzione. […] I ruoli principali vennero assegnati ad attori conosciuti: Michel Simon e Dita Parlo. Dita Parlo era un prodotto dell’ultimo periodo del cinema muto in Germania. […]
Michel Simon aveva un’esperienza decennale. […] Persone del suo ambiente si stupirono nel vederlo accettare una parte nel film di un giovane che era praticamente un esordiente. Avrebbe risposto loro che aveva accettato proprio perché si trattava di Jean Vigo: Simon provava simpatia per questo ragazzo non conformista contro il quale si era accanita la censura. Il suo consenso a lavorare sotto la direzione di Jean Vigo ebbe verosimilmente il merito di far cadere le ultime resistenze di Bedoin, Beauvais e Anglade, l’antipatico trio di funzionari degli studi Gaumont.
La decisione di scritturare Michel Simon e Dita Parlo ebbe il consenso pieno e sincero di Vigo. D'altra parte, in caso contrario, non avrebbe potuto cambiare un bel niente. Restava tuttavia a Vigo la libertà di scelta per gli altri attori e, fedele alla sua équipe, aveva già impegnato Jean Dasté e Lefèvre, coprendo così i ruoli principali.
Vigo conservò anche quasi interamente l’équipe artistica e tecnica di Zéro de conduite: Kaufman, Riéra, Merle, Jaubert e Goldblatt. […] Con la collaborazione di Riéra, Vigo aveva preparato un copione minuzioso e Nounez, che voleva un lavoro accurato, aveva chiesto a Blaise Cendrars di revisionare i dialoghi di Vigo. Lo scrittore non ebbe da fare alcun appunto, e quindi da quel lato tutto era a posto.
Vigo aveva anche approfittato delle prime settimane estive per fare lunghi giri in barca e familiarizzarsi, insieme a Dasté, con l’uso del timone e dei lunghi ganci delle chiatte. Alcuni giorni dopo aver letto la prima sceneggiatura, Vigo aveva chiesto a Georges Simenon, tramite Merle, informazioni sui canali, le chiuse, i villaggi marittimi, e lo scrittore gli aveva mandato qualche informazione. Aveva già scelto la chiatta del film, si trattava della ‘Louise XVI’ di proprietà dell’Unione delle miniere e industrie affini. La chiatta, benché dotata di un motore a nafta, risaliva ai tempi in cui i cavalli trainavano le chiatte lungo le alzaie.

(Paulo Emilio Sales Gómes, Jean Vigo. Vita e opere del grande regista anarchico, Feltrinelli, Milano 1979)




“È uno stile palpitante. Alla base c’è un senso del realismo documentario che rende la chiatta una vera chiatta, così precisa nella sua topografia, che vi ci potremmo orientare a occhi chiusi in una notte di vento. E questo è importante sia per una chiatta fluviale sia per un battello, ed è quanto i film sul mare non hanno mai capito”

(John Grierson, “Cinema Quarterly”, n. 5, autunno 1934)




Il rapporto che ebbe Vigo con il soggetto originale de L’Atalante consente di farsi una idea della sua capacità di ‘manipolazione creativa’ di un materiale precinematografico assai banale e denso di ambigui luoghi comuni, per cavarne un film tutto giocato sulle atmosfere. Nel processo di trasformazione del soggetto originale in messa in scena cinematografica Vigo altera sensibilmente la natura della vicenda narrata e il carattere dei personaggi. Ma, quel che è più importante, riesce a fare delle atmosfere cinematografiche il vero ‘soggetto’ del film.
Per ‘atmosfere cinematografiche’ intendo non solo gli ‘effetti’ stilistici o espressivi prodotti come il risultato di un certo modo di operare con la macchina del cinema. Piuttosto, intendo la capacità di far scaturire dalle cose stesse o da una vicenda appena abbozzata, dal tratteggio in punta di pennello dei personaggi, l’alone del senso che li tiene in vita, che tiene in vita il film. Dunque, la capacità che ha il cinema – con certi cineasti – di creare atmosfere attorno a fatti e materiali, una atmosfera concreta, palpabile, fatta di luci e di oggetti, di corpi e di personaggi umani e naturali. […]
Mantenendo in apparenza intatto il filo conduttore della vicenda, Vigo ha trasformato radicalmente il senso del soggetto di Guinée, costruendo una storia che si regge sul bilanciamento della seduzione e dell’amore coniugale, e su una rara fusione tra la vita quotidiana, il lavoro e l’amore. Il gusto, l’esperienza e la sensibilità di Vigo si avvertono soprattutto nel tratteggio dei personaggi, nella manipolazione creativa dei corpi e dei luoghi, nel modo di riplasmare sotto l'intervento della macchina da presa i rapporti che legano gli uni agli altri. Rapporti delicati che si modificano impercettibilmente, giorno dopo giorno, durante lo scorrere lento della barca sui canali, durante l’alternanza di occupazioni giornaliere e pause della intimità, durante le tensioni tra l’amore e la curiosità per la vita immaginata in tutti i suoi aspetti. È così che prende corpo una visione complessa dell’amore e del piacere, il senso fisico della vita e del lavoro, la seduzione in tutti suoi aspetti e il richiamo alla saldezza delle scelte compiute.

(Maurizio Grande, Jean Vigo, La Nuova Italia, Firenze 1979)




All’occhio tagliato di Buñuel, Vigo accosta una nuova forma di interdizione della percezione: l’occhio aperto sott’acqua. La ripresa subacquea di Jean che guarda in macchina cercando l’apparizione di Juliette simboleggia la ricerca speculare di un autore che si spinge fino al fondo ultimo delle immagini per trovare uno stato di “veggenza”(Gilles Deleuze) e un’avanguardia dello sguardo. All’iconoclastia Vigo sembra opporre l’iconofilia del vedere tutto ovunque e comunque. […] Lasciandosi incantare dal potere rivelatore e mistificatore che nasce dal posizionare una cornice di vetro davanti agli occhi, Vigo riporta il cinema alla sua elementarità e funzionalità ottica di lente attraverso la quale osservare il mondo, amplificandone ed esasperandone i contorni e le sfumature. Non a caso Henri Langlois ha accomunato il cinema di Vigo alle vetrate policrome delle cattedrali gotiche, così come ai film di Lumière e Méliès, comprendendo quanto il suo cinema sia l’espressione di un’infanzia e intraprendenza della rappresentazione elaborata attraverso la riduzione della vita in una struttura di vetro. Diorama della visione, L’Atalante apparenta i mosaici a vetro con le miniature, i dispositivi ottici ottocenteschi con gli spettacoli di féerie, il cinematografo con l’avanguardia artistica.

(Giacomo Ravesi, L’Atalante. Immagini del desiderio, Mimesis, Milano-Udine 2016)